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Francesco, Fratello Universale

  • Francesco, Fratello Universale

    La vita e il culto del Poverello d'Assisi nelle opere delle Gallerie degli Uffizi

    Francesco, Fratello Universale
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    INTRO/1

    Il Fratello Universale

    A più di ottocento anni dalla sua nascita la figura di Francesco d’Assisi è ancora capace di parlare con eloquenza al cuore dell’uomo del XXI secolo, risultando non soltanto uno dei santi più amati da chi professa la fede cattolica, ma anche una figura di testimone fortemente apprezzata a livello ecumenico dalle chiese dell’ortodossia e della riforma protestante, dalle altre grandi religioni e dal mondo laico. Non è un caso che intorno alla sua figura e nell’ambito dei santuari dedicati alla sua memoria continuino a fiorire momenti di dialogo interreligioso, riflessioni sull’uomo e sul mondo, momenti di dialogo e riconciliazione.

    Ma perchè la vita di un uomo che definiva se stesso “Ignorans sum et idiota” (cfr. Epistola toti ordini missa,39, FF 226) continua a parlare, dopo secoli, con la forza, l’immediatezza e l’eloquenza di un contemporaneo? Siamo convinti che tale continua attualità, derivi dal fatto che il cuore della spiritualità del Poverello non sia legata tanto a elementi contingenti della sua epoca, quanto a un cammino di piena e autentica umanità. Quello che colpisce di Francesco è che è un uomo compiuto, riconciliato con se stesso, con la sua storia e con gli altri; un uomo con una capacità affettiva vissuta in pienezza, che gli da la capacità di autentiche relazioni fraterne con tutti, anche con l’ “altro” per antonomasia che è il Sultano; un uomo capace di un incontro con la natura vissuto in quell’innocenza pensata per l’antico Adamo. Questa umanità vissuta in pienezza parla e suscita echi di empatia e desiderio di imitazione negli uomini di ogni epoca e appartenenza religiosa.

    Ma queste qualità non sono solo doti innate, la vita di Francesco non è stata esente da ferite e debolezze; pensiamo al conflitto con la figura paterna, alla ricorrente esperienza di fallimento dei suoi sogni mondani, alle difficoltà stesse vissute all’interno dell’Ordine nel passaggio dall’intuizione carismatica alla strutturazione canonica... la ricchezza dell’umanità dell’Assisiate è stata frutto di un mai interrotto cammino di guarigione interiore, di ascolto e meditazione della Parola Evangelica, e soprattutto di relazione intima con Colui che è “il sommo bene, tutto il bene, ogni bene, che solo [è] buono” (cfr. Laudes ad omnes hora dicendae, 10, FF 265), “datore di ogni bene” (cfr. Compilatio Assisiensis, 43, FF 1592), “creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro” (cfr. Expositio in Pater Noster, 1, FF 266).

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    INTRO/2

    La luce dell’esperienza spirituale e umana di Francesco ha nel corso dei secoli affascinato e provocato il mondo delle arti, in particolare – ma non solo – quelle figurative.

    L’arte sacra ha conosciuto, fin dal suo inizio, la necessità di rappresentare accanto alla figura del Cristo, anche quella dei santi; lo scopo è inizialmente prettamente liturgico: nella celebrazione far sperimentare ai fedeli la comunione con la chiesa trionfante, nell’unica lode di Dio; fanno parte di questa tipologia le rappresentazioni più “iconiche” del santo come quella di Cimabue nella Basilica inferiore di Assisi, o addirittura vere e proprie icone presenti in luoghi di culto ortodossi (come ad esempio l’affresco nella chiesa greco ortodossa di Panagia Kera a Kritsà, Creta, del sec. XIV, vedi imagine a lato). A questo primo e imprescindibile modello di raffigurazione, se ne aggiunge un altro: la narrazione della vita del santo, presentato come modello di vita cristiana; si tratti di un grande ciclo di affreschi (come quelli di Giotto nella Basilica superiore di Assisi) o di una serie minuta di scene a corredo di una grande tavola (si pensi alla Tavola Bardi), l’arte sacra diventa qui narrativa ed esortativa.

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    INTRO/3

    Molte altre cose si potrebbero dire; ci piace concludere con una citazione della Legenda Maior, nella quale la penna del biografo san Bonaventura da Bagnoregio tratteggia in modo superbo il vertice della vita di Francesco: l’impressione delle Stimmate di Cristo, ricevute sul monte della Verna. Questa testimonianza ci fa capire l’unicità del santo, e la particolarità della sua rappresentazione iconica.

