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Fabbriche di Storie

  • Fabbriche di Storie

    Un progetto di mediazione culturale alle Gallerie degli Uffizi

    Fabbriche di Storie
  • 1/30
    Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi

    In viaggio, seguendo una stella. Per arrivare a incontrare il Bambino, qui, in primo piano.

    Ma questa è solo la fine di una storia che parte da un Oriente lontano: nove mesi di viaggio, ci dicono i Vangeli apocrifi.

    Nelle tre lunette della cornice del dipinto, possiamo seguire il corteo dei Magi.

    In alto a sinistra, i tre saggi, vestiti d’oro, contemplano la stella dalla cima di un monte a picco sul mare.

    Mi chiedo: è possibile che, nonostante le vesti preziose, anche loro abbiano provato lo smarrimento, l’incertezza del viaggio? Che, nonostante lo sfarzoso corteo, si siano sentiti soli? Che, una volta giunti a destinazione, abbiano sentito nostalgia di casa?

    L’aria del mare mi ha accompagnata nel mio viaggio. Sono partita da Alessandria d’Egitto per arrivare in un piccolo paese sulla costa ligure. Avevo 25 anni.

    Quando sono arrivata in Italia, tutto era nuovo: la lingua, la cultura, le tradizioni. Alla nostalgia del paese dove sono nata è subentrata la nostalgia della persona che ero quando vivevo lì, con la mia vita e i miei affetti.

    Eccoli, nella lunetta centrale, i Magi che attraversano un idilliaco paesaggio campestre per entrare a Gerusalemme. I terreni sono coltivati, gli alberi fioriti dipinti con minuzia. Sento il profumo della mia terra, l’abbraccio dell’aria tiepida.

    Il viaggio dei tre saggi si è trasformato in una esotica battuta di caccia, con i ghepardi seduti in groppa ai cavalli. Incontrato Erode nel suo palazzo, i Magi gli chiederanno:

    «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».

    Erode si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

    In alto a destra, finalmente, i Magi entrano a Betlemme, per poi discendere fino al luogo in cui si trovano il Bambino, Maria e il suo sposo.

    La stella, così vicina da poterla toccare, risplende ora sopra la testa di Giuseppe.

    I tre saggi giunti dall’Oriente sono rappresentati come le tre età dell’uomo. In fasi diverse della loro vita, sono stati tutti capaci di mettersi in gioco.

    La tradizione vuole che i Magi siano astrologi e sapienti. Il viaggio è per loro fonte di conoscenza e di rinnovamento, come lo è stato per me. Comprendere la società, la lingua e la cultura italiane è diventato un’urgenza.

    Attraverso la parola, sono diventata una persona più completa, più libera: questo ha significato per me la padronanza di una nuova lingua.

    Quando sono diventata cittadina italiana, ho incominciato a viaggiare per l’Europa con i miei figli. Viaggi così diversi da quello che mi ha portato qui in Italia tanti anni fa. Oggi non ho più paura. Ogni viaggio significa per me acquisire nuove ricchezze, incontrare nuove persone.

    Anche Gentile da Fabriano, l’artista che ha dipinto questa tavola così preziosa, ha viaggiato. A differenza di altri pittori del suo tempo, che preferivano metter su bottega, è stato un artista itinerante, fin da giovane. Si sposta continuamente tra le Marche, la Lombardia e Venezia. Poi, finalmente, arriva a Firenze. Qui incontra un modo nuovo di fare arte, al quale si apre con mente libera e curiosa, pur rimanendo fedele al mondo da cui proviene, quello della pittura tardo-gotica. Così, ad esempio, si diverte a giocare con l’illusione di profondità, data dai cavalli in primo piano, ma al tempo stesso mantiene tanti punti di vista quanti sono gli episodi narrati nel dipinto, per fare sfoggio del suo esuberante gusto decorativo e descrittivo.

    Aprirsi al nuovo pur restando se stessi e mantenendo vivo il legame con la propria origine, è quello che abbiamo fatto io e i miei tre figli. Loro, crescendo, hanno sentito la libertà di questo Paese, ma hanno sentito anche la solidità delle loro radici.

    Questa capacità di aprirsi al nuovo pur mantenendo saldo il senso dell’origine è stato il frutto del mio stare con loro. Un grande lavoro fatto di piccole cose.

    Al mattino, nella nostra casa, ci si sveglia all’alba, e ognuno prega nel silenzio.

    Nel Corano c’è un versetto che recita: “WA KOL RABI ZEDNI ELMA”, “Dio, Signore, accrescimi nella scienza”.

    Nei primi tempi in Italia, la preghiera non era sufficiente a calmare le mie angosce, a dare sollievo alla mia solitudine. La conoscenza mi ha portata a una preghiera più matura, più consapevole.

    Ed è parlando della preghiera che mi accorgo come nel dipinto ci sia una grande unità data dalla prevalenza dell’oro. L’inserimento di parti a rilievo conferisce tridimensionalità alla scena, così come l’utilizzo della foglia d’oro è importante per rendere realisticamente la ricchezza delle stoffe: Gentile da Fabriano presta una particolare attenzione al gusto e alla moda dell’epoca, probabilmente per richiesta dello stesso Palla Strozzi, il ricco banchiere fiorentino, ma anche il colto uomo di lettere che ha commissionato questa tavola e si è fatto ritrarre proprio alle spalle del Magio più giovane.

    A un livello più simbolico, però, l’oro rimanda alla luce divina e definisce uno spazio sacro. La presenza di Dio porta armonia anche là dove c’è diversità.

    La ricchezza vera non risiede nel valore materiale dell’oro, ma nella fede, nella conoscenza e nel viaggio.

    «I Magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

    I Magi tornano a casa “per un’altra strada”, perché la loro vita è cambiata.

    Anche la mia vita è cambiata, e oggi mi stupisco a trovare, al centro della predella in basso, questi piccoli personaggi in fuga, verso la salvezza, verso la mia terra, l’Egitto.

     

    La narrazione è di Zeinab Kabil

    La voce è di Laura Curino

     

     

     

     

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 2/30
    Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi

    I tre saggi giunti dall’Oriente sono rappresentati come le tre età dell’uomo. In fasi diverse della loro vita, sono stati tutti capaci di mettersi in gioco.

    La tradizione vuole che i Magi siano astrologi e sapienti. Il viaggio è per loro fonte di conoscenza e di rinnovamento, come lo è stato per me. Comprendere la società, la lingua e la cultura italiane è diventato un’urgenza.

    Attraverso la parola, sono diventata una persona più completa, più libera: questo ha significato per me la padronanza di una nuova lingua.

    Quando sono diventata cittadina italiana, ho incominciato a viaggiare per l’Europa con i miei figli. Viaggi così diversi da quello che mi ha portato qui in Italia tanti anni fa. Oggi non ho più paura. Ogni viaggio significa per me acquisire nuove ricchezze, incontrare nuove persone.

    Anche Gentile da Fabriano, l’artista che ha dipinto questa tavola così preziosa, ha viaggiato. A differenza di altri pittori del suo tempo, che preferivano metter su bottega, è stato un artista itinerante, fin da giovane. Si sposta continuamente tra le Marche, la Lombardia e Venezia. Poi, finalmente, arriva a Firenze. Qui incontra un modo nuovo di fare arte, al quale si apre con mente libera e curiosa, pur rimanendo fedele al mondo da cui proviene, quello della pittura tardo-gotica. Così, ad esempio, si diverte a giocare con l’illusione di profondità, data dai cavalli in primo piano, ma al tempo stesso mantiene tanti punti di vista quanti sono gli episodi narrati nel dipinto, per fare sfoggio del suo esuberante gusto decorativo e descrittivo.

    Aprirsi al nuovo pur restando se stessi e mantenendo vivo il legame con la propria origine, è quello che abbiamo fatto io e i miei tre figli. Loro, crescendo, hanno sentito la libertà di questo Paese, ma hanno sentito anche la solidità delle loro radici.

    Questa capacità di aprirsi al nuovo pur mantenendo saldo il senso dell’origine è stato il frutto del mio stare con loro. Un grande lavoro fatto di piccole cose.

    Al mattino, nella nostra casa, ci si sveglia all’alba, e ognuno prega nel silenzio.

    Nel Corano c’è un versetto che recita: “WA KOL RABI ZEDNI ELMA”, “Dio, Signore, accrescimi nella scienza”.

    Nei primi tempi in Italia, la preghiera non era sufficiente a calmare le mie angosce, a dare sollievo alla mia solitudine. La conoscenza mi ha portata a una preghiera più matura, più consapevole.

    Ed è parlando della preghiera che mi accorgo come nel dipinto ci sia una grande unità data dalla prevalenza dell’oro. L’inserimento di parti a rilievo conferisce tridimensionalità alla scena, così come l’utilizzo della foglia d’oro è importante per rendere realisticamente la ricchezza delle stoffe: Gentile da Fabriano presta una particolare attenzione al gusto e alla moda dell’epoca, probabilmente per richiesta dello stesso Palla Strozzi, il ricco banchiere fiorentino, ma anche il colto uomo di lettere che ha commissionato questa tavola e si è fatto ritrarre proprio alle spalle del Magio più giovane.

    A un livello più simbolico, però, l’oro rimanda alla luce divina e definisce uno spazio sacro. La presenza di Dio porta armonia anche là dove c’è diversità.

    La ricchezza vera non risiede nel valore materiale dell’oro, ma nella fede, nella conoscenza e nel viaggio.

    «I Magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

    I Magi tornano a casa “per un’altra strada”, perché la loro vita è cambiata.

    Anche la mia vita è cambiata, e oggi mi stupisco a trovare, al centro della predella in basso, questi piccoli personaggi in fuga, verso la salvezza, verso la mia terra, l’Egitto.

     

    La narrazione è di Zeinab Kabil

    La voce by Laura Curino

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 3/30
    الإعجاب بالملوك المجوس: في لوحة جنتيلي دا فابريان

    رأينا النجم العظيم يسطع بين بقية النجوم ويطغي عليها حتى كادت هذه الأخيرة تحتفي عن الأعين

    في رحلةً وراء النجم للقاء الطفل هنا وفي المقدمة

    غير أن هذه نهاية القصة فقط، فهي قصة تبدأ من الشرق البعيد: تسعة أشهر من السفر، هكذا وصَلَتنَا من الأناجيل

    في القسم الأعلى للأقواس الثلاثة من إطار اللوحة نرى، بل نتتبع موكب الملوك المجوس

    في الأعلى من اليسار، نلاحظ الحكماء الثلاثة بملابسهم الذهبية في لحظة تأمل للنجم من أعلى الجبل المطل على البحر

    أتساءل: هل من المعقول أن يغيب اليقين في تلك الرحلة ويغيب حتى هؤلاء عن الوعي بالرغم من ملابسهم الثمينة؟  هل كانت الوحدة تسيطر عليهم بالرغم من روعة المسيرة ، وهل خالجهم الحنين إلى الوطن حين وصلوا إلى وجهتهم؟

     

    يخبرنا إنجيل الطفولة أن الملوك المجوس أضاعوا النجمة عند وصولهم الى القدس

     

    عندما وصلوا إلى مدينة القدس، غاب نور النجمة عنهم مؤقتًا، لذا توقفوا ونصبوا الخيام، فقال العديد من جنود الفرسان واحدهم للآخر:- والآن ما العمل؟  وبأي اتجاه علينا أن نسير؟ نحن نتجاهلهم! لأن نجمًاً كان أمامنا حتى هذا اليوم، غير أنه غاب عنا وتركنا نعاني

     

    كان هواء البحر رفيقي في رحلتي. غادرت الإسكندرية في مصر لأصل إلى بلدة صغيرة على الساحل الليغوري. كنت آنذاك في الخامسة والعشرين من عمري

    عندما وصلت إلى إيطاليا، كان كل شيء جديداً عليَّ: اللغة والثقافة والتقاليد. من هنا راودني إحساس بالضياع والضعف في مواجهة المجهول وامتلأت نفسي بخوف من الهزيمة

    حنيني للبلد الذي ولدت فيه كان قد طغى على حنين ذاك الشخص الذي كُنتُهُ عندما كنت أسكن هناك، بحياتي وعواطفي وكوني وحيدة. كان يجب أن أكون قوية بما فيه الكفاية كي لا أحتاج إلى أي شخص وكي أدرك حقيقة ضرورة مواجهة جميع تيارات الحياة الإيجابية منها والسلبية في سبيل حماية عائلتي وأطفالي

     

    في أعلى القوس الأوسط، ها هم الحكماء يعبرون ممرًا ريفيًا مبهراً في طريقهم للدخول إلى مدينة القدس. هذا الممر ملئ بالأراضي المزروعة والأشجار المزهرة التي رُسِمَت بدقة، مما يجعلني أشعر وكأنني استنشق رائحة بلادي  وأعانق  هواءه الدافئ

    :تحولت رحلة الحكماء الثلاثة إلى رحلة صيد غريبة، فها هي الفهود تمتطي ظهور الخيل. التقي الملك هيرودس بالملوك المجوس وسألهم عند لقائهم به في قصره فردوا عليه قائلين

     

    "أين المولود الجديد، ملك اليهود؟ رأينا نجمه وأتَيْنا للتعبير عن محبتنا له. "

    عند سماع ذلك، شعر الملك هيرودس وجميع من معه في القدس بالاضطراب، مما دفعه إلى الاجتماع برؤساء الكهنة والكتّاب ليستفسر منهم عن المكان الذي سيولد فيه المسيح

    أجابوه : «في بيت لحم في يهودا»، لأن هذا مكتوب بالنبي [.....]

    بعد ذلك، استدعى هيرودس الملوك سراً ليستفسر منهم عن الوقت التي ظهر فيه النجم ثم أرسلهم إلى بيت لحم قائلاً: « اذهبوا واستفسروا جلياُ عن الطفل وعندما تجدوه، أخبروني كي آتي وأعبّر عن محبتي له

     

    ربما خطر ببال الملوك المجوس أن يبحثوا عن الطفل بين الأقوياء، لكنهم كانوا مخطئين في ظنهم هذا. قد يكون هذا لأن النجم كان قد اختفى للحظات عن أبصارهم؟

     

    لقد عَجِبتُ عندما اكتشفت أن بعض العلماء يرون أن الأقواس الثلاثة لا تمثل رحلة الكهنة الثلاثة فحسب، بل أيضا رحلة الأمراء المسيحيين الثلاثة الذين أنطلقوا لتحرير القدس من العثمانيين عام 1396، أي قبل بضع سنوات من قيام جنتيلي دا فابريانو برسم هذه الرائعة الفنية. إن الأحداث التاريخية في أعين الغرب كان ينبغي أن تؤدي إلى بعث جديد-  ومن هنا ترتبط بمحبة الطفل-، غير أن هذه الأحداث كانت دموية في واقع الأمر

     

     في الأعلى من اليمين، يدخل ملوك المجوس أخيراً إلى بيت لحم ثم ينزلون إلى المكان الذي توجد به مريم والقديس يوسف والطفل

    بعد 14 سنة، إنتقلتُ أنا وعائلتي إلى فلورنسا. كان ذلك بالنسبة لي بمثابة البدء والانطلاق من جديد. ذهب البحر ولم يعد: في الأشهر الأولى كان يصعب عليَّ حتى التنفس، مما جعلني أشعر وكأن السحب تلفني فلم أعد أرى السماء. لم أكن أعرف حينها أن المجيء إلى هنا من شأنه أن يغير حياتي

     

    ها هنا، النجم الذي كانوا قد رأوه من قبل يظهروقد سبقهم حتى استقر فوق المكان الذي كان الطفل فيه. غمرتهم فرحة عظيمة عند رؤيتهم للنجم. عندما دخلوا البيت ورأوا الطفل مع أمه مريم، انحنى الثلاثة تعبيراً عن المحبَّة ثم فتحوا صناديقهم وقدموا الهدايا من الذهب واللبان والمُر

     

    اختتم الملوك الرهبان رحلتهم الطويلة في وصولهم أمام الطفل. أما النجم، فهو قريب جداً حتى تكاد اليد أن تطاله. ها هو يسطع الآن فوق رأس يوسف

    يمثل الحكماء الثلاثة القادمون من الشرق المراحل الثلاثة لعمر الإنسان: الأكبر سِنّاً قد كشف بالفعل عن رأسه وانحنى لتقبيل قدمي يسوع، أما الأوسط  فهو يقوم بخلع تاجه استعدادا، والأصغر سنا قد ترجّل عن حصانه وترك الخادم ليحل له الحلقات

    وفي المراحل المختلفة من حياتهم، كانوا جميعا قادرين على الإسهام

     

    تقول الأعراف إن الملوك المجوس هم من المنجمين والحكماء، لذا فالرحلة بالنسبة لهم كانت مصدراً للمعرفة والتجدد كما هو الحال بالنسبة لي. كان فهم المجتمع الإيطالي واللغة والثقافة الإيطاليتين قد أصبح ضرورة ملحة للبدء بالتعرف على تفكير الناس وإثبات نفسي في عملي. مرت السنون وأصبحت امرأة مستقلة، ومن خلال الكلمة أصبحت شخصاً أكثر إكتمالاً وأكثر حرية: هذا يعني بالنسبة لي إتقان لغة جديدة

    عندما أصبحت مواطنة إيطالية، بدأت بالسفر إلى أوروبا مع أطفالي، فقمت برحلات تختلف عن تلك التي دفعتني الى المجئ إلى هنا إلى إيطاليا منذ سنوات عديدة. اليوم لم أعد أخاف

    كل رحلة تعني بالنسبة لي اكتساب ثروة جديدة للقاء أشخاص جدد

     

    من ناحيته، كان جنتيلي دا فابريانو، الفنان الذي رسم هذه اللوحة الرائعة،، قد قام برحلات عديدة على عكس الفنانين الآخرين في عصره الذين فضلوا الركود والبقاء في مراسمهم. كان دا فابريانو فنانًا يحب التنقل منذ شبابه، حيث تنقل باستمرار بين مقاطعات ماركي ولومباردي والبندقية، ثم وصل أخيراً إلى فلورنسا حيث إلتقى بعالم جديد يصنع الفن الذي أقبل عليه بعقل حر وفضولي بينما ظلَّ مخلصاً لعالمه الأصلي الذي أتى منه وبقي محافظاً على فنه بالرسم على الطراز القوطي المتأخر

    هكذا، وعلى سبيل المثال، كان يستمتع بالمداعبة بالإيعاز بعمق، كما نرى في رسمه للخيول في المقدمة، لكنه في الوقت نفسه كان يحتفظ بالعديد من وجهات النظر بقدر الأحداث المَروِيّة في اللوحة، بهدف الإسهاب في التفاصيل وكذلك لإبراز أسلوبه الزخرفي والهندسي. أما اللون الذهبي فهو أحد العناصر الرئيسية في هذه التحفة الفنية حيث أن استخدامه واضح وبارز وهو يمضي في النسق من الأعلى إلى الأسفل: ينبثق من العمق غير الواقعي في حافات إطار هذه اللوحة التي تعود إلى أيقونات العصور الوسطى والتي تعبّر عن المحبة، حيث يحل اللون الذهبي محل السماء وصولاً الى المنصة حيث تصبح السماء زرقاء ويقتصر استخدام اللون الذهبي على اجزاء مناطق الضوء والأنسجة من اللوحة

     

    الانفتاح على الجديد مع الإبقاء على نفس الشخص والتمسك بالأصل: هذا ما فعلناه أنا وأولادي الثلاثة. خلال نشأتهم أحسّوا بالحرية في هذا البلد لكنهم أحسّوا أيضًا بصلابة جذورهم

    هذه القدرة على الانفتاح على الجديد مع الإحساس القوي بالأصل كان ثمرة حضوري المستمر معهم، وهو عمل رائع نتاج اعمال صغيرة

    في الصباح، في بيتنا، نستيقظ عند الفجر فيصلّي الجميع في صمت

    كذلك في وضعيات الملوك المجوس والقديس يوسف أسمع صدى هذه الصلاة، بدءً من القديس يوسف الذي يقف على مقربة من القلب: "بسم الله الرحمن الرحيم"

    يد اليسوع على رأس الملك المجوسي العجوز تبعث في نفسي شُعُوراً بالأمان والطمأنينة المنبثقة من الإيمان

     

    .في القرآن الكريم هناك آية تقول "وَقلْ رَبّي زِدني عِلْما". في الأيام الأولى لي في إيطاليا لم يكن الدعاء كافياُ لتهدئة قلقي وللتخفيف من وحدتي. لذا، ساقني العلم إلى دعاء أكثر نضجًا وأكثر وعيًا

     

    في الحديث عن الدعاء أدرك، كما في اللوحة، أن هناك وحدة كبيرة يغلب عليها اللون الذهبي. إن إدخال أجزاء بارزة يضفي شعوراً في الأبعاد الثلاثة للمشهد، تمامًا كما أن استخدام أوراق الذهب مهم لكي يجعل ثراء اللوحة أمراً واقعيًا: جنتيلي دا فابريانو يولِّد عناية خاصة للذوق والأسلوب العصري. ربما .يرجع ذلك إلى ما طلبه منه بالا ستروتسي نفسه، وهو رجل ثري فلورنسي، وكذلك الرجل المثقف الذي كلفه بهذا العمل

     

    .على المستوى الاكثر رمزية، - وهو ما تأثرت به بشكل خاص – هناك اللون الذهبي الذي يشير إلى النور الإلهي ويحدد الفضاء المقدس. حضور الله يبعث على الانسجام حتى عند وجود التنوع

    .يجمع الله جميع الكائنات الحية على الرغم من الاختلافات الخارجية بينها، لأننا في الأساس نتشابه في التكوين، فنحن من نفس اللحم ونفس العظام. بالنسبة لي شخصياً إن التقرب من الدين يثريني أكثر فأكثرلأنه في عالم أشعر دوماً أنه فاسد وغير إنساني. لذا، إن حضور الله يمنحني الأمل في المضي قدماً

    .الثراء الحقيقي لا يكمن في القيمة المادية للذهب بل في الإيمان والمعرفة والتنقل

     

    .اللون الذهبي يبعث على الانسجام بين المتنوعات وفي عالم الفنان جينتيلي هناك تناغم بين متنوعات كثيرة

    .في هذا النسق الفلورنسي، يقوم جنتيلي دا فابريانو بإدراج صور دقيقة للغاية للنباتات والحيوانات على وجه التحديد، وهو أسلوب فني بناه خلال رحلاته في البيئة اللومباردية: الغزال في لحظة الهروب، القرود، الفهود تمتطي الخيل أثناء الصيد، طائر الجاي يهاجمه طائر جارح والكلب والخيول في المقدمة

     

    لا يقتصر التنوع على الطبيعة فحسب، بل يشمل الملابس أيضاً، فهناك الملابس القديمة لمريم ويوسف من جهة والمعاصرة منها في ملابس الملوك المجوس والفرسان من جهة أخرى. يتكرر هذا الأمر في المرأتين اللتين تقفان خلف ماريا وفي الحشود وراء الملوك وفي مجاميع القبعات والعمائم وفي الأحرف العربية الموجودة في هالة مريم ويوسف وكذلك على حقيبة الكتف لراعي الخيل وهو يحمل سيف أحد المجوس

     

    أما أكثر شئ مثير للدهشة في هذا التنوع فهي وجوه هؤلاء الرجال وإيماءاتهم وتعابيرهم، فاحدهم ينظر إلينا: وهو بالا ستروتسي. بعد بضع سنوات من تكليفه بهذا العمل، كان عليه مغادرة فلورنسا والذهاب إلى المنفى في بادوفا، لكنه تمكن بعد ذلك من نشر العلوم والجمال مع الفنانين والكتّاب في مدن فينيتو أيضا. إنها رحلة من رحلاته، بالرغم من أن جنتيلي لم يكن يعرف ماذا كانت الحياة تخبئ له عندما قام بتنفيذ هذا العمل عام 1423

    .كان الملوك المجوس قد أوحي إليهم في المنام بعدم العودة إلى هيرودس، ولكنهم عادوا الي بلادهم من "طريقٍ آخر"

     

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 4/30
    Beato Angelico (attr.), Tebaide

    In questo dipinto, nessuno è solo.

