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La Luce del Sacro

  • La Luce del Sacro

    Icone russe a Palazzo Pitti

    La Luce del Sacro
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    1/INTRODUZIONE. Le icone russe a Palazzo Pitti

    Tradizionale espressione della spiritualità della Chiesa cristiana ortodossa, le icone si diffusero in Russia contestualmente alla cristianizzazione delle popolazioni dell’antica Rus’, entità coincidente più o meno con i territori oggi divisi fra Ucraina, Bielorussia e Russia occidentale. L’avvio del processo di conversione al cristianesimo si fa tradizionalmente risalire al principe Vladimir I di Kiev, poi detto il Santo, che nel 988 abbracciò la fede cristiana e si unì in matrimonio con la principessa Anna Porfirogenita, sorella dell’imperatore bizantino Basilio II. L’avvicinamento della Rus’ a Costantinopoli favorì la diffusione del cristianesimo nella forma della Chiesa bizantina ortodossa, separata dalla Chiesa cattolica di Roma in seguito allo scisma d’Oriente del 1054. Con gli elementi fondamentali del cristianesimo ortodosso, si affermò anche la ritualità bizantina, mentre la liturgia in greco venne ben presto sostituita da una forma autoctona, in lingua slava. Con il cristianesimo, giunsero nella Rus’ molte icone bizantine, che per secoli hanno rappresentato i modelli di riferimento per le maestranze locali, in genere gravitanti intorno ai monasteri. La progressiva decadenza dell’impero bizantino, sancita dal definitivo passaggio di Costantinopoli agli ottomani nel 1453, determinò l’ascesa di Mosca, la “terza Roma”, e della sua Chiesa, decisa ad imporsi come baluardo del cristianesimo ortodosso.

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    2/INTRODUZIONE. Le icone russe a Palazzo Pitti

    Dal XVI secolo, con la crescita dell’autorità della Chiesa di Mosca, le icone entrarono a far parte integrante delle case russe, dove, su una parete o in un angolo, si ricreava il tempio, con un tavolo che richiamava l’altare e le immagini sacre disposte sopra una mensola, come nelle chiese. Questo allestimento, spesso situato sulla parete orientale dell’abitazione, era l’angolo più prezioso, l’ “angolo bello” (красный угол), davanti al quale fare il segno della croce al momento dell’ingresso in casa e raccogliersi in preghiera. Non mancavano mai le icone della Madre di Dio e di Cristo, mentre quelle dedicate ai santi e ad altri soggetti sacri variavano in funzione della devozione locale e familiare. Le dimensioni delle icone seguivano la gerarchia di santità, per cui in genere quelle mariane e cristologiche erano più grandi di quelle dei santi. La luce era un elemento importante: spesso l’“angolo bello” era allestito in prossimità di una finestra e davanti alle icone, alla sera, venivano accesi lumi.

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    3/INTRODUZIONE. Le icone russe a Palazzo Pitti

    L’icona è realizzata per la gloria di Dio, non dell’uomo, per tanto raramente esse recano il nome dei maestri che le dipinsero, la cui identità rimane, con rare eccezioni, sconosciuta. Nei secoli più antichi questa attività era probabilmente una prerogativa dei monaci. L’ esecuzione delle icone era affidata a isografi - scrittori di icone - che, tradizionalmente, si accingevano all’opera purificati nel corpo e nell’anima da penitenze e orazioni. La preghiera accompagnava la fattura dell’icona che, dopo il completamento, era sottoposta al giudizio di un’autorità ecclesiastica che vagliava la rispondenza fra il contenuto figurativo e il titolo, per poi procedere alla sua benedizione. Sulla cornice erano iscritti i titoli dei soggetti raffigurati e brevi preghiere.