    Così il verace amore di Cristo aveva trasformato I'amante nella immagine stessa dell'amato... Perciò l'uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente. (Legenda Maior, XIII, 5, FF 1228)

    Il Francesco, che noi contempliamo rappresentato in queste opere d’arte, è lui stesso immagine, effige di Cristo. È Francesco stesso opera d’arte, realizzata dal dito del Dio vivente! L’amore dell’amato realizza quella conformitas, che farà di Francesco d’Assisi l’Alter Christus. Ed è questa, secondo noi la chiave di lettura più affascinante ed efficace per una lettura autentica e una fruizione efficace dell’iconografia francescana: ricordarsi, come in un gioco di scatole cinesi, che il soggetto ritratto dall’artista è esso stesso tela, tavola, dove il Sommo Artefice, attraverso l’amore, realizza il suo autoritratto.

    Frate Francesco Brasa Ordo Fratrum Minorum
    Guardiano del Sacro Monte della Verna

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Maestro della Croce 434 degli Uffizi
    (Lucca e Firenze, secondo quarto del XIII secolo)

    Stigmate di san Francesco

    1240 - 1250
    Tempera su tavola 
    Galleria degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 8574
     

    “Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima madre e perseverare in essa sino alla fine."

    [da Scritti a Chiara d’Assisi, Ultima volontà]
     

    L’inospitale paesaggio della Verna in Casentino - la montagna offerta dal conte Orlando Cattani a Francesco come romitorio - è raffigurato come una sequenza di rupi scoscese sulle quali è cresciuta una rada vegetazione selvatica. Alle spalle di Francesco, alta sul dirupo, sorge una cappella, la prima chiesetta dell’eremo, intitolata a Santa Maria degli Angeli.

    E’ una delle più antiche raffigurazioni delle Stigmate di san Francesco, l’episodio della vita del santo che distinse la biografia del poverello di Assisi da quella di ogni altro santo vissuto fino ad allora. Rivivendo la sofferenza della Passione di Gesù, Francesco raggiunge l’apice di un percorso volto all’imitazione di Cristo che lo connota come alter Christus, secondo la Legenda maior redatta da Bonaventura da Bagnoregio, biografia ufficiale di Francesco dal 1266. Il miracolo, avvenuto nel settembre 1224, venne reso noto solo nel 1226, alla morte del santo, nella lettera enciclica con cui il discepolo frate Elia annunciava a papa Gregorio IX e alle province francescane il trapasso del fondatore dell’ordine.

    Nel dipinto Francesco è raffigurato inginocchiato a braccia aperte, in posizione di orante, in contemplazione di un angelo serafino confitto alla croce. Nelle mani e nei piedi di Francesco sono ben visibili le teste dei chiodi che provocano le stigmate, secondo la narrazione del miracolo raccontata già nella prima biografia composta da Tommaso da Celano intorno al 1228, anno della canonizzazione. Dall’angelo si diramano tre raggi che investono il volto di Francesco, a indicare il colloquio spirituale dell’asceta con la visione celeste, dal quale scaturirono le stigmate. Non è invece visibile la ferita sul costato, una cicatrice che, secondo il racconto di Tommaso da Celano, ben pochi ebbero l’occasione di vedere mentre il santo era in vita, evidentemente nascosta sotto il saio.

    Il dipinto degli Uffizi è una delle immagini di Francesco d’Assisi sopravvissute all’ordine emanato dal Capitolo generale francescano, riunitosi a Parigi nel 1266, di distruggere le effigi del santo riprodotte fino ad allora, insieme alle diverse versioni della biografia dalla Legenda maior. L’opera costituisce una rarità, fra le immagini di Francesco del XIII secolo oggi note, nel rappresentare un unico episodio narrativo, dimostrando l’eccezionalità del miracolo delle stimmate. L’immagine presenta altresì un’iscrizione col nome del santo, in basso a destra, quasi a voler scongiurare la possibilità di non riconoscere Francesco nel protagonista dell’evento prodigioso.

    Non è nota la provenienza del dipinto, donato dal mercante Ugo Baldi all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1863. E’ considerato opera di un pittore di probabile formazione lucchese, ma attivo in territorio fiorentino nel secondo quarto del XIII secolo, responsabile dell’esecuzione della Croce contrassegnata dal numero d’inventario 434 nella Galleria degli Uffizi.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Bonaventura Berlinghieri
    (Lucca, notizie 1228-1274)

    Madonna col Bambino fra i santi Pietro, Giovanni Battista, Chiara, Andrea, Antonio da Padova, Michele, Francesco d’Assisi e Giacomo

    1255 circa
    Tempera su tavola 
    Galleria degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 8576
     

    Altissimo glorioso Dio,
    illumina le tenebre de lo core mio.
    Et dame fede dricta,
    speranza certa e carità perfecta,
    senno e cognoscemento,
    Signore,
    che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.

