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San Matteo e storie della sua vita

Andrea di Cione, detto l’Orcagna (Firenze, doc. 1343-1368) e Jacopo di Cione (Firenze doc. 1365 - 1400)

Collezione
Pittura
Collocazione
A6. Il Trecento a Firenze
Tecnica
Tempera su tavola
Dimensioni
291 x 265 cm
Inventario
1890 n.3163

La forma singolare di questa tavola è dovuta alla sua originaria destinazione: il pilastro della chiesa di Orsammichele in Firenze, assegnato all’Arte del Cambio. Con la sua struttura convessa, con tre tabelloni che costituiscono un mezzo esagono, essa è costruita per abbracciare su tre lati il pilastro stesso, narrando la vita di San Matteo, patrono dell’Arte. L’apostolo ed evangelista Matteo, che prima della chiamata di Cristo era un gabelliere e si chiamava Levi, proprio per la sua originaria attività di esattore delle tasse, era ed è il protettore di banchieri, doganieri, finanzieri, cambiavalute, ragionieri, commercialisti e esattori.

Le Arti, com’è noto, governavano nel Medioevo l’organizzazione del lavoro a Firenze e finanziavano molte opere d’arte che poi mantenevano e restauravano.

I tre pannelli di Orsammichele furono ordinati ad Andrea di Cione detto l’Orcagna, pittore, scultore e architetto, titolare di una delle botteghe più famose e floride del capoluogo toscano dopo la peste del 1348. I consoli dell’Arte affidarono il dipinto al maestro il 15 luglio 1367 ma egli, che l’anno successivo era molto malato – morirà il 25 agosto 1368 - ne lasciò il completamento al fratello minore Jacopo che prese le redini della sua impresa, avvalendosi di una serie di collaboratori che la critica ha individuato su basi stilistiche e battezzato con nomi convenzionali. Per questa opera, viene fatto concordemente il nome del cosiddetto Maestro della predella dell’Ashmolean Museum che trae questa denominazione dalla predella, conservata appunto nell’omonimo museo di Oxford.

Nella tavola centrale è raffigurato San Matteo con Vangelo, piuma e calamo, vestito con un ampio mantello rosa foderato di rosso e profilato d’oro sopra una tunica azzurra. Egli è in piedi su un tappeto riccamente decorato, che presenta motivi riscontrabili nei tessili raffigurati in altre opere dell’Orcagna. Nelle due tavole laterali sono rappresentati quattro episodi della vita del Santo, che vanno letti seguendo direzioni invertite: a sinistra si va dal basso verso l’alto e a destra viceversa. Alla base di ogni pannello corre la descrizione della relativa scena. Cominciando da sinistra di chi guarda, in latino medievale: QUOMODO. SANTUS. MATHEUS. DECESSIT . DE . CHELONEO . ET. SECUTUS. EST. CRISTUM, (Vocazione di san Matteo); QUOMODO . MISERŨT . SUP. EUM . SANCTUS. MATHEUS . DRACONES (San Matteo ammansisce i due draghi di Vadabar), a destra , QUOMODO . SANCTUS . MATHEUS . RESUSCITAVIT. UNUM . MORTUUM (San Matteo resuscita il figlio del re Egippo) e QUOMODO . SANCTUS . MATHEUS . FUIT . ACCISUS (Martirio di san Matteo). Sotto l’immagine del santo SANTUS . MATHEUS . APOSTOLUS . ET . EVANGELISTA, e nel libro, l’inizio del suo Vangelo. Gli episodi sono narrati in maniera sintetica con una tavolozza di colori vivaci e con una grande attenzione alle architetture, tutte molto fantasiose, probabilmente concepite così per scandire la distribuzione delle figure nello spazio.

I tabelloni terminano con una modanatura lineare e contengono una sorta di edicola con archi a sesto acuto e una cornice polilobata che inquadrano l’immagine del Santo e i due registri di storie laterali. In alto, nelle porzioni che si ritagliano sopra la figura di Matteo, si trovano due piccoli tondi con angeli a mezza figura, recanti rispettivamente il Vangelo e la palma del martirio, mentre identici tondi ornano le altre due tavole e sono riempiti con monete d’oro in campo rosso, simbolo dell’Arte del Cambio.

Dopo che nel 1402 fu ordinata la rimozione di tutte le tavole dei pilastri di Orsammichele, per essa iniziò una serie di spostamenti: prima nell’antico Ospedale di San Matteo, detto di Lemmo Balducci, poi, prima del 1791, nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova, dal quale nel 1899 fu acquistata dalle Gallerie, per esporla, a partire dal 1901, all’interno degli Uffizi.

Testo di
Simona Pasquinucci
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