    Ecco che cosa mi ha affascinato subito avvicinandomi alla Tebaide: un brulicare di vita in quello che dovrebbe essere il deserto vicino a Tebe, in Egitto.

    Posso sentire le voci dei tanti personaggi che lo percorrono e lo abitano; posso sentire il vento che soffia sul fiume increspandone la superficie, e tra gli alberi scompigliandone le chiome.

    È un paesaggio idealizzato, ma descritto nei minimi dettagli.

    Un luogo dove la natura è amica dell’uomo, e l’uomo amico della natura.

    Solo le montagne in lontananza hanno un aspetto brullo e desolato.

    Dovrebbe essere un deserto, eppure è un giardino; dovrebbe essere un luogo di solitudine, eppure pullula di relazioni. Come scriveva Atanasio, vescovo di Alessandria, il deserto era diventato “una città”.

    Mashhad è il nome di una città santa nel nord-est dell’Iran. È qui che, nell’817 d.C., morì Reza, l’ottavo imam degli sciiti, per il quale fu edificato un imponente mausoleo.  Da allora, quello che era un piccolo villaggio si è trasformato non solo in una grande città, ma nella meta di pellegrinaggio più importante del mio paese. Ogni anno, nelle sue strade riecheggiano i passi di 25 milioni di sciiti iraniani e stranieri. Per questo, intorno al mausoleo è cresciuto un santuario che è una vera e propria città nella città.

    Il cuore del santuario è sempre molto affollato, anche a notte fonda. I pellegrini cercano di toccare il recinto sacro con la mano, se non è possibile almeno con un dito, ed è sufficiente... In quel luogo capita di ascoltare tante vicende umane. Nascono relazioni anche tra sconosciuti. Poi, quando la gente prega, scende il silenzio personale.

    Il paesaggio della Tebaide, a tratti inospitale, è reso vivo dalle relazioni che lo abitano: un luogo non solo di isolamento, ma di condivisione e di scambio.

    Penso che in fondo questo dipinto rispecchi i due poli della vita, non solo religiosa: c’è uno spazio per il silenzio, e uno per le relazioni. Sta a noi trovare un equilibrio.

    Il disordine della scena davanti ai nostri occhi è solo apparente: a un primo sguardo, l’assenza di un centro ci lascia disorientati, ma ogni scena ha un suo preciso significato simbolico. Gli episodi ritratti si rifacevano più o meno direttamente a fonti letterarie, prima fra tutte una raccolta di testi agiografici detti Vite dei Padri del deserto, che incominciarono ad arrivare in Italia già prima del Quattrocento e vennero via via tradotti dal greco in latino e in volgare.

    La fortuna delle Tebaidi, affreschi o dipinti su tavola che rappresentavano le vicende di uomini (e donne) famosi per la loro spiritualità o virtù, fu decretata dalla crescente diffusione in Italia delle Vite dei Padri, che a sua volta era strettamente collegata alla nascita degli ordini cosiddetti predicatori: i francescani e i domenicani. Questa fortuna, tuttavia, fu particolarmente effimera: le Tebaidi oggi a noi note, una decina in tutto inclusa quella degli Uffizi, sono state realizzate per lo più a Firenze nel giro di soli cinquant’anni, a partire dai primi decenni del Quattrocento. Poi, scomparvero improvvisamente, così come erano improvvisamente apparse.

    Ma questo è solo l’inizio della loro storia e del loro viaggio attraverso il tempo: le Tebaidi, più spesso dipinte su tavola che su affresco, sono state sradicate dal loro contesto di appartenenza, in alcuni casi tagliate e smembrate.

    Anche io e i miei amici siamo stati divisi. Eravamo in sette, ci siamo conosciuti al primo anno di liceo. Andavamo in montagna insieme. D’inverno era bellissimo, non si sapeva quanto la neve fosse profonda, e così andavamo in fila indiana, e chi era davanti lasciava le impronte che gli altri seguivano. Quando si sprofondava, le nostre risate risuonavano nella montagna. Poi si riscaldava il cibo su piccoli fornelli. Fuori dal rifugio, al tramonto, stavamo in cerchio, mangiavamo e ridevamo, si godeva sia della natura che dello stare insieme.

    Con l’avvento della Rivoluzione, e poi con la guerra con l’Iraq, siamo tutti partiti o fuggiti. Tutti tranne uno. Per anni ci siamo persi di vista. Poi, quando ognuno di noi si è sistemato, siamo riusciti a riprendere i contatti.

    Da sette anni, ogni anno, ci diamo appuntamento. Tutti tranne uno, Ali Reza, l’amico che è rimasto in Iran. È bello ritrovarsi, come parti smembrate di un dipinto e ora ricomposte.

    Sulla riva del fiume, un monaco ne accoglie un altro appena arrivato in barca. O è lui che sta salendo a bordo, per ripartire insieme?

    L’acqua è uno dei protagonisti della Tebaide. Le sorgenti, il grande fiume e, sulla sinistra in primissimo piano, uno stretto che probabilmente conduce al mare. È l’acqua a trasformare il deserto in un’oasi. È l’acqua a renderlo un luogo dove si può abitare.

    Nel santuario di Mashhad, nove grandi cortili porticati sono stati costruiti per accogliere i pellegrini; in molti di essi zampilla una bella fontana, con i rubinetti per permettere ai fedeli di purificarsi prima della preghiera, e non mancano enormi contenitori di acqua fresca per dissetarsi in estate.

    Ovunque si sente il profumo inebriante dell’acqua di rose.

    Le Tebaidi su affresco erano visibili a molti, e avevano una finalità narrativa, didascalica. Quelle su tavola, visibili a pochi, erano un supporto per la meditazione, in quanto immagini “utili all’anima” la cui contemplazione conduceva a Dio. Probabilmente si trovavano nella sala capitolare, luogo identitario per la comunità monastica. Era in questo spazio che la sera, dopo la cena nel refettorio, un passo delle Vite dei Padri era letto ad alta voce da un confratello, per essere poi visualizzato da ogni monaco nel silenzio della propria cella e accompagnare la meditazione notturna.

    Mi piace pensare che quei monaci vivessero qualcosa di simile alle sensazioni che provo quando sono in digiuno nel mese di Ramadan. È una purificazione che allena il cervello e il cuore. Come vaccinarsi per rafforzare il sistema immunitario. Come raggiungere un livello di concentrazione che sospende la fame e la sete.

    Da bambino andavo in moschea, il papà mi portava e si pregava con gli altri. Mi piaceva che ci fosse tanta gente; dopo la preghiera, si parlava, si stava insieme. Poi, la predicazione è diventata troppo intollerante. Non amo chi crede di possedere la verità e non accetta gli altri nella loro diversità. Da tanti anni ormai prego da solo.

    Nella Tebaide, i monaci hanno ognuno la sua cella, la sua grotta, il suo eremo, ma convivono nella preghiera.

    Le relazioni tra monaci sono piene di gesti di cura. Nessuno comanda. Nessuno si sente migliore degli altri.

     

    La narrazione è di Mohammad Aletaha

    La voce è di Marco Paolini

     

  • 5/30
    Beato Angelico (attr.), Tebaide

    Sulla riva del fiume, un monaco ne accoglie un altro appena arrivato in barca. O è lui che sta salendo a bordo, per ripartire insieme?

    L’acqua è uno dei protagonisti della Tebaide. Le sorgenti, il grande fiume e, sulla sinistra in primissimo piano, uno stretto che probabilmente conduce al mare. È l’acqua a trasformare il deserto in un’oasi. È l’acqua a renderlo un luogo dove si può abitare.

    Nel santuario di Mashhad, nove grandi cortili porticati sono stati costruiti per accogliere i pellegrini; in molti di essi zampilla una bella fontana, con i rubinetti per permettere ai fedeli di purificarsi prima della preghiera, e non mancano enormi contenitori di acqua fresca per dissetarsi in estate.

    Ovunque si sente il profumo inebriante dell’acqua di rose.

    Le Tebaidi su affresco erano visibili a molti, e avevano una finalità narrativa, didascalica. Quelle su tavola, visibili a pochi, erano un supporto per la meditazione, in quanto immagini “utili all’anima” la cui contemplazione conduceva a Dio. Probabilmente si trovavano nella sala capitolare, luogo identitario per la comunità monastica. Era in questo spazio che la sera, dopo la cena nel refettorio, un passo delle Vite dei Padri era letto ad alta voce da un confratello, per essere poi visualizzato da ogni monaco nel silenzio della propria cella e accompagnare la meditazione notturna.

    Mi piace pensare che quei monaci vivessero qualcosa di simile alle sensazioni che provo quando sono in digiuno nel mese di Ramadan. È una purificazione che allena il cervello e il cuore. Come vaccinarsi per rafforzare il sistema immunitario. Come raggiungere un livello di concentrazione che sospende la fame e la sete.

    Da bambino andavo in moschea, il papà mi portava e si pregava con gli altri. Mi piaceva che ci fosse tanta gente; dopo la preghiera, si parlava, si stava insieme. Poi, la predicazione è diventata troppo intollerante. Non amo chi crede di possedere la verità e non accetta gli altri nella loro diversità. Da tanti anni ormai prego da solo.

    Nella Tebaide, i monaci hanno ognuno la sua cella, la sua grotta, il suo eremo, ma convivono nella preghiera.

    Le relazioni tra monaci sono piene di gesti di cura. Nessuno comanda. Nessuno si sente migliore degli altri.

     

    La narrazione è di Mohammad Aletaha

    La voce è di Marco Paolini

  • 6/30
    تبایده: منسوب به «بئاتو آنجلیکو» در این نقاشی، کسی تنها نیست

    .این همان چیزی است که در نزدیک‌شدن به تابلوی «تبایده» (در ایتالیایی به‌معنی عزلت‌گاه) که منتسب به «بئاتو آنجلیکو» است، مرا مسحور می‌کند: لبریز از زندگی، در جایی که باید یک صحرا در نزدیکی «تبه» در مصر باشد

    .می‌توانم صدا‌های شخصیت‌های تابلو را حس کنم. می‌توانم باد را حس کنم که روی رودخانه می‌وزد و موج‌های کوچکی ایجاد می‌کند. هم‌چنین بادی که میان درختان، آرامش شاخه‌ها و برگ‌ها را به‌هم می‌زند

    .منظره‌ای‌ست که به سبک آرمان‌گرایانه تصویر شده است اما تمام جزئیات آن به‌خوبی توصیف شده‌اند: انسان‌ها، حیوانات، ساختمان‌ها، درختان، پرچین‌ها و کوه‌ها

    جایی‌که در آن طبیعت، دوستِ انسان است و انسان، دوستِ طبیعت؛ چشمه‌هایی که از آن‌ها آب گرفته می‌شود، رودخانه‌ای بزرگ در نزدیک‌ترین نما، پوشش گیاهی انبوه، باغچه‌، که میوه می‌دهد، گوزن، که اجازه می‌دهد از او شیر گرفته شود، شیرهایی که گاری را می‌کشند، کلاغ که برای زاهدان نان می‌آورد، تمساح که دو راهب را از رودخانه عبور می‌دهد- آن اژدها نیست! چیزی که ممکن است در نخستین نگاه به چشم بیاید-

    .تنها کوه‌ها در دوردستِ تصویر، ظاهری عریان و بدون گیاه دارند

    .باید یک صحرا باشد امّا، امّا یک باغ است. باید مکانی برای گوشه‌‌نشینی باشد امّا، امّا پر از «ارتباط» است

    در حقیقت همهٔ این‌ها در تناقض با این موضوع هستند که شخصیت‌های تصویرشده در «تبایده»، مراکز مسکونی را رها کرده و به صحرا پناه آورده بودند تا یک زندگیِ در انزوا را پیشه کنند. اما صحرا در نهایت به «یک شهر» تبدیل شده بود. همان‌طورکه «آتانازیو»، اسقف اسکندریه، در کتاب «زندگی آنتونیوی زاهد» نوشت

     

    مشهد نام‌ یک شهر مقدس در شمال شرقی ایران است. معنی آن «محل خاک‌سپاری شهید» است. در سال ۸۱۷ میلادی، «رضا» هشتمین امام شیعیان در این محل درگذشت که برای او آرام‌گاهی باشکوه و متمایز ساخته شد. از آن پس، محلی که روستایی کوچک بود، نه‌‌تنها به شهری بزرگ تبدیل شد، بلکه امروزه به‌عنوان مهم‌ترین زیارت‌گاه کشور من نیز محسوب می‌شود. شهری که هر سال، صدای گام‌های ۲۵ میلیون شیعهٔ ایرانی و خارجی در خیابان‌هایش طنین می‌اندازد. در تعطیلات و مراسم ویژه، جمعیّت سه برابر هم می‌شود. برای همین موضوع، به‌ویژه در سال‌های اخیر، دورتادور حرم بناهایی ساخته شده که مرقد را به «شهری در دل شهر» تبدیل کرده است

    تمام خیابان‌های اصلی مشهد به مرقد امام رضا می‌رسند و از همه‌جا گنبد طلایی حرم دیده می‌شود. وقتی زائران آن‌را می‌بینند مبهوت می‌مانند و چند لحظه برای سلام‌دادن می‌ایستند. در میان آن‌ها زائرانی دیده می‌شوند که یا در حال دعا هستند، یا برای داشتن این فرصت خدا را شکر گفته، و یا گریه می‌کنند. با دیدن این صحنه‌ها است که متوجه می‌شویم برای زائران، رسیدن به این محل چقدر مهم ا

    درون حرم همیشه مملو از جمعیت است، حتی بعد از نیمه‌شب. زائران سعی می‌کنند دست‌شان را به ضریح مقدس برسانند، اگر امکان آن وجود نداشته باشد، سعی می‌کنند دست‌کم با انگشتان آن را لمس کنند، چون همین هم برای آن‌ها کافی است. از امام برای رفع مشکلات‌شان کمک می‌خواهند: درخواست شفا برای فامیلی بیمار، قبول‌شدن در کنکور دانشگاه برای فرزند وغیره

    در این محل می‌توان داستان زندگی بسیاری از مردم را شنید. در این‌جا افراد ناشناس نیز باهم ارتباط برقرار می‌کنند. و هنگام شروع نماز، سکوت میان نمازگزاران ایجاد می‌شود درحالی‌که جمعیت بسیاری، هم‌چنان در حرکت هستند.

     

    .دورنمای «تبایده» که به‌نظر غیرمسکونی می‌آید، با روابط میان کسانی که در آن زندگی می‌کنند، زنده شده است: محلی که نه‌فقط برای گوشه‌نشینی راهبان، بلکه برای اشتراک و تبادل‌نظر هم هست

    .در مجموع فکر می‌کنم این نقاشی تنها جنبهٔ مذهبی ندارد و انعکاس دو قطب زندگی می‌باشد: فضایی برای سکوت، و فضایی برای ارتباط‌برقرارکردن. این ما هستیم که باید به تعادل میان این دو، دست پیدا کنیم

    بی‌نظمی صحنه‌ها که در مقابل چشمان ما صف‌آرایی می‌کنند، ظاهری است: در نخستین نگاه از زاویهٔ دید بالا، نبود یک نقطهٔ مرکزی بیننده را سردرگم می‌کند. به‌گونه‌ای که به‌نظر می‌رسد تمام شخصیت‌ها و داستان‌ها در یک سطح قرار داده شده‌اند، اما درواقع، هر صحنه، معنای دقیق سمبلیک خود را دارد. اپیزودهای کشیده‌شده تخیلی نیستند؛ کم‌وبیش به‌طورمستقیم از منابع ادبی و گه‌گاه از سرود‌های مذهبی برگرفته شده‌اند. علاوه بر این‌ها، از گردآوری متن‌های مذهبی با عنوان «زندگی پدران روحانی در صحرا» نیز اقتباس شده‌اند. متن‌های مذکور که پیش از قرن ۱۵ میلادی به ایتالیا آورده شدند، از یونانی به لاتین و نیز به زبان گفتاری ترجمه شدند. محور این متن‌ها روی وقایع زندگی راهبان و قدیسانی می‌چرخد که از شروع قرن سوم میلادی، زندگی در انزوا و دور از جامعه را انتخاب کرده بودند. گروهی که نخستین اجتماع متشکل از راهبان را در سوریه، فلسطین و به‌ویژه در مصر تشکیل داده بودند

    «تبایده‌ها»، نقاشی‌های دیواری یا نقاشی روی چوب، همان‌طورکه گفته شد معرف زندگی مردان (و زنان)ی هستند که برای روحانیت و فضیلت‌شان معروف هستند. این سبک از زندگی با افزایش پراکندگی زندگیِ پدران روحانی در ایتالیا به‌وجود آمد، که به‌نوبهٔ‌خود برگرفته از فرقه‌های دومنیکن‌ها و فرانسیسکویی‌ها بود. این ماجرا، در هر صورت بی‌دوام بود: موضوعی که مرا تحت تأثیر قرار داد، این است که بیش‌تر «تبایده»‌هایی که می‌شناسیم (حدود ده «تبایده»، شامل تابلویی که در «اوفّیتزی» وجود دارد) در فلورانس و فقط در طول ۵۰ سال، (از آغاز نخستینِ دهه‌های ۱۴۰۰) خلق شدند و بعد از آن، همان‌طورکه ناگهان ظاهر شده بودند ناگهان هم ناپدید شدند

    .اما این تابلوها، تنها نمایان‌گر آغاز داستان و سفر آن‌ها در طول زمان هستند؛ از آن‌جا که آن‌ها نقاشی روی چوب را به‌جای نقاشی دیواری برگزیدند، دیگر به زمینهٔ اصلی «تبایده»‌ها توجه نشد و به زمینه‌های زیادی تفکیک داده شدند

    ***

    من و دوستانم نیز از هم جدا شدیم. هفت نفر بودیم که در نخستین سال دبیرستان باهم آشنا شدیم. باهم به کوه می‌رفتیم. در برخی قسمت‌های کوه به‌دلیل صخره‌ای‌بودن، صعود بسیار مشکل بود و برای همین از میله‌هایی که در صخره‌ها قرار داده شده بود، استفاده می‌کردیم. زمستان بسیار زیبا بود، نمی‌توانستیم بفهمیم چقدر برف عمیق است، و به‌همین دلیل به‌صورت یک صف پشت‌سرهم حرکت می‌کردیم. به‌نوبت، کسی در سر صف قرار می‌گرفت تا بقیه جای پای او را دنبال کنند. وقتی کسی در برف فرومی‌رفت، صدای قهقهقهٔ ما در کوهستان می‌پیچید. هنگامی‌که به پناه‌گاه می‌رسیدیم، غذا را در گاز پیک‌نیکی گرم می‌کردیم و در غروب آفتاب، خارج از پناه‌گاه دور هم می‌نشستیم، می‌خوردیم و می‌خندیدیم. از طبیعت و دورهم‌بودن لذّت می‌بردیم

