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Ercole e Anteo

Antonio Benci detto Antonio del Pollaiuolo o del Pollaiolo (Firenze 1431-Roma 1498)

Data
1475 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
A10. I Pollaiolo
Tecnica
Tempera e olio su tavola
Dimensioni
15 x 12 cm
Inventario
1890 n.1478

La mitologia greca narra che Eracle, o Ercole, in una delle sue dodici fatiche sconfisse Anteo, un gigante dalla forza sovrumana che faceva strage di uomini. La potenza di Anteo derivava dal contatto col terreno poiché era figlio di Gea, tea della terra. Ercole pertanto, per indebolire il gigante, lo sollevò e con la forza delle braccia lo uccise. La scena racconta efficacemente il momento che precede la vittoria di Ercole, con Anteo che urla mentre invano prova a liberarsi dall’abbraccio mortale, e Ercole, col baricentro spostato indietro per reggere il peso e la pelliccia di leone abbassata sui fianchi, contrae tutti i muscoli del corpo e del volto in un ultimo sforzo. Questi dettagli dimostrano conoscenza approfondita dell’anatomia umana da parte dell’autore del dipinto, Antonio del Pollaiolo, raggiunta attraverso lo studio dal vero e l’esercizio del disegno.

Le figure di Ercole e Anteo sono situate in primo piano su un pianoro, oltre il quale si apre un arioso paesaggio visto dall’alto. E’ un espediente derivato dalla pittura fiamminga, allo scopo di amplificare la profondità spaziale della scena. La distanza fra il gruppo di Ercole e Anteo e il paesaggio retrostante è misurata dalla diversità di dimensioni, evidente nel confronto fra le figure in primo piano e quella del cervo che beve alla fonte, in basso a destra, volto a riprodurre un effetto ottico per cui ciò che è lontano ci appare più piccolo.

Al mito di Ercole vennero attribuiti nel Medioevo e nel Rinascimento significati edificanti e allegorici, tanto da essere raffigurato anche in contesti religiosi, oltre che civici.  Ercole rappresentava la virtù, l’eroe vittorioso su creature potentissime e inique e ciò ne faceva un emblema di libertà e grandezza.

Il dipinto degli Uffizi fu eseguito da Antonio del Pollaiolo insieme ad un’altra tavoletta di analoghe dimensioni raffigurante Ercole e l’Idra (inv. 1890 n. 1478). La destinazione originaria non è nota, ma la raffinata fattura delle due tavolette e le piccole dimensioni portano a supporre che potessero far parte dell’arredo di un piccolo studiolo signorile.

Le due tavolette degli Uffizi sono documentate nel 1609 a Firenze nella raccolta di Benedetto di Bartolomeo Gondi; all’epoca i due quadretti formavano un dittico chiudibile, simile a un libro. Non è noto quando pervennero nelle collezioni dei granduchi di Toscana. Nel 1794 erano a Palazzo Pitti e pervennero agli Uffizi nel 1798.

Durante la seconda guerra mondiale le due tavolette vennero trafugate dall’esercito tedesco e portate in Germania. Dopo lunghe ricerche, furono ritrovate nel 1963 a Pasadena (USA) da Rodolfo Siviero e dal 1975 sono di nuovo esposte agli Uffizi.

 

 

 

 

Bibliografia

A. Tartuferi, in La stanza dei Pollaiolo, a cura di A. Natali e A. Tartuferi, Firenze 2007, pp. 114- 117;A. Galli, Antonio e Piero del Pollaiolo. “Nell’argento e nell’oro, in pittura e nel bronzo…”, a cura di A. Di Lorenzo e A. Galli, Milano 2014, pp. 192-196

Testo di
Daniela Parenti
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