    Icona L’ apostolo Giovanni Teologo in silenzio
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
    Scheda opera
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    4/INTRODUZIONE. Le icone russe a Palazzo Pitti

    L’origine della collezione di icone russe delle Gallerie degli Uffizi è alquanto misteriosa: non è noto in che modo tali opere siano giunte a Firenze e neppure quando. Alcuni esemplari appartenevano già alla famiglia Medici, essendo documentati nella reggia di Palazzo Pitti, nella Cappella delle reliquie, dal 1639.

    Le restanti icone, per la maggior parte realizzate nei primi decenni del XVIII secolo, sono invece documentate a Firenze nella Guardaroba di Palazzo Pitti in epoca lorenese, a partire dal 1761, quando sul trono di Toscana sedeva Francesco Stefano di Lorena con Maria Teresa d’Austria.

    Icona Resurrezione di Cristo e Discesa agli inferi, con sedici scene della storia di Cristo post-mortem
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
    Scheda opera
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    5/INTRODUZIONE. Le icone russe a Palazzo Pitti

    Col riallestimento della Galleria degli Uffizi promosso da Pietro Leopoldo, le icone russe, o “greco-mosche” per usare il linguaggio dell’epoca, fra il 1771 e il 1773 pervennero agli Uffizi dove, insieme a vetri paleocristiani, mosaici e pitture medievali, andarono a costituire un piccolo nucleo di antichità cristiane, che Luigi Lanzi sistemò nel Gabinetto delle pitture antiche. Era particolarmente apprezzato il Menologio, un calendario ecclesiastico diviso in due tavole, ritenuto erroneamente un’opera del XV secolo.

    La fortuna delle icone russe agli Uffizi ebbe breve corso; col riordinamento della Galleria promosso dal nuovo direttore Tommaso Puccini, nel 1796 le tavole furono spostate nella villa medicea di Castello, dove ancora permanevano nel 1911. La particolarità della raccolta e l’alto numero di pezzi che la compone, oltre 70 esemplari, ha nell’ultimo secolo determinato una certa difficoltà nell’individuare un adeguato luogo di esposizione al pubblico, con l’eccezione del periodo fra il 1984 e il 2013, lasso di tempo nel quale le opere hanno fatto parte dell’allestimento della Galleria dell’Accademia.

    Icona Menologio
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    Il Mandylion

    L’icona più significativa della cristianità, nonché la più antica, è l’immagine del volto del Salvatore “acheropita”, cioè “non dipinta da mano umana”. Secondo una tradizione attestata già nel VI secolo, il re Abgar di Edessa, affetto da una malattia incurabile, avrebbe inviato un suddito a Gerusalemme per cercare Gesù, dei cui miracoli il sovrano aveva udito narrare. L’uomo non riuscì a portare a Edessa il Messia, ma recò un telo col quale Gesù si era terso il volto, lasciandovi impressa la propria immagine. Il panno, in greco Mandylion, fu consegnato ad Abgar che prodigiosamente guarì dalle proprie infermità e rinnegò gli idoli pagani. Nei secoli seguenti il Mandylion, icona e reliquia allo stesso tempo, venne venerato come testimonianza fondamentale dell’incarnazione del Salvatore e la sua riproduzione in pittura, sia ad affresco sia su tavola, si diffuse ampiamente nel mondo cristiano.

    L’icona degli Uffizi, databile al secondo quarto del XVIII secolo, raffigura il “volto di Edessa” sorretto da due angeli, variante che discende con ogni probabilità dall’iconografia occidentale della Veronica, dove la leggendaria donna che avrebbe asciugato il volto di Cristo durante il percorso di ascesa al Golgota è raffigurata mentre tiene il telo con l’immagine del Salvatore impressa.