     

    بعد از انقلاب و شروع جنگ با عراق، همهٔ ‌ما به‌جز یکی، ایران را ترک کردیم. برای مدتی ازهم خبری نداشتیم. بعدها، هنگامی‌که هرکدام از ما با محیط سازگار شدیم (یکی در آلمان، یکی در سوئد، یکی در ایتالیا و دیگری در اتریش)، موفق شدیم دوباره باهم تماس برقرار کنیم و این به‌‌وسیلهٔ تنها دوستی که در ایران باقی مانده بود، شکل گرفت. گه‌گاه هرکدام از ما که فرصتی پیدا می‌کرد، به دیدن دوستی می‌رفت اما فرصت این‌که همگی باهم‌ باشیم،‌ پیش نیامده بود. بعد، هفت سال پیش، در یک تماس تلفنی، با دوستی که مقیم اتریش است، در مورد این‌که باید کاری کرد تا بتوانیم همگی دورهم جمع شویم، صحبت به‌میان آمد

    همان صحبت باعث شد که با بقیه هم در این مورد صحبت کنم و این‌چنین، هفت سال است که هر سال برای دیدار دوباره قرار ملاقات می‌گذاریم. همه باهم به‌جز یک نفر، - علی‌رضا - دوستی که در ایران مانده است. بیش‌تر از محل ملاقات، فرصت چند روزهٔ باهم‌بودن برای‌مان مهمّ است. باهم‌بودن بسیار زیباست، مانند قسمت‌های جداشدهٔ یک نقاشی که حالا به‌هم پیوسته‌اند. هربار که ‌دورهم جمع می‌شویم دوباره جوان می‌شویم. خوش‌بختانه هیچ‌کس تغییر نکرده است

    ***

    در کنار رود، راهبی به استقبال راهب دیگری رفته که با قایق آمده است، یا این‌که شاید او برای عازم‌شدن با راهب دیگر درحال سوارشدن به قایق است؟

    آب یکی از شخصیت‌های «تبایده» است. چشمه‌ها، رودخانهٔ بزرگ، و در سمت چپ در نمای نزدیک، تنگه‌ای که احتمالاً به دریا ختم می‌شود. این آب است که این صحرا را تبدیل به یک آبادی کرده و این بازهم آب است که این مکان را قابل سکونت کرده است. در صحنهٔ بالا سمت راست، جایی‌که «آنتونیو» و «پائولو»، نانی را که کلاغ آورده است، تقسیم می‌کنند هم یک چشمه وجود دارد. در کتاب «زندگی پدران روحانی» خوانده می‌شود که این محلّی است که در آن به‌خواستهٔ خداوند، «پائولو» بتواند تغذیه و سیرآب شود و هم‌چنین پناه‌گاهی داشته باشد

    ***

    در حرم مشهد مقدس ، ۹ صحن برای استقبال از زائران ساخته شده است که هرکدام‌ از این صحن‌ها با ویژگی و حال و هوایی به‌خصوص، متقاوت از دیگری است. در تعدادی از این صحن‌ها، فواره‌هایی با شیرهای آب به‌چشم می‌خورند که جهت تطهیر مؤمنان برای نماز ساخته شده‌اند. وجود «سقاخانه» یکی دیگر از ویژگی‌های این صحن‌ها است. از همهٔ این صحن‌ها، راه برای رسیدن به مرقد و ضریح مقدس وجود دارد. کف مرمر رواق‌ها پوشیده از فرش است و دیوارها آینه‌کاری شده‌اند. آن‌چه زیبایی رواق‌های حرم را دوچندان می‌کند، لوستر‌های عظیم کریستالی گوناگون و متنوعی هستند که در سقف‌ها به‌کار گرفته شده‌اند. درخشش و انعکاس نور در کریستال‌های آویزان از چل‌چراغ‌ها و لوسترها، در آینه‌کاری‌ها، در معرق‌کاری در کاشی‌کاری‌های رواق‌ها، چشم هر بیننده‌ای را مسحور می‌کند. همه‌جا بوی مست‌کنندهٔ گلاب به مشام می‌رسد

    ***

    در امتداد رودخانه، نزدیک پل، مردی یک پارچ سفالی به دوش دارد. صحنه بدون دانستن داستان این مرد، معمولی به‌نظر می‌رسد، اما به‌لطف محققان متوجه می‌شویم که این صحنه دربارهٔ اپیزودی است که در زندگی پدران روحانی آمده است. اپیزودی مربوط به موسی، معروف به «موسای اتیوپی»، که «سردستهٔ دزدان منطقه» بود اما توبه کرد. او راه راست را درپیش گرفت و یک زندگی زاهدانه را انتخاب کرد؛ این‌گونه که برای فرار از افکار خبیث ناشی از تحریک شیطان - که به‌ویژه در خواب او را عذاب می‌دادند – به‌محض این‌که شب می‌شد از اتاق خود بیرون می‌آمد و در صحرا، از اتاق این زاهد به اتاق زاهد دیگر که در خواب بودند پرسه می‌زد، و اگر متوجه می‌شد که احتیاج به آب دارند، کوزه سفالی آن‌ها را برداشته، به‌دنبال آب می‌رفت و به‌صورت پنهان، بدون آن‌که راهبان متوجه شوند چه کسی این‌کار را کرده است، کوزه پر از آب برای‌شان می‌آورد

    ***

    در ایران‌، در امتداد پیاده‌روها همیشه محفظه‌های بزرگ آب خنک وجود دارد تا هیچ‌کس احساس تشنگی نکند. این محفظه‌ها یا از طرف شهرداری گذاشته می‌شوند و یا از طرف شهروندان خیّر. این رسم رایج در میان مسلمانان شیعه، برای اپیزود جنگ کربلا است، جایی‌که امام حسین، نوهٔ پیامبر اسلام، همراه بیش از هفتاد نفر از خانواده و پیروانش به شهادت رسیدند. روایت می‌شود که «دشمنان، امام حسین و یارانش را در تنگنا قرار دادند، طوری که راه رسیدن به آب را بر آن‌ها بستند. این‌چنین، گروه از تشنگی از توان افتاد. خود امام حسین درحالی‌که قصد نوشیدن آب داشت کشته شد

    از این گذشته، روایت است که پیامبر می‌گوید: «... در روز قیامت خداوند بر سه کس نگاه نخواهد کرد؛ کسانی که مکافات سنگینی در انتظارشان است: ...»؛ که یکی از آن‌ها کسی است که «در صحرا با این‌که آب زیادی برایش باقی مانده به ره‌گذر دیگری ندهد

    ***

    «تبایده»‌هایی که روی دیوار کشیده شده‌اند، (مانند آن نقاشی که در «کمپو سنتوی پیزا» وجود دارد) برای بسیاری قابل‌مشاهده بود زیرا هدف از کشیدن آن‌ها روایت و یادگیری بود. امّا نقاشی‌های «تبایده»ٔ روی چوب، جنبهٔ مدیتیشن داشتند زیرا تصویرهای «روح‌پرور و تفکربرانگیز آن‌ها»

    زاهدا  را به خدا نزدیک‌تر می‌کردند (به احتمال زیاد این تابلوها در سالن گردهمایی صومعه‌ها قرار داشتند.در این فضا، شب‌ها بعد از شام، قسمتی از داستان‌های زندگی پدران روحانی توسط کشیش جوانی با صدای بلند خوانده می‌شد. طوری که دیگر کشیشان، آن‌را در اتاق‌شان در سکوت گوش کنند و با آن مدیتیشن شبانه کنند

     

    دوست دارم این‌طور فکر کنم که آن راهبان در مدیتیشن‌هایشان همان چیزی را احساس می‌کردند که من هنگام روزه‌گرفتن در ماه رمضان احساس می‌کنم. روزه‌گرفتن برای تطهیر روح است و مغز و قلب را تمرین می‌دهد. مانند یک واکسن برای قوی‌کردن سیستم ایمنی بدن در دفاع از وسوسه‌ها، مانند دفاع بدن در مقابل ویروس‌ها و باکتری‌ها‌. مثل رسیدن به سطح تمرکزی که در آن گرسنگی و تشنگی در طول روز حس نشود

    در دوران کودکی پدرم مرا به مسجد می‌برد. با دیگران نماز می‌خواندیم، بعد از نماز در صحبت‌های امام جماعت بحث سیاسی شنیده نمی‌شد. از این‌که در جمع افراد زیادی در مسجد بودیم، خوشم می‌آمد، اما بعدها، موعظه‌ها بسیار متعصبانه شدند که این، با عقاید من به‌شدت مغایر بودند و هنوز هستند. افکار کسانی را که فکر می‌کنند واقعیت را در اختیار دارند و دیگران را با تفاوت‌هایشان نمی‌پذیرند، به‌هیچ‌وجه نمی‌پسندم. دیگر سال‌هاست که به‌تنهایی نماز می‌خوانم

    ***

    در تبایده، هر زاهدی اتاق، غار و انزوای خود را دارد اما در دعاکردن باهم هستند. ارتباط میان راهبان مملو از رفتار دوستانه است. هیچ‌کس فرمان نمی‌دهد‌ و هیچ‌کس حس برتری نسبت به دیگری را ندارد

  • 7/30
    Masaccio e Masolino, Sant’Anna Metterza

    Una mano sulla spalla dà conforto, anche se piccola, sottile e apparentemente fragile.

    Qui, davanti a questa visione celeste, il mio sguardo è spinto dal basso verso l’alto e viceversa, questa duplice maternità è racchiusa tutta in questa linea verticale che segna un passaggio generazionale: affetto, protezione, solidarietà, fiducia, coraggio, dall’una all’altra fino al piccolo sulle ginocchia della madre, ma non è una trasmissione fatta di parole, quanto di gesti e di presenza, è un legame forte ma gentile.

    Adesso in questa stanza c’è una madre che tiene il figlio sulle ginocchia, ed un’altra che protegge e guida. Uno sguardo che segue con affetto e che conosco. Sono madre di due bambine, ma prima di tutto sono stata figlia. Tra me e la mia mamma, gli stessi piccoli gesti quotidiani di cura che sono stati molto di più, hanno detto altro. Lei dietro di me che mi parlava mentre mi pettinava i capelli, ed io ascoltavo le sue parole che si ripetevano, spesso uguali: raccomandazioni, piccole e profonde riflessioni sulle cose, mentre il mio sguardo era assorto nei pensieri, ed io proiettata già altrove nelle cose della giornata, nelle preoccupazioni del momento.

    Gli angeli si muovono attorno a quest’apparizione, reggono il drappo d’onore, agitano il turibolo, guidano lo sguardo verso loro tre al centro, l’un l’altro uniti dalla vita.

    L’abito di Maria sottolinea delicatamente il suo corpo, che sembra ancora segnato dalla gravidanza.

    Sant’Anna nella tradizione popolare è la protettrice delle puerpere. La sua è una presenza sicura dietro a Maria. La mano sinistra è sospesa a mezz’aria, si allunga nello spazio vuoto sopra il Bambino e sembra voler circoscrivere uno spazio di protezione ben visibile ai suoi occhi.

    Sono in una stanza grigia, è giorno, ma la luce è tutta artificiale. Mi sento sola e vorrei una mano a cui aggrapparmi per trovare il coraggio, per affrontare questo momento che cambierà per sempre la mia vita. Nella mia mente risuonano ancora le parole di qualcuno che mi suggeriva come la mano che cercavo fosse la tua, Emma.

    C’è stato tanto dolore, ma la tua manina ci ha portato fuori, alla luce vera, entrambe.

    Come la piccola mano di Gesù appoggia dolcemente sul braccio della mamma, quasi una lieve carezza per sentire il suo corpo e accompagnarla nel suo abbraccio.

    La Sant’Anna raffigurata alle spalle di Maria, che sembra sorreggere tutta la famiglia, veniva anche detta “metterza”, cioè messa in terza posizione rispetto alle figure della Madonna e del Bambino. Fu commissionata dai Bonamici, tessitori in Firenze, per la loro cappella in Sant’Ambrogio.

    La tavola fu dipinta da due maestri della pittura fiorentina del primo Quattrocento: Masolino e Masaccio, due artisti con temperamenti differenti, che in quest’opera trovano uno straordinario equilibrio.

    Una collaborazione così serrata in una pala d’altare non è un’eccezione nel mondo della bottega dell’arte, dove più persone lavoravano fianco a fianco per realizzare le commissioni sotto l’attenta guida del maestro.

    Una mano sulla spalla significa collaborazione, interazione. Le vicende umane e artistiche di Masaccio e Masolino si intrecciano nel rispetto delle differenze. Forse il più giovane si è affidato al più anziano, e chissà se Masolino abbia effettivamente esteso la sua protezione verso di lui.

    Ma il futuro è nelle mani di Masaccio, così come quello di Maria è tra le sue, nel bambino che tiene sulle ginocchia, piccolo ma già potente.

    La maternità è un viaggio ricco di emozioni e di sentimenti forti e contrapposti. Non ti aspetteresti che proprio quell’essere così piccolo e indifeso nasconda dentro la forza che ti può guidare in questa nuova esperienza, come se racchiudesse al suo interno tutto il sapere della vita che si rinnova ogni volta.

    Ti ho vista per la prima volta da una porta lasciata aperta. Prima eri solo un’immagine, fogli di carta: ne abbiamo compilati tanti, prima di concludere l’iter della tua adozione.

    Sei entrata nella stanza dove ti aspettavamo io e il babbo; ti sei fermata, impaurita. L’emozione mi ha attraversata in tutto il corpo. Non sapevo se potevo toccarti. Poi ti ho asciugato le lacrime, ho preso le tue manine e ti ho sussurrato un canto nella tua lingua; un canto che avevo preparato per il nostro incontro. Mi hai guardato, ti ho preso in collo, le mie mani finalmente ti stringevano In quel momento le nostre vite si sono intrecciate e siamo diventati famiglia, Sofia Zhiqun.

     

    La narrazione è di Silvia Barlacchi

    La voce è  di Paola Roscioli

    Sant'Anna, la Madonna col Bambino e cinque angeli ("Sant'Anna Metterza")
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 8/30
    Masaccio e Masolino, Sant’Anna Metterza

    La tavola fu dipinta da due maestri della pittura fiorentina del primo Quattrocento: Masolino e Masaccio, due artisti con temperamenti differenti, che in quest’opera trovano uno straordinario equilibrio.

    Una collaborazione così serrata in una pala d’altare non è un’eccezione nel mondo della bottega dell’arte, dove più persone lavoravano fianco a fianco per realizzare le commissioni sotto l’attenta guida del maestro.

    Una mano sulla spalla significa collaborazione, interazione. Le vicende umane e artistiche di Masaccio e Masolino si intrecciano nel rispetto delle differenze. Forse il più giovane si è affidato al più anziano, e chissà se Masolino abbia effettivamente esteso la sua protezione verso di lui.

    Ma il futuro è nelle mani di Masaccio, così come quello di Maria è tra le sue, nel bambino che tiene sulle ginocchia, piccolo ma già potente.

    La maternità è un viaggio ricco di emozioni e di sentimenti forti e contrapposti. Non ti aspetteresti che proprio quell’essere così piccolo e indifeso nasconda dentro la forza che ti può guidare in questa nuova esperienza, come se racchiudesse al suo interno tutto il sapere della vita che si rinnova ogni volta.

    Ti ho vista per la prima volta da una porta lasciata aperta. Prima eri solo un’immagine, fogli di carta: ne abbiamo compilati tanti, prima di concludere l’iter della tua adozione.

    Sei entrata nella stanza dove ti aspettavamo io e il babbo; ti sei fermata, impaurita. L’emozione mi ha attraversata in tutto il corpo. Non sapevo se potevo toccarti. Poi ti ho asciugato le lacrime, ho preso le tue manine e ti ho sussurrato un canto nella tua lingua; un canto che avevo preparato per il nostro incontro. Mi hai guardato, ti ho preso in collo, le mie mani finalmente ti stringevano In quel momento le nostre vite si sono intrecciate e siamo diventati famiglia, Sofia Zhiqun.

     

    La narrazione è di Silvia Barlacchi

    La voce è  di Paola Roscioli

    Sant'Anna, la Madonna col Bambino e cinque angeli ("Sant'Anna Metterza")
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 9/30
    Sandro Botticelli, Annunciazione (affresco staccato)

    Questo affresco è stato dipinto per la chiesa di San Martino presso lo Spedale di Santa Maria della Scala a Firenze, un luogo in cui venivano accolti i bambini abbandonati. Subito penso: ecco perché nell’opera Maria ha un vuoto tra le braccia e un’espressione che a me sembra accigliata. Non credo che in questo mondo esista una madre che vuole davvero lasciare il suo bimbo. Sicuramente c’è una causa inenarrabile.

    Dal 1478 al 1479 Firenze fu colpita da una terribile pestilenza, e molte delle vittime dell’epidemia trovarono sepoltura nel monastero annesso alla chiesa.

    Nel 1481, Botticelli fu pagato per la realizzazione di un’Annunciazione, probabilmente un ex-voto a Maria per la fine della peste. La natura sullo sfondo, così tranquilla, bella, senza malanno, poteva dare conforto alle persone. L’angelo poteva portare loro una buona notizia.

    Non credo sia casuale che fosse proprio l’angelo a rappresentare il punto di vista da cui guardare tutta la scena. L’affresco si trovava nella loggia davanti all’ingresso della chiesa, proprio al di sopra della porta, e la visione dell’angelo era centrale per chi entrava.

    È stata l’Annunciazione, e non la Primavera, a colpirmi quando sono entrata in questa sala. I suoi colori così leggeri e trasparenti mi trasmettono una sensazione di quiete; lo spazio, così aperto, mi fa respirare.

    La casa di Maria si affaccia su questo spazio. È una casa molto ricca, da famiglia benestante. Nella penombra della stanza c’è un letto molto pulito e aggiustato, troppo, io non ci vorrei dormire su questo letto; mi piace invece tanto lo spazio tra Maria e l’angelo, il colore e le forme geometriche dei marmi, l’aria che circola attraverso gli archi.

    La luce naturale filtra dal giardino recintato, e oltre, un paesaggio.

    Il paesaggio mi ricorda la mia città, Guizhou, in una provincia coperta per metà da foreste. Quest’opera veramente mi fa sentire nostalgia del mio paese.

    In Cina abitavo con la mia famiglia in un grattacielo. L’appartamento era grande, ma dalle nostre finestre si vedevano solo le finestre del grattacielo di fronte. È brutto non avere una vista aperta.

    Se avessi una casa come questa, con un ambiente aperto e privato, sarebbe perfetto.

    Ma se abitassi da sola, in uno spazio così grande, non sarei felice. Così come mio padre e mia madre, da quando sono partita, sentono la casa silenziosa.

    A Firenze il mio compagno ed io viviamo in una casa con una terrazza che si affaccia su un grande giardino. È uno spazio aperto, ma dove non ci può vedere nessuno. Le sere d’estate ceniamo alla luce delle candele. È un luogo da abitare nell’intimità. Mi sento libera in questo spazio proprio mio.

    Guardo la Madonna nell’opera. Lei mi sembra un po’ triste e solitaria. Il baldacchino, il tappeto di foggia orientale e il leggio creano uno spazio suo, dove può sentirsi vicina a Dio.

    Le braccia, come in una danza, sembrano creare lo spazio per un bambino che ancora non c’è.

    Il velo leggero le sfiora i capelli, è bella Maria. Il panneggio del mantello, ripiegato sul braccio. Il bianco della camicia che risalta sotto la manica. I colori dell’abito, il blu e il rosso.

    Davanti a lei si è appena aperta una porta, non materiale, immaginaria. Una luce e uno strano vento accompagnano l’arrivo dell’angelo. I suoi piedi non hanno ancora toccato terra.

    Ha un’espressione muta. Tra le braccia incrociate sul petto in segno di adorazione tiene un giglio bianco, simbolo di purezza. La notizia che porta a Maria viaggia attraverso la luce.

    Nella distanza tra l’angelo e Maria ho sentito subito la lontananza dalla mia famiglia.

    Ogni volta che viaggio spedisco una cartolina a mia madre. Lei le conserva tutte in una scatola. Sono importanti per creare una memoria, una storia che possiamo condividere, se no di questi anni passati lontane l’una dall’altra rimarrebbe poco.

    Non sempre le cartoline arrivano nell’ordine in cui le ho spedite, alcune si perdono, ma non importa. In questo mondo nulla è perfetto.

    L’angelo viene a portare notizie su di me alla mia famiglia.

    L’angelo poi se ne andrà via. La porta si richiuderà alle sue spalle, e Maria resterà sola.

    L’ambiente in cui vive Maria è aperto, pieno d’aria.

    I marmi preziosi dei pavimenti, con i loro disegni, rendono la scena ancora più trasognata, di una bellezza idilliaca; non sembra vera.

    Un mondo ideale, ma che non è così difficile da trovare, un mondo dove si può arrivare. Se solo fossimo capaci di darci spazio e tempo.

    Questa casa non ha porte, la natura è vicina, c’è un giardino, il luogo riparato di Maria.

    Fuori non c’è nessuno.

