Il Paradiso Terrestre: Matelda
"Io dicerò come procede
Per sua cagion ciò che ammirar ti face,
E purgherò la nebbia che in te siede.
Lo Sommo Ben, che sol esso a sè piace,
Fe l’omo buono a bene, e questo loco
Diede per arra a lui d’eterna pace.
Per sua difalta qui dimorò poco:
Per sua difalta in pianto et in affanno
Cambiò l ’onesto riso e ’l dolce gioco.
Perchè ’l turbar, che sotto da sè fanno
L’esalazion dell’acqua e della terra,
Che quanto posson dietro al calor vanno,
All’omo non facesse alcuna guerra,
Questo monte sallio ’n ver lo Ciel tanto,
Che liber è da indi, ove si serra.
Or perchè ’n circuito tutto quanto
L’aire si volge co la prima volta,
Se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,
In questa altezza, che tutt’è disciolta
Nell’aire vivo, tal moto percuote,
E fa sonar la selva, perchè è folta;
E la percossa pianta tanto puote,
Che della sua virtute l’aura impregna,
E quella poi girando in torno scuote:
E l’altra terra, secondo che è degna
Per sè, o per suo Ciel, concepe e figlia
Di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
Udito questo, quando alcuna pianta
Sanza seme palese vi s’appiglia.
E saper dei che la campagna santa,
Dove tu se, d’ogni sementa è piena,
E frutto à in sè che di là non si schianta.
L’acqua che vedi non surge di vena
Che ristori e’ vapor, che ’l Ciel converta,
Come fiume che acquista e perde lena;
Ma escie di fontana salda e certa,
Che tanto di valor di Dio riprende,
Quant’ella versa da dua parte aperta.
Da questa parte con virtù discende,
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall’altra, d’ogni ben fatto la rende.
Quinci Lete, così dall’altro lato
Eunoe si chiama; e non adopra,
Se quinci e quindi pria non è gustato.
A tutti altri sapori esto è di sopra".
Purgatorio, XXVIII, 88-133.