    [Preghiera davanti al Crocifisso]
     

    Nella teoria di santi raffigurati sotto il gruppo della Madonna col Bambino, è presente, secondo da destra, Francesco d’Assisi, identificato dall’iscrizione col suo nome abbreviato (S.FRA). Francesco ha le mani e i piedi trafitti dai chiodi come Cristo crocifisso, caratteristica che ne connota l’iconografia fino dalle origini. Indossa il saio, l’umile veste ispirata nella forma alla croce di Cristo, divenuto l’abito dei francescani. Sul colore del saio Francesco non aveva dato prescrizioni, limitandosi a raccomandare vesti modeste anche nei colori, che, a seconda dei rami dell’ordine, nei secoli hanno assunto toni cromatici diversi, in genere variazioni di grigio e di marrone. Il cappuccio, come mostra il dipinto, era abbastanza lungo e di forma appuntita, a imitazione dei sacchi reimpiegati usati da Francesco e dai suoi seguaci per coprirsi la testa. Una costante della veste francescana è il cordone che stringe alla vita il saio, con alcuni nodi visibili nel capo che pende anteriormente: essi sono in genere tre, corrispondenti ai voti di castità, povertà e obbedienza. Di capigliatura e occhi scuri, secondo le testimonianze dei suoi contemporanei, Francesco porta la tonsura, come coloro che sono consacrati a Dio, piuttosto piccola per differenziarsi dai dotti e dalle più alte gerarchie della Chiesa. Il volto emaciato è incorniciato da una corta barba, la barba incolta di chi non poteva avere cura del proprio aspetto fisico. Tiene la mano destra aperta in gesto oratorio e reca il libro delle Sacre scritture, caratteristica dei santi che hanno svolto un’importante missione apostolica.

    Nel dipinto sono rappresentati altri due santi dell’ordine francescano, Antonio da Padova (1195-1231), canonizzato nel 1232 e riconoscibile per lo stesso saio indossato da Francesco e, più in alto a sinistra in posizione isolata, Chiara di Assisi (1194-1253), fondatrice del ramo femminile dell’ordine, canonizzata nel 1255. Il dipinto, valva di un dittico, proviene infatti da un insediamento di clarisse, il convento di Santa Chiara a Lucca. E’ riferito al pittore lucchese Bonaventura Berlinghieri o a un suo stretto collaboratore, chiamato Maestro della Croce delle Oblate. A Bonaventura Berlinghieri si deve una delle più antiche immagini di Francesco pervenute fino ad oggi, datata 1235, conservata nella chiesa di San Francesco a Pescia (Lucca).

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Beatrice Ancillotti Goretti  

    Lo sposalizio di san Francesco con la povertà

    1900 circa
    Pastello e matita su carta
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna, Giornale 3629

    Iscrizione in basso a destra: “Alla santa memoria di mia Madre questo fiore dell’anima consacro”
     

    La santa povertà confonde la cupidigia, l’avarizia
    E le preoccupazioni del secolo presente.
    La santa umiltà
    Confonde la superbia
    E tutti gli uomini che sono nel mondo.

    [Saluto alle Virtù]
     

    “Il Santo, notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre e la madre, ma generosamente distribuì tutto quanto poteva avere”. Così Bonaventura da Bagnoregio introduce nel settimo capitolo della Legenda Maior uno dei nodi centrali della spiritualità francescana ovvero l’Amore per la povertà. Il racconto allegorico dello sposalizio rappresenta peraltro proprio il momento di avvio del percorso del Santo che si conclude con la ricezione delle stimmate a La Verna, suggello definitivo della sua unione con Cristo. Nel legame univoco con Madonna Povertà il Santo spenge ogni altro desiderio mondano così che “fino alla morte, ebbe queste ricchezze: una tonaca, una cordicella e le mutande; e di questo fu contento” (Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, VII, 1). Anche Dante pone questa allegoria all’inizio del discorso che san Tommaso dedica all’Assisiate nel canto XI del Paradiso. Qui si racconta di come frate Francesco, ancora giovane, a causa di una donna si fosse messo contro il padre e di come dinanzi al vescovo e al padre “le si fece unito; poscia di dì in dì l’amò più forte” (Paradiso, XI, 55-64). L’utilizzo di una metafora che attribuisce alla Povertà sembianze femminili dovette essere ben presente anche a Beatrice Ancillotti Goretti nell’elaborazione di questo soggetto, peraltro piuttosto raro se non per alcuni esempi precedenti come l’affresco della Basilica Inferiore di Assisi. Che la pittrice facesse propria l’immagine dantesca della Povertà come una donna provata dai segni del tempo non deve stupire se si considera la coincidenza temporale tra l’esecuzione del dipinto, databile ai primi del Novecento, e la pressocché coeva partecipazione dell’artista al Concorso Alinari per l’illustrazione della Commedia. Un impegno condiviso con l’amato Giovanni Costetti all’insegna di una sensibilità neoprimitiva caratterizzata da un forte ascetismo che in questo pastello innesta le suggestioni del simbolismo internazionale (da Arnold Böcklin a Puvis de Chavannes) sul linguaggio asciutto degli affreschi due-trecenteschi.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Bruno Bramanti  