    In lontananza, la poesia della natura.

    Il crepuscolo arriverà tra poco.

     

    La narrazione è di Diana Kong

    La voce è di Lucilla Giagnoni

     

    Annunciazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 10/30
    Sandro Botticelli, Annunciazione (affresco staccato)

    Guardo la Madonna nell’opera. Lei mi sembra un po’ triste e solitaria. Il baldacchino, il tappeto di foggia orientale e il leggio creano uno spazio suo, dove può sentirsi vicina a Dio.

    Le braccia, come in una danza, sembrano creare lo spazio per un bambino che ancora non c’è.

    Il velo leggero le sfiora i capelli, è bella Maria. Il panneggio del mantello, ripiegato sul braccio. Il bianco della camicia che risalta sotto la manica. I colori dell’abito, il blu e il rosso.

    Davanti a lei si è appena aperta una porta, non materiale, immaginaria. Una luce e uno strano vento accompagnano l’arrivo dell’angelo. I suoi piedi non hanno ancora toccato terra.

    Ha un’espressione muta. Tra le braccia incrociate sul petto in segno di adorazione tiene un giglio bianco, simbolo di purezza. La notizia che porta a Maria viaggia attraverso la luce.

    Nella distanza tra l’angelo e Maria ho sentito subito la lontananza dalla mia famiglia.

    Ogni volta che viaggio spedisco una cartolina a mia madre. Lei le conserva tutte in una scatola. Sono importanti per creare una memoria, una storia che possiamo condividere, se no di questi anni passati lontane l’una dall’altra rimarrebbe poco.

    Non sempre le cartoline arrivano nell’ordine in cui le ho spedite, alcune si perdono, ma non importa. In questo mondo nulla è perfetto.

    L’angelo viene a portare notizie su di me alla mia famiglia.

    L’angelo poi se ne andrà via. La porta si richiuderà alle sue spalle, e Maria resterà sola.

    L’ambiente in cui vive Maria è aperto, pieno d’aria.

    I marmi preziosi dei pavimenti, con i loro disegni, rendono la scena ancora più trasognata, di una bellezza idilliaca; non sembra vera.

    Un mondo ideale, ma che non è così difficile da trovare, un mondo dove si può arrivare. Se solo fossimo capaci di darci spazio e tempo.

    Questa casa non ha porte, la natura è vicina, c’è un giardino, il luogo riparato di Maria.

    Fuori non c’è nessuno.

    In lontananza, la poesia della natura.

    Il crepuscolo arriverà tra poco.

     

    La narrazione è di Diana Kong

    La voce è di Lucilla Giagnoni

    Annunciazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 11/30
    波提切利 《圣母领报》

    这幅壁画由艺术家为佛罗伦萨Santa Maria Della Scala医院的San Martino教堂绘制,这里收养着那些被遗弃的孩子,这让我立刻想到为什么在壁画作品当中,玛丽亚的双臂间会有一个孩童般大小的空间,而且似乎她皱着眉头。我不相信在这个世界上会有一位母亲真的想要离开她的孩子,我想其中必定有无法言语的原因吧。

     

    1478年至1479年间,佛罗伦萨遭遇了一场可怕的瘟疫,许多受害者被埋葬在该教堂附近的修道院中。1481年,艺术家波提切利因创作这幅《圣母领报》而获得报酬,这幅作品可能是瘟疫结束后献给玛丽亚的还愿奉献物。背景中的自然景观如此的静谧、美丽,似乎没有疾病与痛楚,可以给人们带来安慰,而天使则为他们带来好消息。

     

    画面中天使可以俯瞰全景,我不认为它的位置是随机安放的,这幅壁画原来位于教堂入口前面的门廊,刚好在主门上方,天使所在位置对于那些进入教堂的人来说是至关重要的。

     

    当我进入乌菲齐美术馆放置此壁画的大厅时,立刻吸引我并让我感到震惊的并不是著名的波提切利的《春天》,而是这幅壁画《圣母领报》。它的颜色是如此轻盈透明,让我感到无比的沉静,画面空间是如此开放,让我可以深深呼吸。

     

    我们可以俯瞰玛丽亚的房间,我猜想这应该是富庶之家的房子。在昏暗的房间里,有一张非常干净整洁的床,可我并不想躺在这张床上,我似乎更喜欢玛丽亚和天使之间的那段空间,大理石的颜色和几何形状让我觉得非常有趣,就在这段空间中,空气通过拱门进入,自然光透过半封闭的花园透进房间,更远处则是迷人的自然风光。

     

    这个场景让我立刻想起了我的家乡贵州省贵阳市,这是一座被森林覆盖了一大半的城市。在贵阳,我和家人们一起住在城市高楼中,公寓很大,但窗户外的远处却是别的高楼大厦,视野并不开阔。如果我有壁画中这样一个开放而私密的空间环境,那将是如此的完美;但如果独自一个人生活在如此大的空间里,我想应该会感到些许寂寞吧。

     

    在佛罗伦萨,我和我的伙伴住在一个带大露台的房子里,透过露台可以俯瞰整个大花园。这是一个开放的空间,但却没有人能看到我们,在夏日黄昏,我们在烛光下共进晚餐。这是一个让我感到开放舒适、自在放松的空间。

     

    作品中的圣母似乎有点悲伤和孤独。壁画中的蓬帐、东方风格的地毯和讲经台为玛丽亚围出了一个属于她自己的空间,让玛丽亚感觉似乎能更接近上帝。她又仿佛在舞蹈,手臂似乎是为一个尚不存在的孩子预留出一个空间。轻盈的头纱触及她的头发,玛丽亚是如此迷人,褶裥折叠在手臂间,衣袖间覆盖着半透明的白色衬纱,礼服则是迷人的蓝色和红色。

     

    一扇门刚刚在她面前打开,这不是一道真实可见的门,而是想象出来的。天使的到来伴随着轻盈和奇异的风,天使透过圣光为玛丽亚带来消息,画面中的他连脚都还没有碰到地面。他的表情有些僵硬,在胸前交叉的双臂间插着一朵白色的百合,象征着纯洁。

     

    看着天使和玛丽亚之间的距离,我立即感受到了与家人的距离。每一次的旅行,我都会为家里寄一张明信片,家人把它们放在一个盒子里,这对于创造我们共同的记忆非常重要,我们可以分享这些旅途中的故事。明信片并不总是按照发送的时间到达,有些会在途中丢失,但没有关系,因为在这个世界上,没有什么是完美的。

     

    天使将我的消息带给我的家人,随后天使将会消失。门将在他的身后轻轻关上,玛丽亚将一个人待着。玛丽亚生活的环境是开放的,充满了空气。地板上珍贵的大理石和它们的图案使场景更加梦幻,更具有田园诗般的美感。

     

    这是一个理想的世界,但又似乎不是那么难以寻到,也许是一个可以到达的世界。这所房子没有门,大自然近在咫尺,而花园则是玛丽亚的港湾。外面没有人。在远处,是大自然的诗歌。

     

    暮光之城即将到来。

     

     

     

    Annunciazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 12/30
    Sandro Botticelli, L’Annunciazione di Cestello e Cristo in Pietà

    Le mani restano in uno spazio di sospensione, come in attesa.

    L’angelo è arrivato da poco. Il suo velo leggero sembra attraversato da un soffio d’aria. Come il concepimento, come la vita: un soffio, un respiro.

    Si è inginocchiato e ha proteso una mano verso Maria per rassicurarla: “Sono in pace”. Nell’altra mano tiene un giglio, simbolo di purezza.

    Maria, distolta dalla lettura, compie una sorta di avvitamento su se stessa; quello di lei è uno sguardo rivolto all’interno, come se si stesse ascoltando, stesse ascoltando il battito del cuore. Una mano dice “aspetta”, l’altra è all’altezza del cuore.

    Per accogliere una notizia ci vuole tempo, è il tempo che ci dà la capacità di assorbire le emozioni, di comprenderle.

    L’annuncio modifica la Madonna, la vita cambia con un figlio.

    La vita che ti cresce dentro muove emozioni immense. Non sei più sola, dentro di te abita l’inquilino, nella sua casa perfetta, il tuo grembo.

    Quando aspettavo mia figlia, non ero sola; l’inquilina abitava nel mio corpo perfettamente, aveva tutto quello che le serviva attraverso di me. Aspetta!! Aspetta!! Non sono pronta!!! Io forse ti basto per adesso, ma dopo, quando ci separeranno? Quando non sarò più la tua abitazione perfetta? Cosa sarà di me? Di te? Chi ci proteggerà? Aspetta!!

    C’è bisogno di tempo per comprendere, per arrivare ad accettare. Io, ad esempio, con il tempo ho capito che in certe circostanze della mia vita ho avuto paura che se qualcuno mi dava qualcosa, poi me la poteva togliere.

    Maria accetta il figlio e accetta anche il suo dolore, prefigurato nell’immagine di Cristo in pietà nella parte bassa della cornice.

    È difficile riuscire ad accettare ciò che può essere tolto.

    Qui, dove l’angelo è appena atterrato, siamo in uno spazio chiuso, la casa, che è protezione.

    La stanza dove si svolge la scena è piuttosto austera. Non sembra uno spazio sacro, ma una vera e propria casa; una casa signorile, a giudicare dai materiali pregiati.

    Gabriele, stagliato contro il rettangolo della porta, rimane in qualche modo esterno allo spazio domestico di Maria; allo stesso tempo, irrompendo nella sua casa, porta il soffio di Dio dentro a uno spazio umano.

    Il grembo di Maria accoglie la vita divina, il respiro, è una casa perfetta, ma con il tempo inevitabilmente diventa troppo piccola. Forse nella vita siamo tutti alla ricerca di una casa perfetta, ma anche le altre case che abitiamo, non solo il grembo materno, ad un certo punto ci spingono oltre.

    Nella mia vita ho dovuto cambiare casa diverse volte. Sognavo spesso di entrare in case semi-distrutte, che io bruciavo e tiravo nuovamente su dalle fondamenta. Ho avuto pace solo quando sono riuscita a permettermene una con una stanza per ciascuno dei miei figli. La mia casa, ora, ha il giardino, inondato di luce, colori, alberi e vita.

    Dietro l’angelo si apre una porta, dalla quale si intravede prima un giardino cintato, che è un attributo della Madonna e rimanda alla sua verginità, e poi una magnifica veduta immaginaria.

    Al centro del paesaggio, Botticelli ha dipinto un giovane albero.

    Per alcuni studiosi si tratterebbe di un frassino, pianta mariana, letale per i serpenti come la Madonna lo è per il demonio.

    Per altri studiosi, invece, si tratterebbe di una quercia. A me piace pensare che lo sia. Le sue radici possono uscire dal terreno e reinserirsi in luoghi più distanti per prendere sempre più forza. È considerata un albero sacro, legato alla famiglia e alla fertilità. Simboleggia la salda protezione, la forza di sopravvivere nei periodi più difficili.

    Questa Annunciazione rientra nella produzione più tarda di Botticelli, all’epoca della sua crisi religiosa legata alla predicazione di Girolamo Savonarola, il frate domenicano che giocò un ruolo di primo piano nella cacciata dei Medici da Firenze e nella instaurazione della Repubblica nel 1494. I suoi sermoni scossero profondamente l’artista che per anni era stato l’interprete di punta della raffinata cultura neoplatonica promossa dalla cerchia medicea. Qui, in questo spazio austero, le figure della Madonna e dell’angelo sono animate da una tensione spirituale assente dalla produzione precedente di Botticelli.

    Il dipinto, destinato alla chiesa del Cestello, dopo varie vicende approdò agli Uffizi nel 1872.

    In quella stessa Galleria delle Pitture e delle Statue ho iniziato a lavorare nel 1986 come assistente alla vigilanza. Ma le opere non le guardavo, stavo troppo male.

    L’Annunciazione del Cestello l’ho incontrata davvero quando mi è stato chiesto di scegliere un’opera, così ho incominciato a osservare quadri e sculture in modo diverso. Ho sentito qualcosa in queste mani, che Maria tiene come per proteggersi il cuore. Il cuoricino del bambino, la prima cosa che si legge nell’ecografia, non vedi nient’altro, il respiro, il soffio di un battito … Così ho scelto questa tavola, o lei ha scelto me, perché in fondo sono le opere che fanno da specchio alle nostre emozioni, ci assomigliano, ci chiamano a intrecciare la nostra storia con la loro.

     

    La narrazione è di Fabiana Bianchini

    La voce è di Maria Paiato

    Annunciazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 13/30
    Sandro Botticelli, L’Annunciazione di Cestello e Cristo in Pietà

    Il grembo di Maria accoglie la vita divina, il respiro, è una casa perfetta, ma con il tempo inevitabilmente diventa troppo piccola. Forse nella vita siamo tutti alla ricerca di una casa perfetta, ma anche le altre case che abitiamo, non solo il grembo materno, ad un certo punto ci spingono oltre.

    Nella mia vita ho dovuto cambiare casa diverse volte. Sognavo spesso di entrare in case semi-distrutte, che io bruciavo e tiravo nuovamente su dalle fondamenta. Ho avuto pace solo quando sono riuscita a permettermene una con una stanza per ciascuno dei miei figli. La mia casa, ora, ha il giardino, inondato di luce, colori, alberi e vita.

    Dietro l’angelo si apre una porta, dalla quale si intravede prima un giardino cintato, che è un attributo della Madonna e rimanda alla sua verginità, e poi una magnifica veduta immaginaria.

    Al centro del paesaggio, Botticelli ha dipinto un giovane albero.

    Per alcuni studiosi si tratterebbe di un frassino, pianta mariana, letale per i serpenti come la Madonna lo è per il demonio.

    Per altri studiosi, invece, si tratterebbe di una quercia. A me piace pensare che lo sia. Le sue radici possono uscire dal terreno e reinserirsi in luoghi più distanti per prendere sempre più forza. È considerata un albero sacro, legato alla famiglia e alla fertilità. Simboleggia la salda protezione, la forza di sopravvivere nei periodi più difficili.

    Questa Annunciazione rientra nella produzione più tarda di Botticelli, all’epoca della sua crisi religiosa legata alla predicazione di Girolamo Savonarola, il frate domenicano che giocò un ruolo di primo piano nella cacciata dei Medici da Firenze e nella instaurazione della Repubblica nel 1494. I suoi sermoni scossero profondamente l’artista che per anni era stato l’interprete di punta della raffinata cultura neoplatonica promossa dalla cerchia medicea. Qui, in questo spazio austero, le figure della Madonna e dell’angelo sono animate da una tensione spirituale assente dalla produzione precedente di Botticelli.

    Il dipinto, destinato alla chiesa del Cestello, dopo varie vicende approdò agli Uffizi nel 1872.

    In quella stessa Galleria delle Pitture e delle Statue ho iniziato a lavorare nel 1986 come assistente alla vigilanza. Ma le opere non le guardavo, stavo troppo male.

    L’Annunciazione del Cestello l’ho incontrata davvero quando mi è stato chiesto di scegliere un’opera, così ho incominciato a osservare quadri e sculture in modo diverso. Ho sentito qualcosa in queste mani, che Maria tiene come per proteggersi il cuore. Il cuoricino del bambino, la prima cosa che si legge nell’ecografia, non vedi nient’altro, il respiro, il soffio di un battito … Così ho scelto questa tavola, o lei ha scelto me, perché in fondo sono le opere che fanno da specchio alle nostre emozioni, ci assomigliano, ci chiamano a intrecciare la nostra storia con la loro.

     

    La narrazione è di Fabiana Bianchini

    La voce è di Maria Paiato

    Annunciazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 14/30
    Sandro Botticelli, Primavera

    Questo giardino è come un paradiso.

    Un paradiso terrestre in cui tutto aveva un significato, ancora prima dell’arrivo dell’uomo.

    Ho provato a immaginare questo prato vuoto. Nessuno vi ha ancora appoggiato il piede.

    La varietà dei fiori è immensa. Tutto è preciso, perfetto, incontaminato.

    Si ha quasi paura ad entrare e calpestare tanta bellezza.

    Ogni particolare contribuisce all’insieme. Ogni elemento che concorre all’insieme porta con sé una storia e un significato preciso.

    Tutto questo, ai miei occhi, assume una straordinaria affinità con la spiritualità africana, al cui centro c’è l’armonia che tutto riveste, la natura come Dio che si trova in tutte le cose: negli alberi, nelle piante, nel fiume, nel sole, nel vento. Quello stesso vento che qui, nella Primavera di Botticelli, gonfia le vesti, feconda le piante, dà origine alla vita. Un soffio vitale che tutto permea.

    La Primavera è considerata un capolavoro della pittura profana, eppure per me ha una dimensione spirituale e religiosa fortissima.

    Inizio a percorrere il prato, e mi fermo al limitare del bosco, che diventa sempre più fitto e mi riporta alla mia infanzia. I tronchi dritti e affusolati degli aranci, man mano che mi addentro, diventano sempre più imponenti, creano il buio intorno me. Ho nove anni. Sono le quattro del mattino, l’aria è fresca. Sento il rumore dell’acqua che scorre, il canto degli uccelli. Mio zio tiene per mano Eugène, il mio fratello più piccolo che ha bisogno di cure. Incomincia a parlare un linguaggio che non conosco, perché il rituale richiede parole diverse dal quotidiano.

    Nel bosco sacro non va chiunque. Quel bosco è un posto che richiede il massimo silenzio, il massimo rispetto, perché si vanno a incontrare gli dei, perché si va a dialogare con le piante.

    Anche questo bosco è uno spazio sacro. Uno spazio pronto per accogliere presenze divine.

    Un colpo di vento, ed ecco che una creatura alata e celeste irrompe sulla scena: è Zefiro, il vento tiepido di Ponente. Col suo soffio vitale feconda la ninfa Cloris, che si trasforma in Flora. Al centro appare Venere, la dea della bellezza, dell’amore e della fertilità. Sopra di lei vola il figlio Cupido, pronto a scoccare la sua freccia. Il movimento a onda prosegue nel gruppo delle tre Grazie, intrecciate in una danza lieve, e finisce con Mercurio: col suo bastone alato allontana le nubi che minacciano la fine della primavera.

    Il riconoscimento dei personaggi mitologici è certo. Quale sia il significato di questo loro incontro, invece, è un quesito che ha dato origine a infinite interpretazioni, molte delle quali legate alla famiglia dei Medici, i committenti della Primavera. Alcuni studiosi hanno sottolineato l’interpretazione politica dell’opera come celebrazione della fioritura di Firenze sotto la loro signoria.

    Anche il livello di lettura filosofico, che ci racconta il percorso di perfezione dell’anima, ci riporta ai Medici, patrocinatori dell’Accademia neoplatonica. Zefiro è la forza più irrazionale e sensuale dell’amore. Grazie alla mediazione di Venere, si trasforma in una forma più perfetta, rappresentata dalle Tre Grazie, che sono simbolo dell’amore che si dona. Mercurio, infine, scaccia le nubi e punta alla perfezione suprema, quella celeste.

    Il mio sguardo torna a posarsi sul prato, sui piedi di queste tre fanciulle eteree che stanno danzando.

    È una danza talmente perfetta da sembrare compiuta. Eppure è proprio questo il punto del dipinto che mi invita a entrare.

    Entrerei a piccoli passi, esitante, come facevo da bambino, imitando i grandi. A un certo punto ti trovi dentro al cerchio. I piedi nudi premono sulla terra con forza. Incominci a fare come gli altri, a muoverti come gli altri, e ti riesce, e sei parte di quel cerchio. La danza si svolgeva una volta all’anno, quando il villaggio era illuminato dalla luna piena, e seguiva un rituale preciso: per implorare le divinità, scacciare la malattia, dare la salute, ma al  tempo stesso spiegare la rotondità della terra, la centralità dell’essere umano.

    Gesti diversi, contesti diversi, ma è poi così distante dall’uomo signore di tutte cose che si celebrava a Firenze nel Quattrocento?

    Nel bosco sacro, nel bosco di Venere, non si può restare, ma quello che si è appreso lo si porta con sé.

    Ed è un peccato per chi non l’ha saputo attraversare…

     

    La narrazione è di Kuassi Sessou

    La voce è di Marco Baliani

    Le musiche sono di Gabin Dabiré

     

    La Primavera
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 15/30
    Sandro Botticelli, Primavera

    Il mio sguardo torna a posarsi sul prato, sui piedi di queste tre fanciulle eteree che stanno danzando.

    È una danza talmente perfetta da sembrare compiuta. Eppure è proprio questo il punto del dipinto che mi invita a entrare.

    Entrerei a piccoli passi, esitante, come facevo da bambino, imitando i grandi. A un certo punto ti trovi dentro al cerchio. I piedi nudi premono sulla terra con forza. Incominci a fare come gli altri, a muoverti come gli altri, e ti riesce, e sei parte di quel cerchio. La danza si svolgeva una volta all’anno, quando il villaggio era illuminato dalla luna piena, e seguiva un rituale preciso: per implorare le divinità, scacciare la malattia, dare la salute, ma al  tempo stesso spiegare la rotondità della terra, la centralità dell’essere umano.

    Gesti diversi, contesti diversi, ma è poi così distante dall’uomo signore di tutte cose che si celebrava a Firenze nel Quattrocento?

    Nel bosco sacro, nel bosco di Venere, non si può restare, ma quello che si è appreso lo si porta con sé.

    Ed è un peccato per chi non l’ha saputo attraversare.

