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Madonna con Bambino tra San Francesco d'Assisi e San Giovanni Evangelista ('Madonna delle Arpie')

Andrea d'Agnolo, detto Andrea del Sarto (Firenze 1486 – 1530)

Data
1517
Collezione
Pittura
Collocazione
D2. Andrea del Sarto
Tecnica
Olio su tavola
Dimensioni
207 x 178 cm
Inventario
1890 n.1577
Iscrizioni

AND. SAR. FLOR. FAB.; AD SUMMU REG[I]NA TRONU DEFERTUR IN ALTUM MDXVII

Giorgio Vasari, che da giovane artista ebbe modo di frequentare la sua bottega, definì Andrea del Sarto “il pittore senza errori”. Il suo stile, fondato sullo studio delle opere di Michelangelo e Raffaello e caratterizzato da un notevole equilibrio compositivo e da un elevato controllo formale, ebbe grande influenza sui pittori fiorentini del Cinquecento tanto da essere ritenuto fondamentale per la genesi della “maniera”.

Questo dipinto gli fu commissionato per le suore del monastero di San Francesco de’ Macci. Nel solido e rigoroso impianto compositivo egli coniuga in maniera eccezionalmente armoniosa lo schema piramidale tipico delle Madonne di Raffaello, con la monumentalità delle figure derivate da Michelangelo, ma addolcite dai delicati colori sfumati di ascendenza leonardiana.

Il titolo tradizionale deriva dal Vasari che aveva identificato come arpie i mostri raffigurati sul piedistallo della Vergine. Ma in base ad una lettura iconografica che assegna al soggetto una simbologia escatologica, la critica è oggi in gran parte concorde nel ritenerle una raffigurazione delle locuste descritte nell’Apocalisse di Giovanni, rappresentato a fianco della Madonna proprio nell’atto di scrivere le sue profezie. Nel nono capitolo egli annuncia che questi esseri mostruosi, dalla testa femminea e dal ventre simile a corazze di ferro, sarebbero uscite dal pozzo dell’abisso in una nuvola di fumo, che s’intravede infatti alla destra di Maria, portando tormento a tutti gli esseri umani che non avessero avuto sulla fronte il tau, sigillo di Dio. Alla luce di questa interpretazione può essere spiegata anche la presenza di San Francesco al posto di San Bonaventura che invece era previsto nel contratto di allocazione del dipinto. Proprio Bonaventura, nella sua Legenda Maior, identifica infatti in San Francesco l’angelo del sesto sigillo profetizzato da Giovanni, che salendo dall’Oriente avrebbe portato con sé il simbolo salvifico di Dio, il tau appunto, la croce emblema della Passione di Cristo, che egli stesso aveva impressa nelle stimmate. Il piedistallo su cui si erge la Vergine rappresenterebbe quindi il pozzo dell’Inferno e la Madonna sarebbe raffigurata nell’atto di chiuderne la bocca.

L’elaborazione di questa complessa simbologia religiosa potrebbe essere dovuta ad Antonio di Ludovico Sassolini, quel “frate di Santa Croce dell’Ordine Minore” che secondo Vasari avrebbe commissionato il dipinto. Il Sassolini, all’epoca Ministro dei Francescani Conventuali della Toscana, era stato infatti un assiduo uditore delle prediche del Savonarola e uno degli animatori del clima di fervore religioso che si respirava a Firenze in quei primi decenni del Cinquecento.

Entrata nelle collezioni medicee intorno al 1704, La Madonna delle Arpie fu l’ultima pala d’altare che il Gran Principe Ferdinando rimosse dalle chiese toscane per incrementare la sua collezione di capolavori del Rinascimento e del primo Seicento. In cambio della cessione del dipinto, che abbelliva l’altare maggiore della loro chiesa da quasi due secoli, le monache del convento di San Francesco de’ Macci chiesero il restauro completo del convento e della chiesa. Il Gran Principe, desideroso di possedere la pala già nel 1683, accettò di buon grado la condizione, affidandone l’incarico all’architetto granducale Giovan Battista Foggini.

Testo di
Monica Alderotti
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