    San Francesco predica agli uccelli

    1925
    Olio su tela
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna, Giornale 5707

    In basso a sinistra: BRUNO BRAMANTI 1925
     

    "Laudato sie, mi’Signore, cum tucte le Tue creature"

    [dal Cantico delle Creature]
     

    Nelle Fonti Francescane, che raccolgono i principali testi sulla vita di san Francesco, gli uccelli costituiscono una presenza ricorrente sia nelle parabole a carattere esemplare, sia negli episodi della sua vita. Sono infatti gli uccelli a festeggiare il suo arrivo a La Verna e sono ancora delle allodole a rendergli omaggio dopo la sua morte. È nei pressi delle paludi di Venezia che san Francesco raduna uno stormo enorme per inneggiare al Signore ed è ancora alla sua mensa che accoglie una famiglia di uccellini, traendo dal comportamento ingordo e prevaricatore del fratello maggiore un monito universale. Il racconto della predica agli uccelli è tuttavia di gran lunga il più noto, tramandato da Tommaso da Celano, dai Fioretti e dalla più diffusa Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio (XII, 3). Qui si legge di come Francesco, viaggiando verso Bevagna, avesse trovato una moltitudine sterminata di uccelli e di come li avesse esortati ad ascoltare la parola di Dio e a lodare il Creatore: “Mentre diceva loro queste e simili parole, gli uccelletti, gesticolando in meravigliosa maniera, allungavano il collo, stendevano le ali, aprivano il becco, guardandolo fisso. Ed egli passava in mezzo a loro, con mirabile fervore di spirito, e li toccava con la sua tonaca, senza che nessuno si muovesse dal suo posto”. Un’immagine che conquistò subito la devozione popolare e fu resa eterna da Giotto nella controfacciata della Basilica di Assisi. Quando nel 1925 Bruno Bramanti, cresciuto alla lezione dei maestri del Tre-Quattrocento, affronta questo soggetto, sa infatti di avere alle spalle un precursore ineguagliabile con il quale sceglie tuttavia di dialogare sia nelle dimensioni quasi da affresco della tela sia nel recupero dell’invenzione, con i due frati spostati sulla sinistra e le fronde arboree a delimitare la quinta. La presenza sulla collina di un asciutto casolare costituisce tuttavia un’aggiunta estremamente significativa, quasi una dichiarazione programmatica rispetto a quell’ideale di classicità moderna che nella Toscana degli anni Venti trova espressione nell’incanto della campagna riletta in chiave di sintesi (in questo caso la campagna di Polcanto) ma contrappuntata dalla tenerezza dei particolari (come l’ineffabile dialogo tra il Santo e l’uccellino). La datazione del dipinto riconduce comunque la sua esecuzione a quel fervore celebrativo legato alla ricorrenza del settimo centenario francescano (1926) che trova spazio anche all’interno della XV Biennale di Venezia dove oltre al San Francesco predica agli uccelli di Bramanti, lì esposto per la prima volta, viene presentato anche il noto busto dedicato al Santo da Adolfo Wildt

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Jacopo Ligozzi  

    L’istituzione del secondo ordine francescano

    1606 - 1615
    Penna, inchiostro bruno, acquerellature marroni, lumeggiature d’oro su carta preparata di colore marroncino
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 1336 S
     

    "E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà."

    [da Scritti a Chiara d’Assisi, Ultima volontà]
     

    Il disegno raffigura una delle Storie della vita di san Francesco affrescate dal Ligozzi nelle lunette della chiesa di Ognissanti, ovvero la consacrazione di santa Chiara e la nascita dell’ordine delle Clarisse. Secondo le fonti francescane, la giovane Chiara, appartenente alla nobile famiglia degli Offreduccio di Assisi, rimase affascinata dalla predicazione di Francesco e fuggì in segreto, nottetempo, nella piccola chiesa della Porziuncola dove depose i propri abiti, si fece tagliare i capelli e vestì l’umile tunica di sacco. Il suo esempio venne presto imitato da molte altre donne, fra le quali le stesse sorelle e la madre della ragazza.