     

    La narrazione è di Kuassi Sessou

    La voce è di Marco Baliani

    Le musiche sono di Gabin Dabiré

    La Primavera
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 16/30
    Sandro Botticelli, Printemps

    Ce jardin est comme un paradis.

    Un paradis terrestre où tout avait une signification, bien avant l’apparition de l’homme.

    La nature existait avant la naissance de l’homme.

    J'ai essayé d'imaginer ce jardin, cette prairie vide. Personne n'a encore mis le pied dessus.

    La variété des fleurs est immense : il y a les marguerites, les violettes, les roses, puis l'hellébore, la vipérine bleue, le bouton d'or, le bleuet, le jasmin, le myosotis, l'anémone, la pervenche...

    Chaque tige, chaque pétale, chaque brin d'herbe est précis, unique. Chacun a un parfum différent, une nuance de couleur différente. Tout est précis, parfait, impeccable.

    On a presque peur de rentrer et, en marchant, de piétiner une si grande beauté.

    Seul un grand artiste peut avoir imaginé cette perfection, inspiration, et cet artiste est un Dieu.

    C’est comme un paradis.

    La patience avec laquelle Sandro Botticelli a peint cette prairie est telle que les spécialistes en botanique ont été capables de reconnaître et identifier chaque fleur, touffe d'herbe ou arbuste. Dans ce tableau on a pu distinguer plus de 500 exemplaires, quarante-deux espèces, sans tenir compte des fleures dessinées sur les habits des personnages et des arbres de la forêt.   

    Chaque détail contribue à l'ensemble. Chaque élément qui concourt à l'ensemble porte avec lui une histoire et une signification précise. A mes yeux, tout ceci a une extraordinaire affinité avec la spiritualité africaine, selon laquelle il y a l'harmonie qui revêt tout, la nature comme Dieu qu'on trouve dans toutes les choses : dans les arbres, dans les plantes, dans le fleuve, dans le soleil, dans le vent.  Le même vent qui ici, dans le Printemps de Botticelli, gonfle les vêtements, féconde les plantes, donne origine à la vie. Un souffle vital qui pénètre tout. Le Printemps est considéré comme un chef-d’œuvre de la peinture profane, mais pour moi il a une dimension spirituelle et religieuse très forte.

    Je commence à parcourir la prairie et je m'arrête à la lisière de la forêt. J'élève le regard, et vois des arbres d’oranger. Du feuillage sombre, émergent des fruits et des fleurs parfumées.

    Je me plonge dans la forêt, qui devient en profondeur plus épaisse, touffue, et me ramène aux souvenirs de mon enfance. Les troncs droits et fuselés des orangers, deviennent toujours plus imposants à mesure que je m’y pénètre, créant l’obscurité autour de moi. J'ai neuf ans. Il est quatre heures du matin, l'air est frais. Je sens le bruit de l'eau qui glisse, le chant des oiseaux. Mon oncle tient la main de Comlan, mon jeune frère qui a besoin de soins, et je les suis. L'oncle commence à parler des langages que je ne comprends pas, parce que le rituel demande des mots spécifiques, inhabituels et hors du commun ; des langages que seuls les initiés de niveau élevé pouvaient comprendre, et qu’on apprenait dans un espace sacré appelé «Hounkpame».

    Dans la forêt sacrée n’y va pas n'importe qui. Cette forêt est une place qui exige le maximum de silence, le plus grand respect, parce qu'on va à la rencontre des dieux, parce qu'on va dialoguer avec les plantes.

    Aussi cette forêt est un espace sacré. Un espace prêt à accueillir les présences divines. Un coup de vent, et ici une créature ailée céleste apparaît sur la scène, piétinant lors de son passage les robustes plantes de laurier : c’est Zéphyr, le vent chaud de l’ouest. Avec son souffle, il féconde Cloris la nymphe, qui se transforme en Flore. Pour lier les deux figures féminines c’est la petite cascade de fleurs qui sort de la bouche d'une, pour tomber dans la robe de l'autre. La Déesse du printemps commence à les répandre. Au milieu de la forêt, où entre les orangers se trouve une ouverture, Vénus apparaît, et derrière elle un grand buisson de myrte, la plante pour elle sacrée. La déesse de la beauté, l'amour et la fertilité est enveloppée dans un tissu précieux. Au-dessus d’elle, vole son fils Cupidon, les yeux bandés, prêt à tirer sa flèche. La vague de mouvement créé par les personnages se poursuit dans le groupe des trois Grâces, dont les mains sont intimement liées comme dans une danse légère, et se termine par Mercure, le messager des dieux : avec le caducée, il éloigne les nuages ​​qui menacent la fin du printemps.

    La reconnaissance des personnages mythologiques est certaine. Quel est le sens de leur rencontre, en revanche, est une question qui a donné lieu à des interprétations sans fin. Aucune d'entre elles n’est décisive, mais beaucoup sont liées à la famille Médicis, les mécènes du Printemps. Certains spécialistes ont souligné l'interprétation politique de l'œuvre comme une célébration de l'épanouissement de Florence sous leur seigneurie. Par exemple, les orangers font allusion aux Médicis, qui apportent la guérison, la santé, et qui s'appelaient autrefois citrus medica (les agrumes médicaux).

    De plus, la lecture philosophique, qui nous indique le chemin de la perfection de l'âme du point de vue de la pensée néo-platonique, nous ramène à la famille : Cosimo il Vecchio soutient l'Académie Néoplatonicienne depuis 1462.

    Zéphyr est la force d'amour la plus irrationnelle et sensuelle et, en tant que telle, la source de la vie. Grâce à la médiation de Vénus, cet amour se transforme en une forme plus parfaite, représentée par les Trois Grâces, qui symbolisent l'amour donné et en résument les trois caractéristiques fondamentales : savoir donner, savoir recevoir, savoir rendre. Mercure éloigne enfin les nuages et pointe vers la perfection suprême, laquelle est céleste.

    Mon regard revient se poser sur la prairie, sur les pieds de ces trois filles éthérées qui dansent. Elles sont si légères que leurs pas ne laisseront même pas une empreinte sur l'herbe.

    Peut-être ressentent-elles une musique intérieure qui prend forme dans leurs gestes, dans l’entrelacement des mains qui créent un mouvement de vague, fluide et harmonieux.

    C'est une danse tellement parfaite qu'elle semble complète. C'est aussi précisément le point du tableau qui m'invite à entrer. J'entrerais par de petites marches, en hésitant, comme je le faisais quand j'étais enfant, imitant les grandes personnes. À un moment donné, tu te trouves à l'intérieur du cercle sans savoir comment t’y être arrivé, les pieds nus appuyés fort sur le sol. Tu commences à faire comme les autres, à te déplacer comme les autres, et tu réussis à faire partie de ce cercle. Tout n'est pas clair dans cette danse, tu ne connais pas toujours la signification de chaque geste, mais tu en sens la force.

    Devant ce tableau, quand je ferme les yeux, je revois les femmes de mon village quand elles sortaient du lieu sacré et s’organisaient en cercle. Cette danse a lieu une fois par an, lorsque le village est éclairé à la pleine lune.

    L'espace était délimité par des lanternes en papaye et remplies d'huile de palme. Les gestes des femmes suivaient un rituel précis : implorer les divinités, chasser la maladie, donner la santé, mais en même temps expliquer la rondeur de la terre protégée par la divinité Sakpata, expliquer la centralité de l'être humain.

    Des gestes différents, des contextes différents, mais est-ce si éloigné de l'homme, le seigneur de toutes les choses qu’on célébrait à Florence au XVe siècle ?

    Je reviens pour scruter de nouveau la peinture. Ici aussi, je vois des cercles : la clairière est circulaire, les personnages forment un demi-cercle, Vénus est encadrée par un arc parfait. La force de la conception de Botticelli est comme une énergie qui circule d’une figure à l’autre, qui les lie.

    Je me retrouve dans cet échange, parce que je l'ai vécu dans un autre espace sacré. Enfant, j'ai grandi dans le Hounkpame, une grande cour où l'on se retrouve le soir et autour d'immeubles dédiés à un dieu différent. Un lieu dédié à l’ascension spirituelle, où tout est symbole. Ici j'ai pris courage, j'ai tout appris ici. Les enseignements qui m'ont accompagné dans ma vie, même lorsque j'ai quitté le Bénin, mon pays natal.

    Dans le bois sacré, les bois de Vénus, vous ne pouvez pas rester, mais ce que vous y avez appris vous accompagne dans toute votre vie.

    Et c'est dommage pour ceux qui ne savaient pas le pénétrer et le parcourir.

     

    Narration de Kuassi Sessou

    Voix de Marco Baliani

    Musique de Gabin Dabiré

     

    La Primavera
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 17/30
    Sandro Botticelli, Pallade e il centauro

    Davanti a me si aprivano il verde rigoglioso della collina e il fresco azzurro del fiume, increspato dal placido ondeggiare di una nave solitaria. Il picco sul quale ero seduta era un'oscura roccia che si protendeva verso l'alto. Stavo osservando l'oscillare dei miei piedi nel vuoto, quando sentii un rombo provenire dall'altro lato della collina. Alzai la testa di scatto e fissai il mio sguardo sull'orizzonte. Il rumore si intensificava ad ogni attimo, quando da una nuvola di polvere comparve il galoppo frastornante e sconnesso di un centauro. La velocità con la quale raggiunse la roccia mi fece credere che forse vi sarebbe finito addosso, e invece virò con un'abile manovra delle zampe. Cominciò a fiancheggiare la parete di pietra con un trotto leggero, ma non trovando vie di fuga si fermò. Fu come preso da un'ira ferina: la creatura scalpitava, sgroppava e si dimenava come una bestia in gabbia. Lo scoccare dei suoi zoccoli sul terreno scandiva il passare degli attimi verso un qualcosa di inesorabile, quando quello afferrò l'arco da caccia, prese una freccia dalla faretra e la incoccò, puntandola verso il terreno. Teneva gli occhi fermi verso l'orizzonte, spingendomi a fare lo stesso.

    Allora la vidi, sul margine della collina, avanzare con passo lento e minaccioso, come un felino pronto a tendere un agguato. L'alabarda d'oro massiccio, che stringeva nella mano sinistra, non sembrava appesantirla minimamente. Il vento si divertiva a creare con la sua veste dei piccoli vortici di seta, che si avvolgevano attorno alle gambe della donna; faceva danzare i suoi lunghi capelli attorno alla pelle lattea del volto, del collo, del petto e delle spalle. Ma era lo sguardo, d'un grigio chiaro e magnetico, ad irradiare il fascino della donna: sereno, ma minaccioso; fiero e sapiente, ma umile. Arrivata a pochi centimetri dal centauro, che tutto a un tratto appariva docile e indifeso, l'enigmatica dama lo fissò in silenzio; poi, lentamente, alzò il braccio destro, e allungò le dita affusolate verso il capo del suo rivale, come se volesse accarezzare i selvaggi capelli marroni, ma egli si ritrasse, impaurito. Solo allora la guerriera parlò: “Perché ti scosti centauro? Ti disgusto forse? O hai timore di me?”.

    Il centauro si raddrizzò nel tentativo di recuperare una certa dignità, ma rispose titubante: “Come potreste mai disgustarmi, oh Pallade Atena? Nessuna tra le stelle del firmamento può competere con la vostra bellezza. No, io ho timore, mia Dea, non di voi, non per la mia vita, bensì per la mia libertà. Amo vivere seguendo il mio istinto e appagando i miei sensi oltre ogni limite. Ma ciò non mi è concesso, se non sono libero da voi. Perché, dunque, mi perseguitate? Vi ho forse arrecato offesa?”.

    Atena non rispose subito. Per qualche secondo sembrò che il mondo fosse in sospeso, poi parlò: “Ci fu un uomo, tempo fa; un filosofo e sapiente greco mio protetto, Platone era il suo nome. La storia che raccontò al mondo adesso io racconterò a te, Centauro. L’anima, dopo la morte e prima della vita, ha un momento di reminescenza in cui appare come una biga, trainata da una coppia di cavalli e guidata da un auriga. Il cavallo nero è concupiscibile, e istintivamente si dirige verso il basso, verso la reincarnazione. Il cavallo bianco è spirituale e si eleva verso l’alto, l’Iperuranio. L’auriga ha il dovere di innalzare la biga verso le idee: maggiore sarà la sua abilità in questa impresa, maggiore sarà la sapienza dell’anima una volta tornata in vita. Non è una persecuzione la mia, Centauro: in te trottano erranti il cavallo nero e quello bianco. Ciò che tu chiami libertà è in realtà la sottomissione della tua spiritualità alle passioni, che ti tengono incatenato alla Terra, e non ti permettono di raggiungere le stelle, che veneri solo da lontano. Sono qui non per privarti delle tue passioni, bensì per aiutarti a trovare l’equilibrio; se accetterai la mia guida sarò per te l’auriga che ti porterà alla grandezza.” Attesi la risposta del Centauro, ma mi raggiunse solo un aleggiante silenzio. Il Centauro aveva chinato docilmente il capo di fronte ad Atena. La Dea aveva afferrato i suoi capelli con forza delicata, imbrigliandolo con una stretta decisa ma dolce. Lo trascinò fuori dall’ombra della pietra, verso l’orizzonte illuminato dal Sole, e così le due figure scomparvero nel nulla.

    Rimasi immobile, in preda all’estasi per la scena a cui avevo appena partecipato come invisibile presenza. Discesi in fretta la parete rocciosa e iniziai a correre: attraversai i paesaggi campagnoli, raggiunsi le alte mura di cinta della città e percorsi le strette e tortuose strade di Firenze. Spinsi la pesante porta di legno, che dava accesso alla bottega del maestro. “Mastro Botticelli!”, chiamai a gran voce. Il pittore era seduto davanti a una tela coperta da un panno bianco. Quando mi udì, girò la testa verso di me; le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione interrogativa. “Non avete idea di ciò che sto per raccontarvi”, dissi. Narrai l’incontro tra Pallade e il Centauro a cui avevo assistito dall’alto. Alla conclusione del racconto gli occhi del mio maestro erano sgranati; non disse una parola, ma alzò il panno bianco sopra la tela misteriosa, rivelando l’eterea bellezza di Pallade immortalata nell’attimo in cui catturava la chioma del Centauro tra le sue candide mani. Rimasi a bocca aperta. “Come può essere possibile?”, chiesi scioccata. Il maestro rispose pensieroso: “Qualche tempo fa Lorenzo de’ Medici mi commissionò un quadro che potesse perpetuare l’immagine politica della sua famiglia. Non avendo idee su come avviare il lavoro, mi ritrovai a vagare sopra lo stesso picco di cui ora tu mi narri, in cerca di ispirazione. Fu allora che assistetti al trionfo di Atena sul Centauro. Quella visione surreale pose fine agli interrogativi che assillavano il mio estro: Atena era il più chiaro esempio di un potere che non sottomette, ma guida. Ha riportato l'ordine nell'animo del Centauro esattamente come i Medici hanno portato la pace a Firenze. Perciò ho intrecciato agli ornamenti di rami d'ulivo, simbolo della Dea e della pace cristiana, alcuni anelli con un diamante, simbolo dei Medici, coloro che tengono l'armonia nella città. Stavo pensando che potrei creare un collegamento tra questa e la mia ultima opera; ti ricordi la ‘Primavera’?...”  “E come dimenticarla?”, pensai. “Dopotutto la venerazione della bellezza naturale va di pari passo con la ricerca della verità, non ti pare?...”

    Si fermò d'un tratto e mi sorrise; sembrava essere stato colto da una allegra compassione nei miei confronti. “Penso di aver tergiversato un po' troppo. Un dubbio doveva tormentare anche te quando ti sei avventurata su quel picco; cosa mai, di tanto rilevante, affliggeva la tua giovane mente, da scomodare quel povero Centauro e la Divina Atena?”

    Ignorando il suo tono di sufficienza, iniziai a riflettere, quando la risposta mi giunse chiara e livida. “Signore, è difficile spiegare a parole ciò che mi tormentava in cima a quel dirupo. Da anni trascino dentro di me una fiera, così la chiamo, che mi spinge a fare cose magnifiche, poiché nutre e inebria la mia creatività. Non potrei mai fare a meno di lei: è la mia anima sensibile, istintuale ed emotiva. Ma la mia bestia non solo è fuori controllo, sembra che addirittura riesca a sopraffarmi, amplificando le mie emozioni esageratamente.

    Non voglio incatenare o reprimere la mia creatura. Vorrei solo che cessasse di arpionarmi le viscere, aprendo ferite sanguinanti che non sono in grado di rimarginare. Vorrei che, invece, fluisse, armonica, come un torrente: inarrestabile, ma equilibrato e vitale.

    Atena mi ha onorato della sua presenza, forse, per ciò che aspiro a diventare: una donna che vive di passioni, ma non se ne lascia travolgere. Come lei con il centauro, devo riuscire a trovare la forza per guidare questo animale interiore con la stessa grazia risoluta, oppure continuerà a far soffrire me e coloro che mi circondano.

    Il mio monologo appassionato doveva aver colpito Botticelli, che mi osservava con una punta di malinconia.

    Sorrisi con ancora le lacrime agli occhi: probabilmente anche lui ne sapeva qualcosa.

     

    La narrazione è di Sofia Kossiwa Sessou

    La voce è di Lella Costa

     

    Pallade e il centauro
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 18/30
    Sandro Botticelli, Pallade e il centauro

    Atena non rispose subito. Per qualche secondo sembrò che il mondo fosse in sospeso, poi parlò: “Ci fu un uomo, tempo fa; un filosofo e sapiente greco mio protetto, Platone era il suo nome. La storia che raccontò al mondo adesso io racconterò a te, Centauro. L’anima, dopo la morte e prima della vita, ha un momento di reminescenza in cui appare come una biga, trainata da una coppia di cavalli e guidata da un auriga. Il cavallo nero è concupiscibile, e istintivamente si dirige verso il basso, verso la reincarnazione. Il cavallo bianco è spirituale e si eleva verso l’alto, l’Iperuranio. L’auriga ha il dovere di innalzare la biga verso le idee: maggiore sarà la sua abilità in questa impresa, maggiore sarà la sapienza dell’anima una volta tornata in vita. Non è una persecuzione la mia, Centauro: in te trottano erranti il cavallo nero e quello bianco. Ciò che tu chiami libertà è in realtà la sottomissione della tua spiritualità alle passioni, che ti tengono incatenato alla Terra, e non ti permettono di raggiungere le stelle, che veneri solo da lontano. Sono qui non per privarti delle tue passioni, bensì per aiutarti a trovare l’equilibrio; se accetterai la mia guida sarò per te l’auriga che ti porterà alla grandezza.” Attesi la risposta del Centauro, ma mi raggiunse solo un aleggiante silenzio. Il Centauro aveva chinato docilmente il capo di fronte ad Atena. La Dea aveva afferrato i suoi capelli con forza delicata, imbrigliandolo con una stretta decisa ma dolce. Lo trascinò fuori dall’ombra della pietra, verso l’orizzonte illuminato dal Sole, e così le due figure scomparvero nel nulla.

    Rimasi immobile, in preda all’estasi per la scena a cui avevo appena partecipato come invisibile presenza. Discesi in fretta la parete rocciosa e iniziai a correre: attraversai i paesaggi campagnoli, raggiunsi le alte mura di cinta della città e percorsi le strette e tortuose strade di Firenze. Spinsi la pesante porta di legno, che dava accesso alla bottega del maestro. “Mastro Botticelli!”, chiamai a gran voce. Il pittore era seduto davanti a una tela coperta da un panno bianco. Quando mi udì, girò la testa verso di me; le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione interrogativa. “Non avete idea di ciò che sto per raccontarvi”, dissi. Narrai l’incontro tra Pallade e il Centauro a cui avevo assistito dall’alto. Alla conclusione del racconto gli occhi del mio maestro erano sgranati; non disse una parola, ma alzò il panno bianco sopra la tela misteriosa, rivelando l’eterea bellezza di Pallade immortalata nell’attimo in cui catturava la chioma del Centauro tra le sue candide mani. Rimasi a bocca aperta. “Come può essere possibile?”, chiesi scioccata. Il maestro rispose pensieroso: “Qualche tempo fa Lorenzo de’ Medici mi commissionò un quadro che potesse perpetuare l’immagine politica della sua famiglia. Non avendo idee su come avviare il lavoro, mi ritrovai a vagare sopra lo stesso picco di cui ora tu mi narri, in cerca di ispirazione. Fu allora che assistetti al trionfo di Atena sul Centauro. Quella visione surreale pose fine agli interrogativi che assillavano il mio estro: Atena era il più chiaro esempio di un potere che non sottomette, ma guida. Ha riportato l'ordine nell'animo del Centauro esattamente come i Medici hanno portato la pace a Firenze. Perciò ho intrecciato agli ornamenti di rami d'ulivo, simbolo della Dea e della pace cristiana, alcuni anelli con un diamante, simbolo dei Medici, coloro che tengono l'armonia nella città. Stavo pensando che potrei creare un collegamento tra questa e la mia ultima opera; ti ricordi la ‘Primavera’?...”  “E come dimenticarla?”, pensai. “Dopotutto la venerazione della bellezza naturale va di pari passo con la ricerca della verità, non ti pare?...”