    Icona Cristo Salvatore Acheropita
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    La Deesis

    Anche il tema iconografico della Deesis trova le sue radici nel mondo bizantino, particolarmente nelle decorazioni monumentali delle chiese, godendo poi di grande diffusione presso tutta la cristianità ortodossa. Il nome Deesis è una termine di origine greca che significa “intercessione” e identifica la rappresentazione della Vergine e dei santi che intercedono verso Dio onnipotente per la salvezza dell’umanità. Il soggetto è in genere riprodotto nel registro mediano delle iconostasi, la struttura predisposta per accogliere le icone che nelle chiese ortodosse separa l’area presbiteriale, riservata ai celebranti della liturgia, dalle navate occupate dai laici. L’icona è il mezzo che, favorendo la preghiera, consente all’individuo di entrare in comunione con la divinità, pertanto, oltre che negli edifici sacri, trova spazio anche in contesti laici, svolgendo una funzione essenziale nella devozione privata. Nell’antica Rus’, l’icona accompagnava tutti i momenti più significativi della vita di un individuo, dalla nascita al matrimonio, in quanto manifestazione della presenza costante della divinità, alla quale rivolgere un’invocazione e chiedere protezione. Spesso il viaggiatore portava con sé una sorta di piccola iconostasi che poteva avere l’aspetto di un trittico pieghevole ed è probabile che la Deesis degli Uffizi, di dimensioni assai ridotte, avesse un’analoga funzione.

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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    L’Odigitria di Tichvin

    Anche l’origine delle icone raffiguranti la Vergine si fa risalire ai primordi del cristianesimo. Sarebbe stato infatti un testimone eccezionale, l’evangelista Luca, ad aver ritratto l’effigie di Maria. Testi del V secolo riportano che un’immagine della Vergine dipinta da san Luca fu inviata da Gerusalemme a Costantinopoli da Eudocia, consorte dell’imperatore romano d’Oriente Teodosio II, divenendo una delle immagini più venerate della cristianità. L’icona raffigurava Maria secondo il modello iconografico della Odigitria, cioè colei che conduce mostrando la via. Maria è raffigurata con in braccio Gesù bambino, la via della Salvezza, al quale indica con le dita della mano.

    Le icone più venerate si diffusero nella cristianità tramite repliche, dalle quali scaturirono varianti iconografiche che mantenevano comunque costanti gli elementi essenziali, differenziandosi per particolari secondari. Ad esempio, l’icona degli Uffizi replica la veneratissima immagine della Madre di Dio Odigitria di Tichvin, contraddistinta dalla posa delle gambe di Gesù, che, incrociandosi, pongono in vista la pianta di un piedino. Secondo la leggenda, l’immagine sacra sarebbe pervenuta prodigiosamente da Costantinopoli nel 1383 sulle sponde del fiume Tichvina, a nord di Novgorod.

     

    Icona Madre di Dio di Tichvin
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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    L’Eleusa: Madre di Dio di Vladimir

    Una delle più antiche icone bizantine che ancora oggi si conservano in Russia, è la Madre di Dio di Vladimir, risalente alla prima metà del XII secolo. Prende il nome dalla città in cui è stata conservata per circa tre secoli, prima di essere definitivamente trasferita a Mosca. L’icona degli Uffizi è una replica di dimensioni ridotte risalente alla prima metà del XVIII secolo.

    La Madre di Dio di Vladimir raffigura la Vergine col Bambino secondo il modello iconografico della Eleusa, ossia della Madonna della tenerezza: la Madre e il Figlio avvicinano i volti in atteggiamento affettuoso, mentre Maria ha un moto di compassione, presagendo il sacrificio al quale va incontro Gesù. L’icona di Vladimir è un esempio tra i più emblematici del ruolo attribuito alle icone nella vita politica e militare della Russia. Considerata responsabile di prodigiose azioni difensive contro gli invasori, si narra che nel corso dell’assedio di Mosca del 1521, in una visione, l’icona venne vista uscire dalla cattedrale della Dormizione del Cremlino con l’intento di abbandonare la città, ma venne fermata dalle preghiere dei santi russi, determinando, col suo rientro, la fuga degli assalitori. Ad icone particolarmente venerate sono dedicati uno o più giorni del calendario ecclesiastico russo, come la stessa Madre di Dio di Vladimir, celebrata il 21 maggio, il 23 giugno e il 26 agosto.