    Il disegno, realizzato con sottili sfumature brune e preziose lumeggiature in oro, mostra il momento in cui Francesco accoglie e consacra Chiara, che ha abbandonato le proprie vesti sontuose su uno sgabello in primo piano a sinistra ed è attorniata da alcune figure femminili. Sullo sfondo, una folla di spettatori assiste alla scena attraverso il portale spalancato.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Ludovico Cardi detto il Cigoli  

    L’incontro nella Basilica di San Giovanni in Laterano

    XVI - XVII secolo
    Pietra nera, penna, inchiostro bruno, acquerellatura marrone, tracce di acquerellatura grigia su carta
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Inv. 973 F recto
     

    “Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio.”

    [dal Testamento di San Francesco d'Assisi, 1226]
     

    Il disegno mostra l’incontro tra i santi Francesco, Domenico e Angelo di Gerusalemme, fondatori rispettivamente degli ordini francescano, domenica e carmelitano. All’interno della grandiosa architettura della Basilica di San Giovanni in Laterano, sulla sinistra, in primo piano, i tre protagonisti sono còlti in un intenso colloquio di sguardi e di gesti. San Domenico, identificabile dalla presenza della stella sopra la testa, simbolo di sapienza, sta in piedi nell’atto di osservare sant’Angelo che avanza a braccia tese verso san Francesco, inginocchiato ai suoi piedi, con le braccia conserte al petto. Assistono alla scena numerosi astanti, perlopiù seduti attorno alla figura di un Pontefice (forse papa Onorio III), assiso su un alto trono sormontato da un baldacchino. Altre figure si intravedono dietro una tenda semichiusa che viene scostata da un personaggio di spalle. In alto, appena abbozzata, si libra la figura di un angelo recante un cartiglio.

    Ludovico Cardi, detto il Cigoli dal luogo natale, è stato uno dei più eleganti pittori fiorentini tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Grande innovatore anche nel campo della grafica, arricchì, nei suoi schizzi compositivi, il nitido impianto disegnativo fiorentino con effetti pittorici e luministici tipici della pittura veneziana, facendo ampio uso di acquerellature e di un segno grafico mobile e libero.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Domenico Falcini e Raffaello Schiaminossi su disegni e invenzione di Jacopo Ligozzi

    San Francesco che mostra le stimmate

    Da Descrizione del Sacro Monte della Vernia

    1612
    Acquaforte e bulino, stampa a caratteri mobili
    Frontespizio 22 tavole e didascalie
    Prima edizione, incisioni di primo stato
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 4959-4981 st. vol. (vol. 61 bis)
     

    Invitato da fra’ Lino Moroni alla Verna nel 1607, Jacopo Ligozzi eseguì durante la sua visita una serie di disegni che illustrano le tappe più significative del percorso dei pellegrini all’interno del santuario. Il pittore veronese in quegli anni era impegnato a Firenze con un’altra committenza francescana, la decorazione del Chiostro Grande della Chiesa di Ognissanti. Questa sua consuetudine con l’Ordine francescano, assieme alla sua nota abilità nel descrivere in modo realistico gli elementi della natura, lo rendevano l’artista ideale al quale affidare l’incarico di ritrarre dal vero i luoghi di san Francesco. I disegni, infatti, erano destinati alla traduzione a stampa per una pubblicazione dedicata al sacro Monte curata dallo stesso Moroni, allora ministro provinciale in Toscana, e dedicata al ministro generale degli osservanti, fra’ Arcangelo da Messina.

    Il volume si inseriva nella tradizione delle guide di viaggio a carattere devozionale, che supportavano il fedele nella visita ai luoghi sacri o, per chi non potesse intraprendere il pellegrinaggio in prima persona, ne fornivano un’esperienza indiretta. Nello stesso tempo - nella sequenza ordinata di lettere che individuavano i luoghi in modo che si imprimessero facilmente nella memoria – si ricollegava al filone dei trattati di mnemotecnica (De Luca 2008).

    Se l’unitarietà dell’opera è data dai disegni di Ligozzi e dal progetto di fra’ Moroni, le stampe sono il frutto del lavoro di collaborazione tra due incisori piuttosto diversi tra loro a partire dalla tecnica adottata: il bulinista Domenico Falcini e l’acquafortista Raffaello Schiaminossi. Composta da un frontespizio e ventidue tavole con ampie didascalie a piena pagina, l’opera si presenta con il taglio inconsueto di una guida visuale, nella quale i testi sono accessori alle illustrazioni. È possibile che questa peculiarità di impianto sia dovuta a un’incompletezza della pubblicazione, che nell’idea originaria probabilmente prevedeva anche un testo con un’introduzione storica al santuario, che non fu mai aggiunta (Bury 2001, p. 66).

    Le didascalie descrivono nel dettaglio quanto illustrato dalle incisioni, con tanto di misurazioni e legende contrassegnate da lettere. Il cammino del devoto alla Verna viene presentato con immagini che si soffermano sui momenti più importanti del percorso di fede e di avvicinamento al “Misterio della recezione delle Sacrate Stimmate del P.S. Francesco”. E il frontespizio che apre il volume, infatti, illustra il Santo che mostra le piaghe su palmi delle mani.