    Si fermò d'un tratto e mi sorrise; sembrava essere stato colto da una allegra compassione nei miei confronti. “Penso di aver tergiversato un po' troppo. Un dubbio doveva tormentare anche te quando ti sei avventurata su quel picco; cosa mai, di tanto rilevante, affliggeva la tua giovane mente, da scomodare quel povero Centauro e la Divina Atena?”

    Ignorando il suo tono di sufficienza, iniziai a riflettere, quando la risposta mi giunse chiara e livida. “Signore, è difficile spiegare a parole ciò che mi tormentava in cima a quel dirupo. Da anni trascino dentro di me una fiera, così la chiamo, che mi spinge a fare cose magnifiche, poiché nutre e inebria la mia creatività. Non potrei mai fare a meno di lei: è la mia anima sensibile, istintuale ed emotiva. Ma la mia bestia non solo è fuori controllo, sembra che addirittura riesca a sopraffarmi, amplificando le mie emozioni esageratamente.

    Non voglio incatenare o reprimere la mia creatura. Vorrei solo che cessasse di arpionarmi le viscere, aprendo ferite sanguinanti che non sono in grado di rimarginare. Vorrei che, invece, fluisse, armonica, come un torrente: inarrestabile, ma equilibrato e vitale.

    Atena mi ha onorato della sua presenza, forse, per ciò che aspiro a diventare: una donna che vive di passioni, ma non se ne lascia travolgere. Come lei con il centauro, devo riuscire a trovare la forza per guidare questo animale interiore con la stessa grazia risoluta, oppure continuerà a far soffrire me e coloro che mi circondano.

    Il mio monologo appassionato doveva aver colpito Botticelli, che mi osservava con una punta di malinconia.

    Sorrisi con ancora le lacrime agli occhi: probabilmente anche lui ne sapeva qualcosa.

     

    La narrazione è di Sofia Kossiwa Sessou

    La voce è di Lella Costa

    Pallade e il centauro
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 19/30
    Sandro Botticelli, Pallas et le centaure

    Devant moi se tenaient le vert luxuriant de la colline et le bleu frais du fleuve, ondulés par le balancement placide d'un navire solitaire. Le sommet sur lequel j’étais assise était un rocher sombre pointé vers le ciel, mais pas assez haut pour échapper aux douces rafales du vent qui jouaient gaiement avec mes cheveux. Je sentais l'oscillation de mes pieds dans le vide, quand j'entendis un grondement venir de l'autre côté de la colline. Je levai la tête et fixai mon regard sur l'horizon. Le bruit s'intensifia à chaque instant, lorsque d'un nuage de poussière apparut le galop assourdissant et déconnecté d'un Centaure. La rapidité avec laquelle il atteignit le rocher me fit croire qu’il aurait fini contre, mais il se retourna plutôt avec une habile manœuvre des pattes.

    Il commença à longer le mur de pierre avec un léger trot, mais ne trouvant aucune issue de secours, il s'arrêta. Ce fut une crise de colère : la créature piaffait, se retournait et se tortillait comme une bête dans une cage. J’observai cette scène avec crainte et consternation : le Centaure ne semblait pas avoir le moindre intérêt pour moi, mais l'aura d'angoisse qui l'entourait était très contagieuse. L’activité de ses sabots sur le sol scannait les moments qui s'écoulaient pour arriver à quelque chose d'inexorable, lorsque celui-ci saisit l'arc de chasse, prit une flèche dans le carquois et la pointa au sol, gardant les yeux rivés sur l'horizon, et me poussant à faire de même.

    C’est là que je la vis, au bord de la colline, avancer d'un pas lent et menaçant, comme un félin prêt à tenir une embuscade. La hallebarde dorée massive, qu'elle tenait serrée dans la main gauche, ne semblait pas elle peser. Il semblait que le vent avait trouvé un sujet plus intéressant avec lequel jouer : il se plaisait à créer avec sa robe des petits tourbillons de soie, qui enveloppaient autour des jambes de la femme ; des motifs de bagues entrelacées disparaissaient et réapparaissaient dans les plis. La brise faisait danser ses longs cheveux autour de la peau laiteuse du visage, du cou, de la poitrine et des épaules.

    Chaque mouvement rendait différents les reflets rouge-dorés des mèches finement entrelacées de branches d’olive vertes et argentées, qui s’étalaient sur tout le corps : encerclaient son ventre, enveloppaient ses bras et ses seins. Mais c’était le regard, d’un gris léger et magnétique, qui rayonnait le charme de la femme : serein, mais menaçant ; fier et sage, mais humble. Elle avait l'expression cool de quelqu'un qui vient de gagner une bataille et est sur le point d’en réclamer le prix. Mais la dualité de ses propos rendait ses intentions indéchiffrables et provoquait des contradictions en moi aussi. Je ressentais de l'attirance et de la répulsion envers la femme, et la même réaction se produisait pour le Centaure, qui semblait fébrile, faisait de petits pas vers elle, mais ensuite se retirait vers le rocher. La dame mystérieuse, à quelques centimètres à peine du centaure, qui sembla soudain docile et impuissant, le fixa en silence, quand elle leva lentement son bras droit et tendit ses doigts fuselés vers la tête de son rival, comme s'elle voulait caresser doucement les cheveux bruns, mais il recula, effrayé. C’est là que la guerrière parla ; une voix élégante et vibrante me parvint : "Pourquoi bougez-vous centaure ? Vous êtes dégoûté peut-être ? Ou avez-vous peur de moi ? "

    Le Centaure se redressa dans l'espoir de retrouver une certaine dignité, mais répondit avec hésitation : "Comment pouvez-vous me dégoûter, oh, Pallas Athéna ? Aucune des étoiles du firmament ne peut rivaliser avec votre beauté. Non, ma déesse, j'ai n’ai pas peur de vous, pas pour ma vie, mais pour ma liberté. J'aime vivre selon mon instinct et satisfaire mes sens au-delà de toute limite. Je veux vivre les passions sans aucune inhibition. Mais cela ne m'est pas accordé si je ne suis pas libre de vous. Pourquoi alors vous me persécutez ? Je vous ai fait mal ? "

    Athéna ne répondit pas tout de suite. Dans ses yeux sages, je pouvais entrevoir son esprit prêt à élaborer une réponse. Pendant quelques secondes, il semblait que le monde s’était arrêté, puis elle parla : "Il y avait un homme, il y a quelques temps ; un philosophe et savant grec mon protégé, Platon était son nom. L'histoire qu’il racontait au monde, maintenant, je la raconte à toi, Centaure. L'âme, après la mort et avant la vie, a un moment de réminiscence dans lequel elle ressemble à un chariot tiré par un couple de chevaux et conduit par un aurige qui y tient les rênes. Le cheval noir est concupiscible et se dirige instinctivement vers le bas, à la réincarnation. Le cheval blanc est spirituel et s'élève dans le monde des idées, le Supercéleste.

    L’aurige, en tant qu'esprit et tête pensante du corps, a le devoir d'élever le chariot vers les idées. Plus il en sera capable, et plus grande sera la sagesse de l'âme une fois de retour dans la vie. Mon intention n’est pas de te persécuter, Centaure : dans ta tête, trottent errants les chevaux noir et blanc. Ce que tu appelles liberté est en réalité la soumission de ta spiritualité aux passions, qui te maintiennent enchaîné sur la Terre et ne te permettent pas d'atteindre les étoiles, que tu ne vénères que de loin. Je ne suis pas ici pour te priver de tes passions, mais pour t’aider à trouver ton équilibre. Si tu acceptes mon guide, je serai pour toi l’aurige du chariot qui te portera à la grandeur".

    J’attendis la réponse du Centaure, mais je j’étais entourée seulement par le silence. Le Centaure inclina docilement la tête devant Athéna. La déesse avait agrippé ses cheveux avec une force délicate, en le domptant dans une prise ferme mais douce. Elle le traîna hors de l'ombre de la pierre, vers l'horizon illuminé par le soleil. Ainsi les deux personnages, comme un couple de vieux amants, disparurent dans le néant.

    Je restai immobile, en proie à l'extase de la scène à laquelle je venais de participer en tant que présence invisible. Je descendis rapidement le long du mur rocheux et je commençai à courir : je traversai les paysages ruraux, j'atteignis les hauts murs de ceinture de la ville et je parcourus les rues étroites et sinueuses de Florence. Je sentis le bruit sourd de mes pieds cogner sur le trottoir en pierre au rythme de mes pas. Je poussai la lourde porte en bois qui donnait accès à l'atelier. "Maître Botticelli !", je l’appelai à grande voix. Le peintre était assis devant une toile recouverte d'un tissu blanc. Lorsqu'il m’entendit, il tourna la tête vers moi, ses sourcils froncés dans une expression interrogative. Je remarquai qu'il avait l'air curieux et légèrement contrarié. "Vous n'avez pas idée de ce que je vais vous raconter", dis-je. Je racontai la rencontre entre Pallas et le Centaure à laquelle j'avais assisté. À la fin de l'histoire, les yeux de mon maître étaient devenus grandement ouverts et brillants. Il ne dit pas un mot, mais il souleva le tissu blanc par-dessus la mystérieuse toile, révélant la beauté éthérée de Pallas immortalisée au moment où elle capturait les cheveux du Centaure entre ses candides mains.

    J’étais impressionnée. "Comment cela peut-il être possible ?", demandai-je avec un air choqué. Le maître, plein de soucis, répondit : "Il y a quelque temps, Lorenzo de 'Medici m'a commandé un tableau qui pourrait perpétuer l'image politique de la famille. N'ayant pas d'idées sur la façon de commencer le travail, je me suis retrouvé à errer sur le même sommet dont tu viens de me parler, à la recherche d'inspiration. C’est alors que j’ai assisté au triomphe d’Athéna sur le Centaure. Cette vision surréaliste a mis fin aux questionnements qui m’harcelaient : Athéna était l'exemple le plus clair d'un pouvoir qui ne domine pas, mais qui guide. Si tu la regarde attentivement, tu remarqueras que la déesse est droite, sa tête est haute, elle exprime la beauté, l’élégance, et la force. Elle n’est pas violente, mais calme, car elle a le pouvoir et sait l’utiliser. Elle a rappelé le Centaure à l’ordre, exactement, comme les Médicis ont apporté la paix à Florence. C’est pourquoi j’ai entremêlé les rameaux d'olivier, symbole de la déesse et de la paix chrétienne, avec des bagues à diamant, symbole des Médicis, ceux qui gardent l'harmonie dans la ville ...".

    Je voulais qu'il insiste un peu plus sur l'étrange vision qui nous avait frappés tous deux, mais il était tellement absorbé par la description de son nouveau chef-d'œuvre, au point que l'idée d’enrayer son élan m'affligeait.

    "Je pense que les couleurs étaient un coup de génie», dit-il ; "Je voulais travailler beaucoup sur le clair-sombre pour distinguer la raison des sens ; en effet, si tu le remarques, Pallas Athéna est lumineuse ; j’ai utilisé des couleurs très claires pour rendre cet effet, par exemple dans la robe blanche, semi-transparent. Même les cheveux et la hallebarde reflètent une lumière dorée.

    Par ailleurs, Athéna est entourée d'un paysage en soi lumineux.

    On ne peut pas en dire autant du Centaure, piégé à l’ombre du rocher ; pour lui, j'ai réservé des couleurs plus troubles, à la fois pour le manteau sombre et pour la peau d’olive. De plus, je pense avoir bien rendu l’interaction entre les deux personnages ; les mouvements sont dynamiques mais sans un usage excessif de pathos et de violence. Ils sont ... laisse-moi réfléchir au terme approprié ... voilà, harmonieux. Je pensais juste que je pouvais créer un lien entre ceci et mon dernier travail.  Souviens-toi du Printemps ?"  "Et comment l’oublier ?", pensai-je. "Après tout", dit mon maître, "la vénération de la beauté naturelle va de pair avec la recherche de la vérité, tu ne crois pas ?"

    Il s’arrêta brusquement et il me sourit, comme s’il avait été pris par un coup de compassion à mon égard. "Je pense avoir tergiversé un peu trop. Revenant à la vision : elle est apparue à mes yeux en réponse à une question. Un doute devait aussi te tourmenter lorsque tu t’es aventurée sur ce sommet ; je suis curieux de savoir quoi, de si urgent, affligeait ton jeune esprit, de déranger ce pauvre Centaure et la divine Athéna ? "

    Ignorant son air de suffisance, je commençais à réfléchir, lorsque la réponse m’apparut claire et livide. J’avais probablement les larmes aux yeux, car le maître me regardait avec un air perplexe ; alors je me dépêchai de parler : "Monsieur, il est difficile d'expliquer avec des mots ce qui me tourmentait au sommet de cette falaise ; ce n'est pas quelque chose de tangible ou d'observable. Depuis des années, je traîne en moi une sorte de créature animale, sauvage, qui me pousse à faire des choses merveilleuses, puisqu’elle nourrit et enivre ma créativité. Je ne pourrais jamais me passer d'elle, elle est mon âme sensible, instinctive et émotionnelle. Sans elle, je ne pourrais pas me vanter de la moindre supériorité par rapport à une machine ou à un bout de bois. Mais ma bête échappe tout contrôle, elle amplifie mes émotions de façon exagérée, transformant ma tristesse en désespoir, en rage la simple colère, la peur devient panique. Même des émotions positives se retournent contre moi : ressentir trop d'affection ou d'amour me rend vulnérable ou facilement influençable.

    Je ne veux pas enchaîner ni réprimer ma créature : je sens son énergie indomptable. Elle doit s’exprimer. Je souhaiterais juste que cela cesse de nuire à mes tripes, en ouvrant des plaies saignantes que je ne peux pas guérir. Je voudrais que son feu cesse d'exploser dans ma tête avec ses langues incandescentes, qui brûlent les parois sensibles de mon esprit. Par contre, j'aimerais qu'elle soit fluide, harmonieuse, comme un ruisseau : incessant, mais équilibré et vital.

    Athéna m'a honorée de sa présence, peut-être, pour ce que j'aspire à devenir : une femme qui vit de passions, mais qui ne s’en laisse pas submerger. Comme elle avec le Centaure, je dois être capable de trouver la force pour diriger cet animal intérieur avec la même grâce résolue, autrement il continuera à faire souffrir moi-même et ceux qui m'entourent. Quand j'arriverai à maîtriser ses tourbillons destructeurs, je les transformerai en esprits doux, qui me traverseront doucement, me revigoreront de leur énergie vitale, sans s'enraciner en moi, en se développant comme une infection mortelle."

    Botticelli semblait touché par mon monologue passionné, et me fixait avec un regard mélancolique.

    "Les effets collatéraux de la sensibilité ...", dit-il dans un murmure, si léger qu'il me fit croire, pendant une seconde, que mon maître n'était plus avec moi, ou du moins qu'il était devenu immatériel.

    Je souris à nouveau avec les larmes aux yeux : il en savait probablement aussi quelque chose.

    Naturellement, cet élan émotionnel ne dura pas longtemps ; Botticelli récupéra immédiatement son attitude joyeuse et ironique, bien qu’un peu arrogante, et il dit : "Ton histoire est magnifique, tu trouveras sûrement une solution au problème qui t’afflige ... Bon, tu peux dégager maintenant. Je n'ai pas pu fermer les yeux toute la nuit, et j'ai l'intention de me consacrer à un long sommeil réparateur".

    Je levai les yeux regardant le ciel : "Pourquoi n’avez-vous pas dormi ? "

    "J'ai eu un horrible cauchemar", répondit-il. "J'ai passé toute la nuit balader dans le rues de Florence pour éviter qu'il ne revienne."

    "Que ce passait-il dans le cauchemar ?"  

    Le maitre me regarda d'un air grave : "Je me mariais ...".

    Ça me fit éclater de rire, et Botticelli m’incendia du regard. "Au revoir, Monsieur," dis-je entre deux sourires.

    Je sortis tout de suite, avec mon esprit soulagé et la prise de conscience qu'après tout chacun a ses problèmes dans la vie.

     

    Narration de Sofia Kossiwa Sesso

    Voix de Lella Costa.

     

     

    Pallade e il centauro
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 20/30
    Giovanni Bellini, Allegoria Sacra

    C’è silenzio. Chiudo gli occhi, sono disorientata e confusa, trascino i piedi su una superficie solida, liscia e molto fredda. Un pavimento di marmo pregiato mi riporta in un passato molto lontano, quando ero bambina.

    Apro gli occhi e non sono sola: intorno a me vedo generazioni diverse. Donne, bambini, uomini giovani e anziani, popolano una grande terrazza affacciata su un lago. Sembra un incontro, ma non lo è. Ci sono preghiere, ma le persone non si guardano.

    La terrazza è recintata, ma con un varco aperto per scendere al lago. Anche la porta di casa mia era sempre aperta a tutti, mio padre era una persona generosa e accogliente, diceva che nessuno doveva bussare e chiedere, ma chi aveva bisogno doveva sentirsi accolto, ascoltato, compreso.

    L’Allegoria Sacra, di Giovanni Bellini, è una delle opere più misteriose della storia dell’arte.

    È un dipinto anomalo in sé: nell’epoca in cui fu realizzato, a fine Quattrocento, le allegorie profane erano molto diffuse, mentre non ne esisteva nessuna di argomento sacro. Come la vita di ogni singola persona, quest’opera è unica, senza paragoni.

    Siamo in un tempo imprecisato, “sospeso”.

    Chi siano questi misteriosi personaggi, è impossibile dirlo con certezza. Da più di cento anni, gli storici dell’arte si sono arrovellati nel tentativo di dare un’interpretazione a un dipinto che nelle intenzioni del committente doveva essere comprensibile solo a una ristretta cerchia di persone colte.

    Delle tante ipotesi proposte, quella che mi affascina di più è stata formulata dallo studioso Gustav Ludwig, che nel 1902 interpretava la terrazza come il Giardino dell’Eden. È da qui che parte il viaggio verso il Paradiso dell’anima, rappresentata dal bambino vestito e seduto sul cuscino. L’anima è in attesa di giudizio da parte della Madonna, dei santi alle sue spalle e dell’allegoria della Giustizia, rappresentata dalla donna con la corona sul capo che si trova alla sinistra di Maria. I due personaggi in piedi sulla destra sono identificati come i santi patrocinatori dell’anima presso il tribunale celeste. Al di là della terrazza, il paesaggio sembra alludere al percorso compiuto dall’anima per rifuggire il vizio (rappresentato dal centauro che tenta l’eremita), e infine arrivare al paradiso grazie a virtù come la pazienza, l’umiltà e l’astinenza, rappresentate rispettivamente dall’asino, dal gregge di pecore e dalla capra.

    Non c’è nulla di esotico, nello scenario che Bellini dipinge al di là del lago. Se c’è un luogo estraneo, “diverso”, è proprio la terrazza. Ma è qui che si gioca il passaggio dalla non comunicazione alla comunicazione. Cosa succederà quando i personaggi incominceranno ad agire? Maria alzerà lo sguardo per prima, dando avvio all’evento che tutti stanno attendendo? O il bambino seduto sul cuscino si alzerà in piedi?

    Anch’io non comunicavo, però mi portavo dentro una forza: l’incontro con mio marito. Ci siamo conosciuti per corrispondenza; aveva capito che ero berbera come lui, perché abitavo in una piccola città vicino ad Agadir.

    Il nostro è stato un viaggio fatto di tanti sacrifici, con lui sono cresciuta.

    Non ho mai smesso di studiare, di “chiedere conoscenza” come si dice in arabo. Lo studente è “colui che chiede”. Strada facendo, ho riscoperto qualcosa che mio padre mi aveva insegnato: l’importanza di tenere la porta aperta. È così che sono diventata mediatrice. Facilitare l’incontro, la relazione, la conoscenza, lo scambio, è diventata la mia professione.

    Come l’acqua limpida e tranquilla di questo lago, che ha la funzione di tramite cromatico tra la terrazza e la riva opposta, porta alle rocce a picco sull’acqua, al villaggio, al castello che torreggia sul bosco fitto.

    E poi, ci sono le montagne: quelle che spesso, la notte, mi capita di sognare. Sogno di scalare alture impervie. Che è un po’ come la vita. Ma alla fine riesco sempre ad arrivare a destinazione. E quando arrivo in cima, capisco di avercela fatta.

    Riapro gli occhi. Maria alza lo sguardo, e la conversazione ha inizio.

     

    La narrazione è di Samira Lahhane

    La voce è di Micaela Casalboni

    Allegoria sacra
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 21/30
    Giovanni Bellini, Allegoria Sacra

    Non c’è nulla di esotico, nello scenario che Bellini dipinge al di là del lago. Se c’è un luogo estraneo, “diverso”, è proprio la terrazza. Ma è qui che si gioca il passaggio dalla non comunicazione alla comunicazione. Cosa succederà quando i personaggi incominceranno ad agire? Maria alzerà lo sguardo per prima, dando avvio all’evento che tutti stanno attendendo? O il bambino seduto sul cuscino si alzerà in piedi?

    Anch’io non comunicavo, però mi portavo dentro una forza: l’incontro con mio marito. Ci siamo conosciuti per corrispondenza; aveva capito che ero berbera come lui, perché abitavo in una piccola città vicino ad Agadir.

    Il nostro è stato un viaggio fatto di tanti sacrifici, con lui sono cresciuta.

