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Contrefait-Kugel

Giovanni Ambrogio Maggiore

Data
1581-1582
Collocazione
Sale Avori
Tecnica
Ebano, avorio, oro, smalti e pietre preziose
Dimensioni
37,5 cm (altezza)
Inventario
Bg, Avori 1879, n. 39

L’opera è un esempio Contrefait-Kugel, termine con cui, alla fine del XVI secolo, venivano denominati manufatti in forma di sfere intagliate dentro altre sfere, contenenti a loro volta capsule tornite in forma ovale celanti ritratti miniati. Una lettera del 1582 testimonia che l’esemplare del Tesoro dei Granduchi fu donato, insieme ad altri oggetti preziosi, dal duca Guglielmo V di Baviera a Francesco I de’ Medici.

A dominare è la grande sfera di ebano caratterizzata da sei aperture ovali e composta da due semisfere semicircolari, una delle quali, rimuovibile, coronata da un puntale d’avorio. Attraverso le sei aperture si intravede poi una seconda sfera, eseguita in un unico pezzo di avorio, contraddistinta a sua volta da un ugual numero di aperture rotonde. Attraverso questo gioco di oculi si svela infine la visione di un medaglione d’avorio, collegato a una catenella d’oro, con la presenza dei ritratti miniati di Guglielmo V duca di Baviera, della moglie Renata di Lorena e dei loro cinque figli. Anche il fusto in ebano ripete l’artificio, con un nodo quasi sferico che racchiude una palla di legno visibile da tre fori circolari.

L’estrema complessità del congegno presupponeva la lavorazione da parte di mani esperte, di maestri dotati di eccellenti conoscenze geometriche e meccaniche, ed era fonte di meraviglia per i fortunati proprietari. Al suo arrivo a Firenze il globo fu infatti subito elencato nelle guide del tempo tra le meraviglie delle raccolte medicee e collocato nella Tribuna degli Uffizi. In origine sulla sfera poggiava anche un’arme in cristallo di rocca con le insegne araldiche della famiglia Medici e del duca di Baviera, oggi perduta, ma che sappiamo realizzata dall’intagliatore di cristalli Valentin Drausch. Le parti in ebano e avorio sono invece da attribuire al milanese Giovanni Ambrogio Maggiore il quale avrebbe ripreso la tecnica di lavorazione dal fratello, in una linea di tradizione che risaliva fino a Leonardo, riscopritore dell’arte d’ “intornir gli ovati”.

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