     

     

     

     

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Raffaello Schiaminossi; Jacopo Ligozzi  

    Veduta generale del monte della Verna con frate che precipita dal dirupo

    Acquaforte con interventi a bulino
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 4960
     

    "Scrivi che benedico tutti i miei frati che sono ora nell’Ordine e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo."
     

    La prima tavola, formata da tre fogli incollati assieme, mostra una veduta generale del Monte ripresa da “un quarto di miglio venendo dal viaggio di Casentino”. Seguono incisioni dedicate a siti legati a particolari episodi - come il saluto degli uccelli, la tentazione del demonio, l’impressione delle stigmate - o luoghi significativi, tra i quali le celle, i vari ambienti del santuario, il “sasso spicco”, il cosiddetto “letto di san Francesco”, ovvero la roccia sulla quale questi riposava nascosto tra gli anfratti delle montagne.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Domenico Falcini; Jacopo Ligozzi  

    Sasso spicco

    Acquaforte con interventi a bulino
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 4968
     

    "...Siccome non posso parlare, a motivo della debolezza e per la sofferenza della mia malattia, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre esortazioni. Cioè: in segno di ricordo della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino tra loro."
     

    Se la descrizione dei particolari naturalistici è, nello stile del Ligozzi disegnatore, assai aderente al vero, la sproporzione tra le minute dimensioni delle figure umane e la grandezza smisurata delle rocce, dei dirupi, degli alberi, conferisce al paesaggio un tono drammatico. La visionarietà e terribilità di alcune inquadrature rievocano il mistero del miracolo avvenuto sul sacro Monte. Secondo i dettami della Controriforma, questo senso del soprannaturale suscita meraviglia e sgomento nel lettore, che tende così a immedesimarsi nel Santo e a calarsi nella sua esperienza, stimolato anche dalle espressioni iperboliche contenute nelle didascalie: “aperture e spaccature di Massi orribili a vederle”, il “Maraviglioso Masso”, “luogo pauroso à rimirarlo, e praticarlo, atteso la sua altezza spaventosa”, e così via.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Domenico Falcini; Jacopo Ligozzi 

    Luogo del “letto” e dell’oratorio di san Francesco

    Acquaforte e bulino
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 4976 st vol.
     

    "Sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà. E sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa.”

    [Piccolo Testamento, Siena, aprile-maggio 1226]
     

    Alcune illustrazioni sono arricchite da ritagli di incisioni applicate sulle stampe come riporti parzialmente amovibili. Come in un libro pop-up, il lettore può interagire con la pagina modificando la veduta per passare da un “prima” a un “dopo”, apprezzando in questo modo i diversi momenti di un episodio; oppure osservare elementi nascosti da altri, fino a entrare nella scena come in uno spazio tridimensionale.

    I disegni eseguiti da Jacopo Ligozzi che si sono conservati sono oggi dispersi tra vari musei (tra cui il Metropolitan Museum di New York, il Louvre a Parigi, il Getty a Los Angeles) e collezioni private. Per la sequenza e le caratteristiche delle incisioni, il volume degli Uffizi risulta essere un esemplare particolarmente raro e uno dei più antichi conosciuti.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Maestro del Tondo Borghese  

    San Francesco d'Assisi riceve le Stimmate

    Olio su tavola 
    1485 - 1495 circa
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. 1890 n. 5997
     

    "E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più."

    [da Testamento di San Francesco di Assisi, 1226]
     

    Mentre [Francesco] dimorava nell’eremo, che dal nome del luogo è chiamato «Alverna», due anni prima della sua morte (1224) ecco che nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quell’Uomo crocifisso. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta.

    Così viene descritto il miracolo delle Stimmate da Tommaso da Celano nella “Vita prima S.Francisci” (1294), la prima biografia ufficiale di Francesco d'Assisi scritta su richiesta del papa Gregorio IX dove la figura del Santo, per il suo messaggio spirituale e per la condivisione fisica delle sofferenze di Cristo, arriva ad essere celebrata come alter Christus. Già nel 1226 frate Elia nel comunicare alle province dell'Ordine la morte di Francesco aveva scritto che “simile straordinario miracolo non si era mai udito al mondo fuorchè nel figlio di Dio che è il Cristo Signore. Non molto tempo prima della sua morte, il fratello e Padre Nostro apparve crocifisso, portando nel suo corpo le cinque piaghe, che sono veramente le stimmate di Cristo (Analecta, X, p.526).