    Non ho mai smesso di studiare, di “chiedere conoscenza” come si dice in arabo. Lo studente è “colui che chiede”. Strada facendo, ho riscoperto qualcosa che mio padre mi aveva insegnato: l’importanza di tenere la porta aperta. È così che sono diventata mediatrice. Facilitare l’incontro, la relazione, la conoscenza, lo scambio, è diventata la mia professione.

    Come l’acqua limpida e tranquilla di questo lago, che ha la funzione di tramite cromatico tra la terrazza e la riva opposta, porta alle rocce a picco sull’acqua, al villaggio, al castello che torreggia sul bosco fitto.

    E poi, ci sono le montagne: quelle che spesso, la notte, mi capita di sognare. Sogno di scalare alture impervie. Che è un po’ come la vita. Ma alla fine riesco sempre ad arrivare a destinazione. E quando arrivo in cima, capisco di avercela fatta.

    Riapro gli occhi. Maria alza lo sguardo, e la conversazione ha inizio.

     

    La narrazione è di Samira Lahhane

    La voce è di Micaela Casalboni

    Allegoria sacra
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 22/30
    Camillo Boccaccino, Testa di uomo anziano

    Lui mi ha portato qui.

    Il nostro incontro è stato un pomeriggio di novembre, in Galleria, nella sala a lavorare, china sui miei pensieri come lui sui suoi.

    Pochi turisti in giro per le sale e nei corridoi, una calma accompagnata dalla umbratile luce dell’autunno.

    Alzo la testa e lo incontro, non l’avevo mai notato; eppure era lì, era sempre stato lì.

    Succede così quando hai tanta bellezza intorno.

    Ma poi un attimo di sintonia, che è un piccolo tracollo per te… ed ecco quella testa reclinata di vecchio.

    Un profeta? Un santo? Un saggio?

    Come uno zampillo nell’acqua, per me, lui è mio nonno Armando.

    Maestro elementare, amante del greco e del latino, con poche cose nello zaino, tra cui Guerra e Pace di Tolstoj, e all’indomani dell’8 settembre del 1943, il ritorno a casa, a piedi, da Roma fino in Sicilia.

    Lui, dicevo, con il suo amore per la bellezza, mi ha portato qui a Firenze.

    Perché, allora, la mia piccola folgorazione per un quadro di arte lombarda? In fondo è quasi sconosciuto l’artista, Camillo Boccaccino, e la sua città, Cremona, non è la Firenze del Cinquecento.

    Perché proprio questa testa di vecchio, tra i tanti capolavori degli Uffizi?

    Perché, per me, questo volto non ha un’identità propria, e ognuno può dargliene una affettiva. Una ricordanza lieve, timida e potente allo stesso tempo.

    Quasi nulla sappiamo del quadro, forse si tratta di uno studio preparatorio per una pala d’altare mai realizzata, ma ha più l’aria di essere un frammento.

    D’altra parte, poco sappiamo anche dell’artista. Pochissime le opere d’arte che di lui ci rimangono: quattro pale d’altare, di cui una perduta, e affreschi nella chiesa di San Sigismondo e in Duomo, sempre a Cremona.

    E poi, questo ritratto di vecchio e il suo mistero.

    Una tavolozza giocata sui toni del colore che la storica dell’arte Mina Gregori, cremonese di nascita anche lei, descrive così: “una gamma di incendio autunnale, un rogo di foglie secche e crocchianti”.

    Come arriva, Boccaccino, a questa tonalità di colori ?

    Con la luce.

    Già, la luce! Provo a seguirla.

    Viene dall’alto, illumina la fronte stempiata e non a caso­: la sua sapienza alberga lì.

    L’uomo guarda verso il basso, aggrotta la fronte, forse ha un pensiero subitaneo, un’illuminazione della mente serena.

    Gli occhi si intravedono appena; sono messi in ombra perché la luce punta dritta alla barba lunga, folta, bianca, ma quasi mangiata in basso dall’oscurità.

    Le rughe, come onde di un mare non più in tempesta, si placano quiete alla barriera delle sopracciglia e lì trovano una ruga del pensiero che segna un confine netto fra la fronte e il naso lungo e regolare, quasi la punta di una freccia.

    Lo sguardo è benevolo, l’intento è docile, un San Giuseppe tenero e impacciato.

    C’è la tenerezza degli anziani nel suo volto, la stessa tenerezza che accompagna il ricordo di mio nonno.

    Un ricordo che si fonde con la luce, come il colore in Camillo Boccaccino si fonde con le ombre. È estate. Sto entrando nella casa dei nonni in paese. Una casa grande e antica.

    Il silenzio di un primo pomeriggio assolato. Il verso delle cicale. Un’anticamera abbagliata dal sole che regala frescura e oscurità alle altre stanze della casa.

    Avanzo accaldata nella sala da pranzo in penombra, c’è un grande tavolo in legno scuro protetto da uno spesso cristallo verde. La luce filtra dall’anticamera.

    Lui, però, non è lì. Lo trovo seduto a scrivere, rigorosamente a matita, in una piccola stanza invasa dalla calura e dal silenzio. La luce accecante è contenuta da una sottile tendina ricamata, bianca e gonfia come le vele di una barca. Vuoti e pieni di luce, la matita dal tratto lieve, la calligrafia composta di un maestro. Espressioni delicate e gentili come: “Che bella cera hai oggi, nipotina mia!”. L’odore dei libri con le pagine ingiallite e le belle illustrazioni. Un mondo si apriva in quegli istanti.

    Oggi tutto questo è ricordo, e sembra strano che una testa di vecchio senza nome possa a tal punto aprire un varco nella memoria e illanguidire lo sguardo, il mio, su cose tanto sopite.  

    È il nonno che mi ha portato qui, davanti a questo volto, perché questo volto mi riconducesse a lui.

     

    La narrazione è di Maria Spanò

    La voce è di Arianna Scommegna

    Testa di uomo anziano
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 23/30
    Camillo Boccaccino, Testa di uomo anziano

    E poi, questo ritratto di vecchio e il suo mistero.

    Una tavolozza giocata sui toni del colore che la storica dell’arte Mina Gregori, cremonese di nascita anche lei, descrive così: “una gamma di incendio autunnale, un rogo di foglie secche e crocchianti”.

    Come arriva, Boccaccino, a questa tonalità di colori ?

    Con la luce.

    Già, la luce! Provo a seguirla.

    Viene dall’alto, illumina la fronte stempiata e non a caso­: la sua sapienza alberga lì.

    L’uomo guarda verso il basso, aggrotta la fronte, forse ha un pensiero subitaneo, un’illuminazione della mente serena.

    Gli occhi si intravedono appena; sono messi in ombra perché la luce punta dritta alla barba lunga, folta, bianca, ma quasi mangiata in basso dall’oscurità.

    Le rughe, come onde di un mare non più in tempesta, si placano quiete alla barriera delle sopracciglia e lì trovano una ruga del pensiero che segna un confine netto fra la fronte e il naso lungo e regolare, quasi la punta di una freccia.

    Lo sguardo è benevolo, l’intento è docile, un San Giuseppe tenero e impacciato.

    C’è la tenerezza degli anziani nel suo volto, la stessa tenerezza che accompagna il ricordo di mio nonno.

    Un ricordo che si fonde con la luce, come il colore in Camillo Boccaccino si fonde con le ombre. È estate. Sto entrando nella casa dei nonni in paese. Una casa grande e antica.

    Il silenzio di un primo pomeriggio assolato. Il verso delle cicale. Un’anticamera abbagliata dal sole che regala frescura e oscurità alle altre stanze della casa.

    Avanzo accaldata nella sala da pranzo in penombra, c’è un grande tavolo in legno scuro protetto da uno spesso cristallo verde. La luce filtra dall’anticamera.

    Lui, però, non è lì. Lo trovo seduto a scrivere, rigorosamente a matita, in una piccola stanza invasa dalla calura e dal silenzio. La luce accecante è contenuta da una sottile tendina ricamata, bianca e gonfia come le vele di una barca. Vuoti e pieni di luce, la matita dal tratto lieve, la calligrafia composta di un maestro. Espressioni delicate e gentili come: “Che bella cera hai oggi, nipotina mia!”. L’odore dei libri con le pagine ingiallite e le belle illustrazioni. Un mondo si apriva in quegli istanti.

    Oggi tutto questo è ricordo, e sembra strano che una testa di vecchio senza nome possa a tal punto aprire un varco nella memoria e illanguidire lo sguardo, il mio, su cose tanto sopite.  

    È il nonno che mi ha portato qui, davanti a questo volto, perché questo volto mi riconducesse a lui.

     

    La narrazione è di Maria Spanò

    La voce è di Arianna Scommegna

    Testa di uomo anziano
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 24/30
    Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Magi

    Sono nata nella terra di mio padre, in campagna.

    Una terra immensa, 260 ettari. Una parte era in collina, tutto il resto era prato verde in cui pascolavano gli animali che lui allevava.

    Intorno alla terra di mio padre vivevano tre piccole comunità. Gli abitanti a volte andavano da lui a chiedere un pezzo di terra per coltivarlo, e mio padre gliela offriva, gratuitamente. Lui riconosceva questo bisogno di terra; la sua terra era grande e si poteva dare in dono.

    Quando mio padre macellava una mucca, tutti erano invitati. Era una grande festa, il momento dell’incontro in cui scambiarsi storie, parlare dei problemi della comunità, chiedere consiglio.

    Anche in quest’opera, dipinta dal Ghirlandaio, c’è un prato. Si apre dietro alla figura di Maria, quasi un vuoto per dare risalto alla sua presenza.

    I tre re-sacerdoti hanno appena appoggiato a terra tutti i loro segni di ricchezza.

    Quello più giovane si sta ancora togliendo la collana, mentre il paggio gli solleva delicatamente la corona dal capo.

    Il bambino alza la mano e benedice quello più vecchio, che gli bacia il piedino in segno di devozione.

    L’affollato corteo che accompagna i Magi si dispone a cerchio sui due lati, come a seguire il formato tondo del dipinto e a sottolineare la centralità di Maria e del Bambino. 

    Sullo sfondo, una capanna dentro le rovine di un tempio simboleggia l’avvento del tempo della grazia che supera l’antica legge, il Vecchio Testamento. Come un germoglio esile che si fa strada.

    Ancora oltre, un porto. Forse quello dove i Magi sono arrivati per adorare il Bambino.

    Cielo, terra, mare … uno spazio sconfinato.

    Nel Quattrocento, l’episodio descritto nel Vangelo di Matteo divenne un’occasione per celebrare i committenti. Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio, dipinse questo tondo probabilmente per la famiglia Tornabuoni. L’opera, che per la sua forma circolare era poco adatta all’altare di una chiesa, fu realizzata per la devozione dei committenti nella loro dimora privata.

    I rappresentati della famiglia sono ritratti con grande precisione nei due uomini inginocchiati a destra, forse anche nel Magio che si gira verso di noi. Una riunione familiare.

    E poi c’è Giuseppe, assorto in questo meraviglioso sguardo di tenerezza rivolto a Maria. Un po’ appartato, il volto poggiato sulla mano, contempla la moglie e il bambino.

    Nella figura di Giuseppe rivedo mio padre.

    È sempre stato molto protettivo nei miei confronti. Ero la più piccola, l’ultima di cinque figli.

    Ma non è riuscito a proteggermi dall’aggressione che ho subito quando ero ragazza, né dalla mia paura di possibili ritorsioni quando il processo si è concluso a mio favore.

    Mio padre non voleva che io partissi, ma ero certa che non avrei più potuto vivere in Perù. Sono io quella che ha deciso di andare, di cambiare la propria vita...

    Il giorno in cui sono partita per l’Europa mio padre mi guardava da lontano. Non mi ha salutata, non voleva lasciarmi andare via.

    Nel dipinto, pochi sono gli oggetti in primo piano poggiati su una pietra: una custodia di occhiali, una bisaccia e una borraccia per l’acqua, solo l’essenziale per il viaggio. Li raccolgo e parto, senza girarmi indietro.

    Avevo solo 22 anni, quando, appena laureata, ho dovuto affrontare da sola un nuovo mondo. Ho lasciato alle spalle un luogo familiare, sicuro, agiato, per trovarmi sballottata da clandestina.

    Quando sono arrivata a Firenze, la svolta: inserirmi nei gruppi di appoggio dei nuovi immigrati, nelle associazioni di categoria, nella politica del territorio; iniziare a farmi carico io di nuove responsabilità.

    In questo viaggio iniziatico della mia vita sono passata sotto i ruderi di un tempo trascorso, e ho attraversato la porta della Grazia.

    Anche i Magi, forse, sono passati da lì quando sono ripartiti per l’Oriente. Avvisati da un angelo di non ritornare da Erode, hanno cambiato la strada del ritorno.

    Qualche mese fa sono tornata nella casa di campagna di mio padre. Si sposava un mio nipote. Ho visto la famiglia allargata, i figli dei figli, i giovani diventati adulti, i tanti bambini. Ancora lì, nel grande prato intorno alla casa, eravamo diventati una grande famiglia.

    Il Magio in primo piano si volta verso di noi, come sorpreso dalle persone che continuano ad arrivare in un fiume infinito di generazioni.

     

    La narrazione è di Lina Callupe

    La voce è di Giulia Lazzarini

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 25/30
    Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Magi

    E poi c’è Giuseppe, assorto in questo meraviglioso sguardo di tenerezza rivolto a Maria. Un po’ appartato, il volto poggiato sulla mano, contempla la moglie e il bambino.

    Nella figura di Giuseppe rivedo mio padre.

    È sempre stato molto protettivo nei miei confronti. Ero la più piccola, l’ultima di cinque figli.

    Ma non è riuscito a proteggermi dall’aggressione che ho subito quando ero ragazza, né dalla mia paura di possibili ritorsioni quando il processo si è concluso a mio favore.

    Mio padre non voleva che io partissi, ma ero certa che non avrei più potuto vivere in Perù. Sono io quella che ha deciso di andare, di cambiare la propria vita...

    Il giorno in cui sono partita per l’Europa mio padre mi guardava da lontano. Non mi ha salutata, non voleva lasciarmi andare via.

    Nel dipinto, pochi sono gli oggetti in primo piano poggiati su una pietra: una custodia di occhiali, una bisaccia e una borraccia per l’acqua, solo l’essenziale per il viaggio. Li raccolgo e parto, senza girarmi indietro.

    Avevo solo 22 anni, quando, appena laureata, ho dovuto affrontare da sola un nuovo mondo. Ho lasciato alle spalle un luogo familiare, sicuro, agiato, per trovarmi sballottata da clandestina.

    Quando sono arrivata a Firenze, la svolta: inserirmi nei gruppi di appoggio dei nuovi immigrati, nelle associazioni di categoria, nella politica del territorio; iniziare a farmi carico io di nuove responsabilità.

    In questo viaggio iniziatico della mia vita sono passata sotto i ruderi di un tempo trascorso, e ho attraversato la porta della Grazia.

    Anche i Magi, forse, sono passati da lì quando sono ripartiti per l’Oriente. Avvisati da un angelo di non ritornare da Erode, hanno cambiato la strada del ritorno.

    Qualche mese fa sono tornata nella casa di campagna di mio padre. Si sposava un mio nipote. Ho visto la famiglia allargata, i figli dei figli, i giovani diventati adulti, i tanti bambini. Ancora lì, nel grande prato intorno alla casa, eravamo diventati una grande famiglia.

    Il Magio in primo piano si volta verso di noi, come sorpreso dalle persone che continuano ad arrivare in un fiume infinito di generazioni.

     

    La narrazione è di Lina Callupe

    La voce è di Giulia Lazzarini

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 26/30
    Domenico Ghirlandaio, Adoración de los Magos

    Nací en la tierra de mi padre, en una campiña.

    Una tierra inmensa de 260 hectareas, una parte colina y todo el resto era un prado verde donde pasteaban los animales de mi padre, vacas, ovejas, cavallos. Tambien habia un grande río con un puente, un sistema de riego y una grande cisterna que recolectaba el agua necesaria para los tiempos de sequía.

    Alrededor de la tierra de mi padre vivian tres pequeñas comunidades. Los habitantes de estos lugares se dirigian hacia mi padre, se presentaban ante él a solicitar un pedazo de terreno para cultivar y mi padre se los dava gratis. El reconocia esta necesidad de tierra, por que sus terrenos eran grandes y podia ofrecerlos.

    Mi casa era una pequeña villa, delante de ésta habia un inmenso prado; era un lugar donde se encontraban los habitantes de las tres comunidades. Cuando mi padre sacrificaba una vaca todos estaban invitados; conocidos, parientes, amigos. Se hacia un horno de piedras y se comía sentados por el suelo, según la costumbre Inca. Era una grande fiesta, un momento para conversar, intercambiar historias, hablar de los problemas de la comunidad, pedir consejos.

    Tambien en este cuadro hay un prado. Se ve detrás de la figura de Maria, casi un vacio para dar resalto a su presencia. Tal ves  Ghirlandaio, el artista que pintó este cuadro, se recordó del espacio que el gran Leonardo pintó alrededor de su Virgen de la Adoración de los Magos, que años antes habia dejado incompleta cuando viajó a Milan.

    Los tres reyes sacerdotes acaban de poner todos sus signos de riqueza en el suelo.

    El más joven se está quitando el collar, mientras el paje levanta suavemente la corona de la cabeza.

    El niño alza la mano y da la bendición al más anciano, que le besa el piecito en señal de devoción.

    El corteo lleno de gente que acompana los magos, donde Gherlandaio se exprime de la mejor manera de los detalles y de las variedades, se coloca a los dos lados formando un circulo en el quadro para dar más resalto a Maria y el Niño.

    En el fondo, una cabana dentro de las ruinas de un templo que simboliza el advenimiento del tiempo de las  gracias que supera las antiguas leyes, el antiguo testamento. Como un capullo delgadito que sale.

    Aún más, un puerto. Derrepente es donde los Magos han llegado para adorar el Niño.

    Cielo, tierra, mar…. un espacio infinito.

    En el siglo XV, desde la Adoración de los Magos de Gentile da Fabriano, el episodio descrito en el evangelio de Mateo y después en los evangelios apócrifos, se convirtió en una ocasión para celebrar los clientes. La   gran representacion de la familia de rodillas delante a la divinidad era una forma de ostentacion del poder.

    Domenico Bigordi, llamado el Ghirlandaio, pintó esta ronda probablemente para la familia Tornabuoni.

    De joven trabajó con el padre orfebre, para ambos el nombre Ghirlandaio nace con la maestria en la elaboración de guirlandas para peinados de mujeres. Posteriormente, Domenico abrió una tienda  de pintura con el hermano y el cuñado. Fue muy solicitado por las más importantes familias de Florencia; para los Tornabuoni, en el mismo tiempo en el cual pintó La Adoración, pintó una capilla en Santa Maria Novella.

    Este trabajo, por su forma circular, no era adapta al altar de una iglesia; fue realizada para la devoción de los comisionistas en su casa privada. Se hipotizó que el hombre de los cabellos largos arrodillado a la derecha sea Lorenzo Tornabuoni, y que la pintura fue hecha con motivos del nacimiento de su primogénito Juan, que por lo tanto tendría que ser reconocido en Jesús.

    Sin embargo, los representantes de la familia son retratados con grande precisión en los dos hombres arrodillados a la derecha, derrepente también en el Mago que se gira hacia nosotros. Una reunión familiar.

    Algunos de los presentes miran la escena en primer plano, otros conversan entre ellos. Intercambian gestos, miradas. Cada uno de ellos es una cara, un recuerdo.

    Y luego está José, absorto en esta maravillosa mirada de ternura hacia Maria. Un poco aislado, con la mano en la cara, contempla a su esposa y hijo.

    En la figura de José veo a mi padre.

    El siempre ha sido muy protector conmigo. Soy la mas pequeña, la ultima de los cinco hijos.

    No queria que nadie me lastimara, ni siquiesa regañar.

    Pero no pudo protegerme de la agresión que sufrí cuando era niña, ni de mi temor a posibles represalias cuando el proceso terminó a mi favor.

    Mi padre no queria que me vaya de viaje, pero yo no podia más vivir en Perú. Fui yo que decidí irme, de cambiar vida....

    El dia que viajé mi padre me miraba de lejos. No me saludó, porque no queria que me vaya.

    En el cuadro, son pocas las cosas apoyadas sobre la piedra: una caja de gafas, una bolsa y una botella de agua, solo el necesario para el viaje. Le recojo y parto, sin mirar atras.

    Tenia solo 22 anos, recien  graduada, he tenido que afrontar el viaje al nuevo mundo. Dejé atras un lugar familiar, seguro, tranquillo sin necesidades, para encontarme de clandestina. Estuve tan cansada de luchar para sobrevivir, que hasta desee de ser agarrada de la policia para ser reimpatriada. Luego decidí de resistir no solo por miedo, sobre todo por orgullo.

    Cuando llegue a Florencia, fue mi cambio: me encontrer acogida de la familia de la senora anciana que cuidabo, conocer un nuevo idioma, comenzar a vivir. Comenzar a frecuentar los grupos de apoyo para los nuevos emigrantes, en las asociaciones de esa categoria, en la politica del lugar, comenzar a tener responsabilidades por ellos.

    En este inició de viaje de mi vida he pasado tantas cosas y atravesé la puerta de las Gracias.

    Tambien los Magos, derrepente, pasaron por ahi antes de partir hacia el oriente. Avisados de un ángel para no regresar donde Erodes, cambiaron el camino de regreso.