    Icona Madre di Dio di Vladimir
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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    Cristo onnipotente in trono

    La raffigurazione del Redentore benedicente seduto in trono, sovrano del creato, è una delle più antiche tipologie della raffigurazione di Cristo nel mondo bizantino. Fino al XVI secolo, queste immagini, spesso di grandi dimensioni, trovavano quasi esclusivamente posto fra le immagini sacre che componevano l’iconostasi delle chiese, la recinzione che separa l’altare dallo spazio destinato ai fedeli.

    Il soggetto conobbe una nuova fortuna a partire dalla metà del Cinquecento, quando si diffusero icone del Redentore in trono di formato ridotto, provenienti soprattutto dal territorio di Novgorod. Il trasferimento a Mosca di alcuni importanti e venerati esemplari, contribuì alla diffusione di questo tema nei secoli seguenti. La raffigurazione meglio di ogni altra traduce visivamente l’idea di regno del Signore.

    Icona Cristo onnipotente in trono
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione I. Il mondo bizantino e la Rus’

    L’Icona Biografica: Giovanni soldato e storie della vita

    La devozione per i santi, intercessori fra Dio e il fedele, e la venerazione per le reliquie dei loro corpi favorirono la nascita di immagini, in rilievo o dipinte, che avevano lo scopo di tramandare l’effigie dei beati, contribuendo a rafforzarne e diffonderne il culto. Dal XII secolo, nei territori dell’impero bizantino sono attestate icone che mostrano il santo affiancato da scene con gli episodi più salienti della sua vita, tratti in genere da racconti che prendevano il nome di “passioni” e leggende”. In questo modo il santo, oltre che intercessore, assumeva il ruolo di esempio e guida nell’imitazione di Cristo. Le scene narrative svolgevano dunque una funzione didattica, rivolta in particolare a coloro che non avevano accesso ai testi sacri.

    Fra le più antiche icone agiografiche compaiono immagini di santi guerrieri, paladini di Cristo che compiono imprese eccezionali. In genere di nobili origini o comunque di alta estrazione sociale, compivano il volere divino rinunciando ai propri privilegi. In questo contesto rientra anche la devozione per Giovanni il soldato, martire del V secolo, le cui spoglie rimasero a Costantinopoli. Sebbene venerato già nell’alto medioevo, nella Rus’ la sua fama si diffuse dalla metà del ‘600, in concomitanza con le lunghe guerre che funestarono le popolazioni fino ai primi decenni del XVIII secolo.

    Icona martire Giovanni soldato con storie della sua vita
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione II. Devozione e miracoli

    L’apparizione della Madre di Dio di Tichvin al sacrestano Juris

    Eventi prodigiosi, diramati attraverso racconti orali e scritti, contribuivano a diffondere la fama delle icone che, attraendo grandi masse di fedeli e pellegrini, favorivano la crescita di insediamenti abitativi intorno ai monasteri che custodivano tali immagini. Per accogliere l’icona della Vergine Odigitria pervenuta prodigiosamente lungo il fiume Tichvina nel 1383, sul luogo del ritrovamento vennero eretti una chiesa e un monastero, in prossimità dei quali crebbe la città di Tichvin. Come illustra la scena al centro dell’icona degli Uffizi, una tradizione narra che alla vigilia della consacrazione della chiesa, la Vergine, accompagnata da san Nicola, apparve al sacrestano Juryš, seduta sul tronco di un albero abbattuto. La Madre di Dio ordinò di completare il tempio con una croce di legno, a somiglianza di quella sul quale era stato crocifisso Cristo. In seguito, il tronco sul quale era apparsa seduta la Vergine venne considerato parte del prodigio e da esso furono tratte varie reliquie, rinsaldando quel connubio fra reliquia e immagine sacra che è all’origine della diffusione delle icone.