    Dal Cristo crocifisso col serafino un fascio di raggi divini investe San Francesco che mostra i segni delle stimmate sulle mani, sui piedi e sul costato. Accanto all'assisiate, abbigliato col consueto saio trattenuto dal cordone in vita coi tre nodi (allusivi all'obbedienza, alla povertà e alla castità), il suo compagno Frate Leone, sorpreso dal miracolo mentre era intento nella lettura, si ripara dal fulgore della luce che si propaga nel paesaggio retrostante, popolato da cavalieri e confratelli abbagliati dal prodigio. Sullo sfondo, su uno sperone di roccia si erge l'eremo della Verna con la sua articolata architettura mentre dietro scorre un sinuoso corso d'acqua, forse allusivo al fiume Arno, solcato da barche e attraversato da un ponte.

    La composizione è desunta - con qualche variante - dall'affresco d’analogo soggetto eseguito da Domenico Ghirlandaio nel ciclo con le Storie di San Francesco (1483-86) della Cappella Sassetti (parete sinistra) nella chiesa di Santa Trinita a Firenze. L'autore della tavola, che pur collocandosi nel solco del Ghirlandaio, si distingue per la maniera asciutta, la linea incisa e i modi minutamente descrittivi, è stato recentemente riconosciuto da Matteo Gianeselli ( comunicazione orale) nel cosiddetto Maestro del Tondo Borghese, artista così denominato dal dipinto con la Natività della Galleria Borghese e individuato come collaboratore del Pinturicchio negli affreschi dell'appartamento Borgia in Vaticano ( 1492-95). Fu attivo anche a Firenze e nel territorio circostante riscuotendo il gradimento della committenza del contado per il gradevole linguaggio dove fonde le palesi influenze ghirlandaiesche coi modi di Cosimo Rosselli.

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    NOVELLO CRISTO: LA VITA DEL POVERELLO DI ASSISI

    Il prodigioso episodio è illustrato con efficace incisività grazie alla vigorosa definizione dei personaggi, alla vivace descrizione paesaggistica e al diffuso luminismo in adesione a quanto narrato nei Fioretti, “in questa apparizione mirabile tutto il monte della Verna parea ch'ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva e illuminava tutti li monti e le valli d'intorno, come se fusse il sole sopra la terra”

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Pittore fiorentino

    San Francesco d’Assisi

    1325 - 1335 circa
    Affresco staccato
    Galleria degli Uffizi, ex chiesa di San Pier Scheraggio

     

    "Dove è amore e sapienza,
    ivi non è timore né ignoranza."

    [da Come le virtù allontanano i vizi]
     

    Francesco d’Assisi è raffigurato di aspetto giovanile – morì a poco più di 40 anni -, con la tonsura dei chierici e una corta barba. Indossa il saio marrone, le cui maniche sono profilate da corti fili chiari, probabilmente la raffigurazione di sfilacciature oppure di un orlo grossolano, da intendere forse come nota realistica nella resa dell’umile veste francescana, nata dal riuso di sacchi usati per il lavoro. Il saio è cinto in vita dal consueto cordone annodato. Nelle mani, contrassegnate dalla stigmate, il santo sorregge un libro, probabilmente il Vangelo tanto amato da Francesco, attributo che connota l’iconografia dell’assisiate già nell’effigie dipinta da Bonaventura Berlinghieri a Pescia nel 1235.

    L’immagine qui presentata, dipinta ad affresco, decora una delle colonne della navata della chiesa di San Pier Scheraggio, l’antica chiesa parrocchiale inglobata nella costruzione degli Uffizi nella seconda metà del XVI secolo. Si trattava di un’immagine devozionale commissionata probabilmente dall’ignota figura femminile raffigurata in preghiera ai piedi del santo, a sinistra, di cui si intravede solo una parte del corpo e del volto, oltre alle mani giunte. La pittura, risalente al secondo quarto del XIV secolo, attesta l’ampia diffusione della devozione per Francesco presso i laici e in ambienti non connessi con l’ordine francescano.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Filippo Lippi  

    Madonna col Bambino e i santi Francesco, Cosma, Damiano e Antonio da Padova

    1445 circa
    Tempera su tavola 
    Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, Inv. 1890 n. 8354
     

    "Dove è pazienza e umiltà,
    ivi non è ira né turbamento."

    [da Come le virtù allontanano i vizi]
     

    Francesco di Assisi siede insieme al confratello Antonio da Padova e ai due martiri dottori Cosma e Damiano a fianco della Vergine, seduta in trono con Gesù bambino. Entrambi i santi francescani indossano il saio, di un tenue color nocciola, cinto in vita dal cordone. La lunghezza dell’abito impedisce di vedere i piedi di Francesco e la testimonianza delle stigmate è affidata unicamente alla mano sinistra che il santo porta al cuore. Egli tiene nella mano destra una piccola croce astile su cui è affisso il Crocifisso, motivo iconografico che, seppure in forma più semplificata, compare nell’iconografia del santo fino dal XIII secolo, forse in riferimento all’amore di Francesco per Cristo, di cui volle essere imitatore anche nella Passione.

