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Ercole e l’idra

Antonio Benci detto Antonio del Pollaiolo o del Pollaiuolo(Firenze 1431-Roma 1498)

Data
1475 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
A10 I Pollaiolo
Tecnica
Tempera e olio su tavola
Dimensioni
15 x 12 cm
Inventario
1890 n.8268

Eracle, o Ercole, eroe della mitologia greca affronta l’idra, un mostro con sette teste che terrorizzava la città di Lerna. Si tratta di una delle dodici imprese sovrumane, le fatiche, che Ercole compì per espiare la colpa di avere ucciso la moglie e i figli in un eccesso d’ira provocato dalla dea Era.

Privo di armi, Ercole impugna una rozza clava di legno ed è coperto solo dalla pelle del leone che egli aveva ucciso a Nemea nella prima impresa. Il corpo muscoloso pone in evidenza la forza dell’eroe, che lotta contro il mostro. La carica drammatica è accentuata dal senso di movimento suggerito dal prevalere di linee serpentine e dal gonfiarsi della pelle di leone come una vela spinta dal vento, mentre il volto dell’eroe è trasfigurato dalla tensione del combattimento. Ercole sembra dominare il paesaggio pianeggiante alle sue spalle, gli acquitrini abitati dall’idra. Nonostante le esigue dimensioni, il dipinto è ricco di dettagli e realizzato con straordinaria maestria.

Insieme al compagno raffigurante Ercole e Anteo (Inv. 1890 n. 8268) è riferito a Antonio del Pollaiolo, artista che esercitò con altrettanta abilità la scultura e l’oreficeria, maggiore del fratello Piero. Le fonti antiche attestano che Antonio eseguì per la “sala grande” del palazzo dei Medici in via Larga a Firenze tre dipinti su tela raffiguranti Ercole e il leone nemeo, Ercole e l’Idra, Ercole e Anteo, oggi perduti. L’ipotesi che le due tavolette oggi agli Uffizi potessero essere modelli preparatori o copie del ciclo mediceo è oggi ritenuta poco veritiera, ma in ogni caso attestano la familiarità di Antonio col tema delle fatiche di Ercole, con cui si cimentò anche nella tridimensionalità della scultura in bronzo. Le due tavolette degli Uffizi sono documentate nel 1609 a Firenze nella raccolta di Benedetto di Bartolomeo Gondi; all’epoca i due quadretti erano inseriti in cornici e formavano un dittico chiudibile, simile a un libro. Non è noto quando pervennero nelle collezioni dei granduchi di Toscana. Nel 1794 erano a Palazzo Pitti e pervennero agli Uffizi nel 1798. Durante la seconda guerra mondiale, le due tavolette vennero trafugate dall’esercito tedesco e portate in Germania. Dopo lunghe ricerche, furono ritrovate nel 1963 a Pasadena (USA) da Rodolfo Siviero e dal 1975 sono di nuovo esposte agli Uffizi.

Bibliografia

A. Tartuferi, in La stanza dei Pollaiolo, a cura di A. Natali e A. Tartuferi, Firenze 2007, pp. 114- 117; C. Gulli in Dal Giglio al David. Arte civica a Firenze fra Medioevo e Rinascimento, a cura di M. M. Donato e D. Parenti, Firenze 2013, pp. 244-247; A. Cecchi, in Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria, a cura di P. Farbaky, D. Pòcs, M. Scudieri, L. Brunori, E. Spenkner, A. Vègh, Firenze 2013, pp. 230-231; F. Siddi, in Antonio e Piero del Pollaiolo. “Nell’argento e nell’oro, in pittura e nel bronzo…”, a cura di A. Di Lorenzo e A. Galli, Milano 2014, pp. 192-196

Testo di
Daniela Parenti
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