    Icona "Apparizione della Madre di Dio e di san Nicola al sacrestano Juryš, con scene delle festività"
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione II. Devozione e miracoli

    La Madre di Dio della radice di Kursk (Segno)

    Al centro di questa icona è raffigurata la Vergine Maria in atteggiamento orante, con sul petto un medaglione raffigurante Gesù benedicente, in aspetto giovanile. Si tratta di un antico modello iconografico chiamato Platytera, cioè “colei che è più vasta dei cieli”, secondo la definizione ispirata da un testo liturgico del teologo greco san Basilio (IV secolo) che celebra il corpo della Vergine, così grande da contenere il Messia incarnato. L’icona traduce figurativamente la profezia di Isaia 7, 14: “Il Signore stesso vi darà dunque un segno: ecco, la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli porrà il nome di Emmanuele”. L’immagine della Platytera si conservava a Costantinopoli, nella chiesa delle Blacherne, santuario in cui si venerava la reliquia del maphorion (il manto che copre il capo e le spalle di Maria). Un’icona con lo stesso soggetto, conosciuta come il Segno (Знамение, Znamenie), si conservava dal XII secolo nella Rus’, a Novgorod. I numerosi miracoli che le sono stati attribuiti, fra i quali la protezione della città nel corso di guerre sanguinose ed epidemie, l'hanno resa una delle immagini mariane più venerate della Russia. L’icona, nei secoli, è stata protagonista di ritrovamenti miracolosi e interventi soprannaturali anche in luoghi diversi da Novgorod, favorendo la nascita di nuove varianti iconografiche. Un esempio è rappresentato dall’opera delle Gallerie degli Uffizi, che ha come prototipo l’icona della Madre di Dio del Segno rinvenuta tradizionalmente nel 1295 fra le radici di un albero nei pressi della città di Kursk.

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    Sezione II. Devozione e miracoli

    I miracoli dell’icona di Kazan

    Tra le icone maggiormente identitarie della spiritualità e della storia russa spicca la Madre di Dio di Kazan’, ispirata al modello bizantino della Eleusa nell’attitudine della Vergine che avvicina teneramente il volto a quello del figlio Gesù. Il taglio ravvicinato, che esclude la raffigurazione del busto e delle mani della Vergine, rende questa immagine intima e adatta alla preghiera individuale, caratteristica che spiega la fortuna dell’icona, considerata protettrice del focolare domestico.

    Rinvenuta miracolosamente nel XVI secolo tra le ceneri di una casa bruciata a Kazan’, manifestò ben presto poteri taumaturgici, operando varie guarigioni, soprattutto dalla cecità, e contribuendo alla cristianizzazione delle popolazioni del territorio di Kazan’, passate nel 1552 dal dominio tataro-islamico a quello dello zar cristiano Ivan il Terribile. Col trasferimento dell’icona – o di una copia di essa - a Mosca, la Madre di Dio di Kazan’ divenne protettrice della capitale e le fu attribuito il merito della liberazione della città dall’assedio dell’esercito polacco, nel 1613. L’identificazione dell’immagine sacra con la Russia e con la dinastia regnante dei Romanov fu tale che con la fondazione di San Pietroburgo, voluta dallo zar Pietro il Grande nel 1703, l’icona venne trasferita da Mosca nella nuova capitale. Omaggi alla Vergine di Kazan’ furono tributati dopo il fallimento dell’invasione della Russia da parte dell’esercito di Napoleone e, in tempi più recenti, l’icona venne ripetutamente portata in processione per Leningrado (San Pietroburgo) durante l’assedio nazista.

