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L'età dell'oro

Jacopo Zucchi (Firenze 1541 - Roma 1590)

Data
1575 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
D17. Studiolo classico
Tecnica
olio su tavola
Dimensioni
50 x 38.5 cm
Inventario
1890 n. 1548

Questo quadretto, insieme al suo pendant raffigurante l’Età dell’argento, proviene da villa Medici a Roma, dimora di Ferdinando I al tempo in cui egli era cardinale. In base alle fonti documentarie appare molto probabile l’ipotesi che le due tavolette fossero destinate ad essere utilizzate come coperte di ritratto. 

Secondo la mitologia classica l’Età dell’oro fu un tempo leggendario in cui sulla Terra regnava una perpetua felicità. Gli essere umani vivevano in pace senza bisogno di leggi, non dovevano affaticarsi a coltivare la terra perché essa regalava spontaneamente i suoi frutti, non avevano bisogno di ripari perché regnava un’eterna primavera. Il casato mediceo aveva spesso utilizzato questo tema per alludere alla prosperità del suo buon governo. Marsilio Ficino, umanista e filosofo alla corte di Lorenzo il Magnifico, aveva cantato le lodi del suo Signore sostenendo che sotto la sua guida Firenze aveva conosciuto l’età dell’oro delle arti e delle lettere. Nel 1513, in occasione dell’elezione al soglio pontificio di Leone X, figlio del Magnifico, fu allestita in città una processione che celebrava il “trionfo dell’età e secol d’oro”. 

Nel dipinto, il motto che compare nel cartiglio sorretto da due giovani fanciulle che si librano in aria  riprende il titolo dell’intermezzo teatrale cantato nel 1539 durante i festeggiamenti per le nozze di Cosimo I ed Eleonora di Toledo. La canzone “O bell’anni dell’oro” era già servita da spunto per un altro dipinto di analogo soggetto eseguito da Francesco Morandini detto il Poppi su disegno di Vasari. Il dipinto del Poppi faceva parte di una serie di quadretti realizzati dal Vasari e dagli artisti della sua cerchia per Francesco I de’ Medici, i cui soggetti si basavano sugli scritti di Don Vincenzo Borghini erudito priore dell’Ospedale degli Innocenti. Partendo da episodi tratti dalla mitologia classica e dalle Metamorfosi di Ovidio, il Borghini aveva elaborato una serie di “invenzioni” dai complessi significati allegorici il cui intento era quello di celebrare i “talenti” fiorenti e il buon governo mediceo.

Allievo del Vasari, Jacopo Zucchi ne divenne il suo principale collaboratore partecipando alla decorazione del Salone dei Cinquecento e dello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio. Nel 1572 si stabilì a Roma diventando l’artista prediletto di Ferdinando de’ Medici che gli affidò la decorazione della sua villa sul Pincio.

In questo dipinto lo Zucchi si ispira alla composizione vasariana nella raffigurazione dei gruppetti di figure che danzano o si abbracciano in riva ad un ruscello, ma nel complesso il suo soggetto mostra una più stretta aderenza alle Metamorfosi di Ovidio di cui è possibile ipotizzare che il pittore avesse una conoscenza diretta, potendole utilizzare come fonte iconografica. Non dobbiamo infatti dimenticare che lo Zucchi possedeva approfondite cognizioni di mitografia, come dimostrò qualche anno più tardi scrivendo lui stesso il programma decorativo della Genealogia degli dei affrescata nella galleria di Palazzo Rucellai (ora Ruspoli) a Roma.

Dal punto di vista stilistico il dipinto presenta le caratteristiche delle opere dell’artista della metà degli anni Settanta: figure dai gesti ritmici, inquadratura dal basso e costruzione spaziale in diagonale per aumentare il senso di profondità.

 

Testo di
Monica Alderotti
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