    Hace algunos meses regresé a la casa de mi padre. Se casava un sobrino. Ví la familia crecida, hijos de hijos, los jovenes ya adultos y muchos niños. Ahi, en el grande prado alrededor de la casa, nos hemos vuelto una grande familia.

    IIl magio en primer plano se voltea hacia nosotros, como se fuera sorprendido de ver llegar tantas generaciones.

     

    Texto de Lina Callupe

    Voz de Giulia Lazzarini

     

    Adorazione dei Magi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 27/30
    Piero di Cosimo, Perseo libera Andromeda

    È l’alba, un cielo terso, un caldo abbraccio, forse l’ultimo fra Andromeda e Cassiopea, la madre che si era vantata di essere la più bella delle ninfe del mare. Ovidio, nelle sue Metamorfosi, racconta che per questo oltraggio Poseidone aveva inviato un mostro terribile a razziare le coste del regno di Cefeo, padre di Andromeda.

    La prima volta che vidi questo quadro rimasi colpita dal mostro, un drago più grazioso che spaventoso, di quelle creature che si possono trovare dentro a un libro di fiabe. A dipingerla non poteva essere che Piero di Cosimo, artista “capriccioso e di stravagante invenzione”.

    Poi il mio sguardo ha vagato sulla tela, e ho visto una fanciulla legata ad un albero. In primo piano tre donne affrante, i volti affondati tra le mani, i corpi nascosti dai mantelli, tutte chiuse dentro il loro pianto. Non riescono a guardare quello che sta accadendo. E io non riesco a guardarle senza che un sentimento di rabbia prenda fuoco dentro di me. Si sta consumando una tragedia e nessuno interviene. È più facile non guardare e non esserci! come gli uomini, che, in posa, mostrano un turbamento appena accennato.

    Mi sono persa in questa storia. Ho guardato e cercato. Solo allora mi sono accorta delle due figure abbracciate sulla collina, a sinistra. Forse due innamorati o, guardando meglio, una madre e una figlia. Una si abbandona all’altra, che l’accoglie.

    Andromeda sa che deve morire: l’oracolo ha chiesto il suo sacrificio per placare l’ira di Poseidone e delle altre ninfe. Ma non riesce a staccarsi dall’abbraccio, dal dolce profumo di sua madre, che è così rassicurante…

    Da questo abbraccio ho iniziato ad intrecciare questa storia alla mia.  

    E sei riapparsa tu, amica nuova in una nuova città, tu che eri per me una sicura presenza, un caldo abbraccio. Arrivai a Firenze entusiasta di aprirmi a nuove esperienze. A Santo Spirito, in quella casa all’ultimo piano, poco dopo arrivasti tu. Tanto abbiamo condiviso nel tempo e anche quando ognuna ha preso la propria strada siamo rimaste vicine nella lontananza: matrimoni, figli, dispiaceri. Sentivo che tu c’eri e ci capivamo e potevamo darci tanto.

    Il tuo era un caldo abbraccio.

    Andromeda ha dovuto lasciare l’abbraccio della madre. Ora è nuda, legata ad un tronco, sente i lacci forti che stringono le braccia. La paura tende tutti i suoi nervi, ingrigisce il suo incarnato.

    Quando vedo Andromeda impossibilitata a reagire penso al dolore che non ti permette di fare, di ragionare, di esserci, perché ti paralizza. E quando vedo Andromeda col seno che non può coprire né difendere, penso al mio dolore che non si può nascondere ed evitare, perché è dentro di me.

    Quando è morto mio padre mi sono sentita sola, avevo perso anche mia madre e non era giusto. All'improvviso non ero più figlia. Mi sono sentita senza radici e senza passato. Tutto cancellato.  Il mostro è arrivato all'improvviso, anche se preannunciato…

    Ad un tratto, l’alito del mostro è su di lei.

    Dove siete? padre, madre?

    Andromeda scorge un gruppo lontano di spalle. C’è suo padre Cefeo. Ai suoi piedi Cassiopea, la madre, piange, ma Andromeda sta morendo!

    Non uno sguardo, non una parola.

    Non so perché ti sei girata, amica, e non mi hai più guardata. Forse non riuscivi ad avvicinarti al mio dolore. Non ti ho più cercata.

    Arriva volando fiero, Perseo, il giovane salvatore. Lui è capace di vedere Andromeda.

    Approda elegante sul dorso del mostro, i piedi toccano la sua carne molliccia, un suono sordo, e subito l’assale alle spalle. Il mostro annaspa, spruzza acqua dalle narici … Sì!!!!!

    Leggero sei arrivato, figlio, a lenire tutto. Mi guardi con i tuoi occhi grandi e le mie paure si dileguano, il cuore si scalda, spera, si rallegra. Senza conoscere il mio terrore, lo sconfiggi.

    È festa, c’è musica, sventolano ramoscelli, occhi rivolti al cielo ringraziano. Andromeda si avvicina con passo di danza al suo eroe, che la guarda sognante. È davvero finita!

    Piero di Cosimo ha appena finito di narrare la storia della liberazione di Andromeda. Gli episodi si rincorrono, si incalzano, si accavallano. Un modo di raccontare tipico di Piero, amplificato dalla sua straordinaria capacità di osservare e reinventare la natura. In questo gli è stato maestro Leonardo da Vinci, con cui Piero ha studiato.

    Fu proprio la sua fervida immaginazione a valergli la commissione di grandi e bizzarri carri allegorici per la corte dei Medici. Nella “Liberazione di Andromeda”, Piero fa tesoro dell’ esperienza acquisita nella realizzazione di quegli apparati scenografici. L’impresa di Perseo altro non è che una metafora della liberazione di Firenze dal mostro della Repubblica; il tronco reciso sulla riva è una chiara allusione a un emblema dei Medici, il broncone di alloro che rifiorisce.

    Sulla collina, dove Perseo compie sacrifici alle divinità, il fiabesco villaggio si accende di gratitudine e tutti accorrono per far festa. Il sollievo è contagioso, come l’allegria.

    La vita con mio figlio è sempre una sorpresa e una festa. Guardo il cielo e ringrazio. Sono sempre un po’ frastornata, ma quando le paure riaffiorano, la delusione incombe, c’è lui che mi regala la speranza, il sorriso. Chiede attenzioni e mi costringe ad esserci, per lui. E io ci sono per il mio salvatore. E dimentico… e sempre ringrazio.

     

    La narrazione è di Viviana Fanizza

    La voce è di Ottavia Piccolo

    Perseo libera Andromeda
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 28/30
    Piero di Cosimo, Perseo libera Andromeda

    Andromeda ha dovuto lasciare l’abbraccio della madre. Ora è nuda, legata ad un tronco, sente i lacci forti che stringono le braccia. La paura tende tutti i suoi nervi, ingrigisce il suo incarnato.

    Quando vedo Andromeda impossibilitata a reagire penso al dolore che non ti permette di fare, di ragionare, di esserci, perché ti paralizza. E quando vedo Andromeda col seno che non può coprire né difendere, penso al mio dolore che non si può nascondere ed evitare, perché è dentro di me.

    Quando è morto mio padre mi sono sentita sola, avevo perso anche mia madre e non era giusto. All'improvviso non ero più figlia. Mi sono sentita senza radici e senza passato. Tutto cancellato.  Il mostro è arrivato all'improvviso, anche se preannunciato…

    Ad un tratto, l’alito del mostro è su di lei.

    Dove siete? padre, madre?

    Andromeda scorge un gruppo lontano di spalle. C’è suo padre Cefeo. Ai suoi piedi Cassiopea, la madre, piange, ma Andromeda sta morendo!

    Non uno sguardo, non una parola.

    Non so perché ti sei girata, amica, e non mi hai più guardata. Forse non riuscivi ad avvicinarti al mio dolore. Non ti ho più cercata.

    Arriva volando fiero, Perseo, il giovane salvatore. Lui è capace di vedere Andromeda.

    Approda elegante sul dorso del mostro, i piedi toccano la sua carne molliccia, un suono sordo, e subito l’assale alle spalle. Il mostro annaspa, spruzza acqua dalle narici … Sì!!!!!

    Leggero sei arrivato, figlio, a lenire tutto. Mi guardi con i tuoi occhi grandi e le mie paure si dileguano, il cuore si scalda, spera, si rallegra. Senza conoscere il mio terrore, lo sconfiggi.

    È festa, c’è musica, sventolano ramoscelli, occhi rivolti al cielo ringraziano. Andromeda si avvicina con passo di danza al suo eroe, che la guarda sognante. È davvero finita!

    Piero di Cosimo ha appena finito di narrare la storia della liberazione di Andromeda. Gli episodi si rincorrono, si incalzano, si accavallano. Un modo di raccontare tipico di Piero, amplificato dalla sua straordinaria capacità di osservare e reinventare la natura. In questo gli è stato maestro Leonardo da Vinci, con cui Piero ha studiato.

    Fu proprio la sua fervida immaginazione a valergli la commissione di grandi e bizzarri carri allegorici per la corte dei Medici. Nella “Liberazione di Andromeda”, Piero fa tesoro dell’ esperienza acquisita nella realizzazione di quegli apparati scenografici. L’impresa di Perseo altro non è che una metafora della liberazione di Firenze dal mostro della Repubblica; il tronco reciso sulla riva è una chiara allusione a un emblema dei Medici, il broncone di alloro che rifiorisce.

    Sulla collina, dove Perseo compie sacrifici alle divinità, il fiabesco villaggio si accende di gratitudine e tutti accorrono per far festa. Il sollievo è contagioso, come l’allegria.

    La vita con mio figlio è sempre una sorpresa e una festa. Guardo il cielo e ringrazio. Sono sempre un po’ frastornata, ma quando le paure riaffiorano, la delusione incombe, c’è lui che mi regala la speranza, il sorriso. Chiede attenzioni e mi costringe ad esserci, per lui. E io ci sono per il mio salvatore. E dimentico… e sempre ringrazio.

     

    La narrazione è di Viviana Fanizza

    La voce è di Ottavia Piccolo

    Perseo libera Andromeda
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 29/30
    Luca Signorelli, Sacra Famiglia

    Tutto ruota intorno al figlio.

    Giuseppe sembra appena arrivato. Giuseppe, con questa sua sciarpa colorata al collo, le braccia conserte in segno di rispetto, l'espressione del viso così saggia e consapevole dei propri limiti. Con una gamba serra lo spazio intorno al Bambino, come a proteggerlo.

    La sua figura si piega per adeguarsi alla forma del tondo. Occupa lo spazio che gli è stato lasciato, consapevole del ruolo che gli è concesso.

    Si avvicina a Maria e a Gesù come in punta di piedi, in un atteggiamento quasi di pudore e riverenza di fronte al mistero della maternità. Si affaccia su uno spazio di intimità.

    Maria è bella, a suo agio in questo spazio. Le gambe sono distese, rilassate. Un morbido manto rosso la avvolge fino ai piedi.

    La sua pelle è luminosa, l’espressione sul volto concentrata, assorta nella lettura del libro.

    Ai nostri occhi non è malinconica come molti interpreti la descrivono, perché pensa al destino di Gesù ... Ai nostri occhi, Maria è una mamma serena, che legge e istruisce il figlio. Il libro poggiato a terra e quello che tiene tra le mani rappresentano il passaggio dall’antica religione, fondata sulla legge, a quella nuova, fondata sull’amore.

    Non la spaventa quello che accadrà dopo … vive il momento.

    Gesù è in piedi, appoggiato alla madre. Raccolto tra la tenerezza e l’educazione di Maria, l’adorazione e la protezione di Giuseppe. Si è appena girato: con la mano ferma la lettura della mamma, lo sguardo va oltre la figura del babbo.

    Giuseppe ha il volto triste, scavato, grigio. Il contrasto tra l’incarnato spento e i colori accesi della sciarpa sembra svelare uno stato interiore.

    Lui è come se stesse inchinandosi davanti alla forza del disegno divino. Ha grande difficoltà ad accettare non tanto il mistero di un figlio che non è il suo, quanto la conseguenza di questo mistero. Promette a Maria e a Gesù, in silenzio, che farà di tutto per proteggerli. Sembra dire loro: “Io vi osservo, veglio su di voi, ma non vi disturbo...”.

    Eccoci: io, tu e nostro figlio Riccardo. Noi tre all’interno di un cerchio che è come un recinto di protezione, che racchiude la capacità di trovare la forza insieme, di controllare e gestire il dolore.

    Quando è nato, un evento felice si è trasformato in pochi attimi in una tragedia.

    Nostro figlio è riuscito a sopravvivere al trauma provocato dalla negligenza di quella donna, e forse né tu né io eravamo al momento coscienti di quanto dolorose sarebbero state le conseguenze di quel trauma, di quella maledetta tempesta provocata da pochi secondi senza ossigeno … eccolo, il figlio, al centro della tempesta che ha stravolto le nostre vite.

    Non è stato facile accettare il male fatto a Riccardo; ancora oggi, dopo tanti anni, non ce la faccio …  

    Il cerchio del dolore si è chiuso intorno alle nostre vite: tutte le volte che abbiamo provato a uscire, anche nei momenti di felicità assoluta come la nascita degli altri nostri due figli, siamo dovuti tornare indietro, necessariamente. I viaggi, le soddisfazioni scolastiche, gli amici: tutto si è sempre realizzato all’ombra del dolore.

    Il nostro dolore è potente però, è la nostra forza.

    È la stessa forza che ha permesso a Riccardo di fare tanti progressi, di raggiungere traguardi impensabili. Lui sente il dolore, ma a differenza di noi riesce a guardare oltre il cerchio, quasi con ostinazione.

    Io voglio che il figlio si distacchi da me. Gli abbiamo creato uno spazio, una vita sociale. È la nostra vita che è chiusa. Gira intorno a lui, senza spazi di respiro.

    Quando torniamo a casa, sembra che il resto non esista. Viviamo in uno spazio stretto, l’appartamento è piccolo, i movimenti sono limitati, i viaggi sempre più difficili.

    Non credo sia un caso che questa Sacra Famiglia mi abbia costretto a fermarmi, a riflettere.

    Fu dipinta alla fine del Quattrocento da Luca Signorelli, l’artista rinascimentale che fu descritto come il precursore di Michelangelo da diversi storici dell’arte.

    Le figure hanno una qualità così scultorea e lo spazio del quadro è così compresso e claustrofobico, che Maria e Giuseppe sembrano quasi proiettati fuori dalla superficie del dipinto. Questo mi dicono i miei occhi allenati di pittore. Ma c’è qualcosa di più. L’idea del cerchio che chiude e isola ha toccato in me delle corde profonde, così come l’atteggiamento di San Giuseppe: attento e protettivo, eppure un po’ in disparte. Non è tanto una questione di distanza fisica, perché in questo spazio ogni distanza è annullata. Piuttosto, mi ha colpito la “diversità” di Giuseppe rispetto a Maria e Gesù, una differenza che Signorelli ha reso in diversi modi: Giuseppe è la figura più sacrificata dalla forma del tondo, quasi vi fosse forzata dentro a fatica; il suo incarnato grigio è così in contrasto con quello della moglie e del figlio; anche il fatto che abbia un’aureola diversa può essere interpretato come un modo di distinguerlo dalla Madonna, l’unica a essere nata senza peccato originale, e dal Bambino, il figlio di Dio.

    Eppure, con il suo ingresso, Giuseppe è colui che dà equilibrio alla composizione e alla famiglia, una sorta di compimento.

    A volte, quando siamo seduti sul divano, Riccardo all’improvviso alza lo sguardo verso il soffitto e sorride. Forse vede il suo angelo.

    Lui è capace di vedere oltre.

     

    La narrazione è di Magdy Hassan e Eliana Caputo

    Le voci sono di Marco Martinelli e Ermanna Montanari

     

    Sacra Famiglia
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
  • 30/30
    Luca Signorelli, Sacra Famiglia

    Eccoci: io, tu e nostro figlio Riccardo. Noi tre all’interno di un cerchio che è come un recinto di protezione, che racchiude la capacità di trovare la forza insieme, di controllare e gestire il dolore.

    Quando è nato, un evento felice si è trasformato in pochi attimi in una tragedia.

    Nostro figlio è riuscito a sopravvivere al trauma provocato dalla negligenza di quella donna, e forse né tu né io eravamo al momento coscienti di quanto dolorose sarebbero state le conseguenze di quel trauma, di quella maledetta tempesta provocata da pochi secondi senza ossigeno … eccolo, il figlio, al centro della tempesta che ha stravolto le nostre vite.

    Non è stato facile accettare il male fatto a Riccardo; ancora oggi, dopo tanti anni, non ce la faccio …  

    Il cerchio del dolore si è chiuso intorno alle nostre vite: tutte le volte che abbiamo provato a uscire, anche nei momenti di felicità assoluta come la nascita degli altri nostri due figli, siamo dovuti tornare indietro, necessariamente. I viaggi, le soddisfazioni scolastiche, gli amici: tutto si è sempre realizzato all’ombra del dolore.

    Il nostro dolore è potente però, è la nostra forza.

    È la stessa forza che ha permesso a Riccardo di fare tanti progressi, di raggiungere traguardi impensabili. Lui sente il dolore, ma a differenza di noi riesce a guardare oltre il cerchio, quasi con ostinazione.

    Io voglio che il figlio si distacchi da me. Gli abbiamo creato uno spazio, una vita sociale. È la nostra vita che è chiusa. Gira intorno a lui, senza spazi di respiro.

    Quando torniamo a casa, sembra che il resto non esista. Viviamo in uno spazio stretto, l’appartamento è piccolo, i movimenti sono limitati, i viaggi sempre più difficili.

    Non credo sia un caso che questa Sacra Famiglia mi abbia costretto a fermarmi, a riflettere.

    Fu dipinta alla fine del Quattrocento da Luca Signorelli, l’artista rinascimentale che fu descritto come il precursore di Michelangelo da diversi storici dell’arte.

    Le figure hanno una qualità così scultorea e lo spazio del quadro è così compresso e claustrofobico, che Maria e Giuseppe sembrano quasi proiettati fuori dalla superficie del dipinto. Questo mi dicono i miei occhi allenati di pittore. Ma c’è qualcosa di più. L’idea del cerchio che chiude e isola ha toccato in me delle corde profonde, così come l’atteggiamento di San Giuseppe: attento e protettivo, eppure un po’ in disparte. Non è tanto una questione di distanza fisica, perché in questo spazio ogni distanza è annullata. Piuttosto, mi ha colpito la “diversità” di Giuseppe rispetto a Maria e Gesù, una differenza che Signorelli ha reso in diversi modi: Giuseppe è la figura più sacrificata dalla forma del tondo, quasi vi fosse forzata dentro a fatica; il suo incarnato grigio è così in contrasto con quello della moglie e del figlio; anche il fatto che abbia un’aureola diversa può essere interpretato come un modo di distinguerlo dalla Madonna, l’unica a essere nata senza peccato originale, e dal Bambino, il figlio di Dio.

    Eppure, con il suo ingresso, Giuseppe è colui che dà equilibrio alla composizione e alla famiglia, una sorta di compimento.

    A volte, quando siamo seduti sul divano, Riccardo all’improvviso alza lo sguardo verso il soffitto e sorride. Forse vede il suo angelo.

    Lui è capace di vedere oltre.

     

    La narrazione è di Magdy Hassan e Eliana Caputo

    Le voci sono di Marco Martinelli e Ermanna Montanari

    Sacra Famiglia
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera

Fabbriche di Storie

Un progetto di mediazione culturale alle Gallerie degli Uffizi

www.uffizi.it/visite-speciali/fabbrichedistorie

Dodici capolavori degli Uffizi raccontati in un emozionante audio-percorso che propone al pubblico una visione inedita non solo delle opere, ma anche del museo come inesauribile “cantiere” di storie.

I narratori di Fabbriche di Storie sono operatori museali e nuovi cittadini che hanno intrecciato il loro vissuto alla storia delle opere, arricchendole di nuovi significati e risonanze. I loro racconti, intensi ed evocativi, restituiscono saperi, emozioni e storie al tempo stesso individuali e collettive, toccando temi universali come la famiglia, l’amicizia, la preghiera e il viaggio.

I file audio delle narrazioni, in italiano e nella lingua madre di alcuni narratori (arabo, farsi, mandarino, francese e spagnolo), possono essere ascoltati da casa o durante la visita al museo con un qualsiasi dispositivo mobile (smartphone o tablet), munendosi di auricolari.

Fabbriche di Storie si rivolge a tutti: turisti, visitatori abituali e persone che entrano per la prima volta in un museo; Italiani e cittadini stranieri residenti in Italia.

 

Un progetto dell'Area Mediazione Culturale e Accessibilità

A cura di Simona Bodo e Maria Grazia Panigada

Testi di Mohammad Aletaha, Silvia Barlacchi, Fabiana Bianchini, Lina Callupe, Eliana Caputo, Viviana Fanizza, Magdy Hassan, Zeinab Kabil, Diana Kong, Samira Lahhane, Kuassi Sessou, Sofia Sessou, Maria Spanò.

Voci di Giacomo Armaroli, Marco Baliani, Micaela Casalboni, Lella Costa, Laura Curino, Lucilla Giagnoni, Giulia Lazzarini, Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Maria Paiato, Marco Paolini, Ottavia Piccolo, Paola Roscioli, Arianna Scommegna.

Crediti fotografici Francesco del Vecchio e Roberto Palermo (Dipartimento Fotografico)

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