    Icona "Madre di Dio di Kazan e i miracoli dell’icona"
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
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    Sezione II. Devozione e miracoli

    La Madre di dio gioia di tutti gli afflitti

    Le invasioni dei territori della Rus’ da parte di mongoli e tatari e l’adesione delle popolazioni locali alla Chiesa cristiana ortodossa determinarono un sostanziale isolamento della Russia rispetto ai paesi europei, in epoca medievale e nella prima età moderna. Questa condizione si riflette nella pittura di icone, fedele nei secoli ai modelli importati da Costantinopoli. Progressivamente tuttavia, soprattutto dal XVII secolo, grazie anche alla diffusione delle stampe, affluirono nella Rus’ modelli figurativi e soggetti caratteristici del cristianesimo occidentale, che favorirono l’insorgenza di nuove varianti iconografiche. È il caso dell’icona nota come Madre di Dio Gioia di tutti gli afflitti, divenuta celebre in seguito ad un miracolo di guarigione avvenuto a Mosca il 24 ottobre 1688. La Vergine è raffigurata mentre porta sollievo ai poveri e ai sofferenti, raffigurati in preghiera intorno a Maria, come nel modello iconografico occidentale della Madonna della Misericordia. Alla base della composizione rimangono comunque alcune preghiere dedicate alla Vergine: la correlazione con i testi sacri è infatti una caratteristica imprescindibile delle icone, dove ogni soggetto raffigurato è accompagnato da un'iscrizione che lo identifica.

    Icona Madre di Dio Gioia di tutti gli afflitti (1890 n. 9324)
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    Sezione II. Devozione e miracoli

    Santi in preghiera

    Fra il XV e il XVI secolo nella Rus’ si diffonde una tipologia di icone che presenta in posizione preminente, al centro, gruppi di santi in preghiera davanti a Cristo o alla Vergine,  in genere posizionati in alto, nella gloria celeste. La scelta dei santi da rappresentare era assai variabile e seguiva criteri diversi. Potevano essere preferiti santi simili per grado di beatitudine (ad esempio i martiri), o al contrario eterogenei (profeti, martiri, monaci) per raffigurare la Chiesa nella sua interezza, santi la cui commemorazione cadeva nello stesso giorno del calendario, oppure i patroni del committente e dei suoi congiunti. Probabilmente l’icona degli Uffizi appartiene a questa tipologia e raccoglie santi piuttosto eterogenei:  il profeta Elia, Gioacchino e Anna, genitori di Maria, il santo vescovo Nicola di Myra, i martiri Antipa, Uar, e Giuliana, i santi monaci Dimitrij di Prilukij e Aleksandr Nevskij. Effigi di questo genere venivano solitamente dipinte per essere collocate in oratori domestici, oppure per essere offerte in dono alle chiese.

    Icona Santi in preghiera
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
    Scheda opera
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    Sezione II. Devozione e miracoli

    I santi Pietro, Boris Gleb, , Pietro, Isacco dalmata, Cristina, Alexander Nevskij

    La selezione dei santi da rappresentare nelle icone poteva essere determinata anche dall’ambito geografico in cui vennero create o al quale apparteneva il committente.  Nel caso dell’icona degli Uffizi, ad esempio, i santi raffigurati hanno a che fare con la nuova capitale della Russia San Pietroburgo, fondata dallo zar Pietro il Grande nel 1703. Diversi i santi legati alla devozione personale del sovrano: l’omonimo apostolo Pietro, il beato Isacco Dalmata, commemorato nel giorno di nascita dello zar, il principe Aleksandr Nevskij, le cui spoglie furono trasferite a San Pietroburgo nel 1723 per volontà del monarca. Nell’icona, Aleksandr Nevskij , condottiero di Novgorod vissuto nel XIII secolo vittorioso sugli invasori della Rus’, è raffigurato con la veste monastica, indossata nella fase estrema della sua vita. Questo modello iconografico dopo il 1724  fu soppiantato, per volontà di Pietro il Grande, dalla raffigurazione del santo come “gran principe”.   La commissione dell’icona, dovuta probabilmente a un membro della corte imperiale a San Pietroburgo, potrebbe essere connessa con qualche avvenimento accaduto il 24 luglio, giorno della commemorazione dei martiri Cristina, Boris e Gleb, gli altri santi raffigurati nell’immagine sacra.

    Icona 'I santi Pietro, Isacco Dalmata, Boris, Gleb, Cristina e Aleksandr Nevskij'
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
    Scheda opera
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    Sezione III. Pittura e pittori di icone nella Rus’

    Decollazione del Battista

    La tecnica pittorica impiegata per la pittura di icone è la tempera ad uovo, applicata in più strati soprattutto negli incarnati, alla cui realizzazione era riservata una particolare cura. I pigmenti utilizzati erano terre, usate per i colori dall’ocra al marrone, minerali, come l’azzurrite e il rosso carminio, lacche, e poi il nero e il bianco di piombo. Le vesti potevano essere arricchite da sottili lumeggiature d’oro realizzate ad assist, un procedimento che prevedeva l’applicazione di minuscoli segmenti di foglia d’oro sopra un collante. Questa raffinata tecnica è presente in alcuni dettagli dell’Icona con la Decollazione di San Giovanni Battista, come il bacile che contiene la testa del martire e la vegetazione in basso a destra.

    La superficie pittorica veniva infine coperta con una vernice a base di olio di lino detta olifa, che nel tempo tendeva ad assorbire il fumo delle candele assumendo una colorazione ambrata che spesso altera l’originale cromia. Dal XVIII secolo furono introdotte nuovi tipi di vernici, a base di resine. Dipinte su supporti di legno - non di rado legno di conifere - le icone presentano spesso sul verso traverse scorrevoli incassate, utili a controllare il naturale incurvamento della tavola. Sul lato anteriore l’immagine sacra era in genere circoscritta da una cornice rilevata, ottenuta scavando il supporto nel piatto centrale, secondo la tradizione bizantina. In molti esemplari la tavola era rafforzata sul lato anteriore da una tela, sulla quale era stesa una preparazione a gesso e colla detta levkas.

    Icona Decollazione di san Giovanni Battista
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    Scheda opera
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    Sezione III. Pittura e pittori di icone nella Rus’

    In te si rallegra ogni creatura

    Le icone possono presentare dei rivestimenti metallici fissati al supporto ligneo che impreziosiscono l’immagine sacra. La pratica di coprire le icone con lamine di metallo prezioso sembra risalire alla fine dell’XI secolo ed ebbe grande sviluppo in Russia. Il termine per indicare queste ornamentazioni è oklad ma, in base ad alcune peculiarità tecniche, si può distinguere tra basma e riza. Basma è la tipologia di oklad più antica, costituita da piccole lastre metalliche finemente lavorate che venivano separatamente fissate sulla superficie per impreziosire alcuni dettagli dell’icona, come la cornice o le aureole dei santi. Per riza, vocabolo russo che significa “veste”, si intende invece una coperta costituita da un unico elemento metallico, fermato agli angoli della tavola, che lascia in vista solo alcuni elementi delle figure effigiate nell’icona, quali i volti, le mani e talvolta il corpo delle figure. Questa tecnica, sviluppatasi a partire dal XVII secolo, favorì il decadimento della qualità artistica delle icone, spingendo i pittori a trascurare la stesura pittorica nelle parti che sarebbero rimaste coperte dalla riza. In entrambe le tipologie di oklad le lamine maggiormente impiegate sono d’oro e d’argento (spesso dorato), che venivano lavorate a sbalzo e finemente cesellate per ottenere i motivi decorativi desiderati; al fine di rendere l’opera ancora più preziosa spesso si aggiungevano filigrana, pietre preziose e smalti. Fra le icone delle Gallerie degli Uffizi, i più antichi esemplari della raccolta, come l’icona con la raffigurazione della Madre di Dio secondo l’iconografia ispirata da un inno in lode della Vergine Maria , sono arricchiti dal rivestimento in argento dorato realizzato a basma, mentre non vi sono esempi di riza.

    Icona “In Te si rallegra ogni creatura”
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    Scheda opera
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    Sezione III. Pittura e pittori di icone nella Rus’

    Santa Caterina d’Alessandria

    Nel XVII secolo il pittore di icone di maggiore notorietà fu Simon Usakov (1626-1686), personalità di spicco fra i maestri del palazzo dell’Armeria del Cremlino a Mosca. Era questo il palazzo imperiale che ospitava le botteghe delle maestranze operose per la corte dello zar - orafi, gioiellieri, pittori - e che, producendo raffinatissimi manufatti, rappresentò nel XVII secolo il più influente centro artistico della Rus’. Su influenza di Usakov, aperto alle suggestioni della pittura e della grafica europea, i pittori del palazzo dell’Armeria introdussero un parziale uso della prospettiva nella costruzione degli elementi architettonici e un certo naturalismo nella resa plastica delle figure e nel chiaroscuro degli incarnati. Ne è un esempio l’icona con Santa Caterina d’Alessandria degli Uffizi, eseguita alla fine del XVII secolo. I modelli iconografici e stilistici degli isografi del Palazzo dell’Armeria si diramarono anche alle botteghe provinciali che, seppure con ritardo e con esiti meno raffinati, presero ad imitare i modi e le novità introdotti a Mosca.

    Icona Santa Caterina d’Alessandria martire
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    Sezione III. Pittura e pittori di icone nella Rus’

    Il vescovo Spiridione di Trimitunte

    L’icona è un esempio dell’affermazione anche in ambito provinciale degli stilemi della scuola dei laboratori imperiali del palazzo dell’Armeria del Cremlino, cui rimanda l’elegante motivo a racemi della veste vescovile e, più in generale, la ricchezza decorativa. Altri dettagli, come l’assenza del chiaroscuro nel modellato e la semplificazione nella costruzione degli incarnati, quasi monocromatici, attestano d’altra parte il tono meno aulico di questa icona, frutto della reinterpretazione di un isografo attivo in ambito provinciale e in un contesto più popolare.

    Vescovo della città di Trimitunte sull’isola di Cipro vissuto nel IV secolo, Spiridione fu venerato nei territori della Rus’ fin dall’inizio del processo di cristianizzazione ed è commemorato il 12 dicembre. Tradizionalmente raffigurato come vescovo, le cui funzioni fondamentali sono il compimento della liturgia divina  e la cura del gregge  nella vera fede, Spiridione indossa i paramenti sacri e tiene fra le mani il Vangelo.  Al santo si attribuirono nei secoli miracoli legati alla protezione degli animali domestici, in particolare delle capre, una tradizione che favorì la diffusione del culto per il santo in ambito popolare.

    Icona Il santo Spiridione, vescovo di Trimitonte
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    Sezione III. Pittura e pittori di icone nella Rus’

    Annunciazione

    Nonostante la pittura di icone, rispecchiando l’immutabilità della divinità, si contraddistingua per la reiterazione di soggetti e modelli, nel corso dei secoli si svilupparono in prossimità di importanti monasteri scuole pittoriche locali, caratterizzate da peculiarità stilistiche e iconografiche diverse. L’icona raffigurante l’Annunciazione presenta caratteri riconducibili ad un maestro attivo nell’area di Jaroslavl o Kostroma, antiche città sorte sul fiume Volga, e si caratterizza per la complessa articolazione architettonica degli edifici, sorretti da eleganti colonne, e per l’uso di sottili tocchi di biacca per delineare le cornici e gli elementi decorativi. Peculiarità distintive si esprimevano anche nell’intonazione della gamma cromatica, qui articolata sulla predominanza del verde, del marrone e del rosso cinabro, e nella costruzione degli incarnati, qui ottenuti da una sapiente modulazione di ocra e biacca.

    Icona Annunciazione
    Museo delle Icone Russe | Palazzo Pitti
    Scheda opera

La Luce del Sacro

Icone russe a Palazzo Pitti

Credits

Testi a cura di Daniela Parenti

Immagini: Roberto Palermo, Francesco Del Vecchio

Montaggio: Patrizia Naldini

Traduzione: Way2Global

Data di pubblicazione: 1 gennaio 2022

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