    La presenza di Francesco e Antonio da Padova denuncia l’originale destinazione francescana della pala d’altare, dipinta alla metà del quinto decennio del XV secolo da Filippo Lippi per l’altare della cappella del Noviziato del convento di Santa Croce a Firenze. La cappella, che sorgeva nella zona riservata ai giovani che si preparavano a prendere i voti, era stata edificata su progetto di Michelozzo di Bartolomeo per volontà di Cosimo il Vecchio de’ Medici, benefattore responsabile anche della commissione della pala d’altare. Per questo motivo, accanto ai santi francescani, vi sono raffigurati i santi patroni della famiglia Medici, Cosma e Damiano, ai quali fu intitolata la cappella stessa. L’emblema mediceo, le palle rosse, ornano l’architrave in alto sullo sfondo del dipinto. La composizione e l’ambientazione, con una sequenza di nicchie lapidee arricchite da preziosi marmi variegati, sembrano quasi voler rivaleggiare con la pala dipinta dal Beato Angelico per l’altar maggiore della chiesa di San Marco a Firenze, appartenente ai frati domenicani.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Francesco Raibolini detto il Francia  

    Madonna in trono col Bambino fra i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova

    1500 circa
    Olio su tavola 
    Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 1898
     

    "Dove è povertà con letizia,
    ivi non è cupidigia né avarizia."

    [Come le virtù allontanano i vizi]
     

    Francesco d’Assisi, in posizione d’onore a destra della Vergine col Bambino, è ben riconoscibile per le mani segnate dalle stigmate, raffigurate come ferite sanguinanti. Tiene le mani incrociate sul petto in segno di devoto omaggio al Salvatore e a Maria, mentre nella destra reca il Crocifisso, suo tradizionale attributo. Il volto del santo è caratterizzato dall’assenza di barba, in contraddizione con quanto tramandato nelle testimonianze e nelle fonti biografiche duecentesche. Questo nuovo modello iconografico fu introdotto nell’ultimo decennio del XIII secolo, quando i dettami della moda imponevano agli uomini il volto rasato e la barba era considerata un attributo degli incolti, dei reietti, dei folli. Favorita dal papato e dai frati francescani conventuali, propensi a stemperare la portata rivoluzionaria del poverello di Assisi e in particolare le sue idee sulla povertà, la raffigurazione di Francesco senza barba trovò largo accoglimento presso la ricca borghesia mercantile, preoccupata che l’esempio del santo suscitasse nei ceti più umili istanze rivoluzionarie. Diversamente, nei conventi dei frati spirituali e presso committenti e fazioni politiche a loro favorevoli, rimase in uso la raffigurazione di san Francesco con la barba, dunque non un mero attributo, ma espressione di convinzioni e rivendicazioni religiose e politiche.

    Nel corso del XV secolo entrambi i modelli iconografici rimasero in uso.

    Il dipinto di Francesco Francia, pittore bolognese che lavorò ripetutamente per i francescani, fu venduto alla Galleria dell’Accademia di Firenze dal mercante Felice Quartoni nel 1818 ed è agli Uffizi dal 1919. L’opera proviene dall’Oratorio della Stretta nell’ospedale della Compagnia di San Francesco a Bologna.

     

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Federico Barocci detto il Fiori 

    San Francesco d’Assisi riceve le stimmate
    (disegno preparatorio per il Perdono di Assisi)

    XVI secolo
    Penna, inchiostro bruno, pietra nera, pennello e inchiostro diluito, biacca, stilo, quadrettatura a stilo e matita nera su carta tinteggiata con colore ceruleo
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 9339 S
     

    "Dove è quiete e meditazione,
    ivi non è affanno né dissipazione."

    [Come le virtù allontanano i vizi]
     

    Il disegno è uno studio preparatorio per la figura di san Francesco nella pala del Perdono di Assisi, ovvero la grande tela raffigurante Cristo in gloria tra la Vergine Maria e san Nicola che appaiono a Francesco realizzata dal pittore urbinate Federico Barocci tra il 1574 e il 1576 e oggi conservata nella chiesa di San Francesco a Urbino.

    La scena, trasposta su un piano completamente distaccato da qualsiasi elemento narrativo, è incentrata sull’apparizione mistica avvenuta nella chiesa della Porziuncola, in seguito alla quale venne istituita l’indulgenza per tutti quei fedeli che avessero visitato il luogo santo francescano. Indulgenza rafforzata nel XVI secolo da papa Pio V (1566-1572), che ordinò la costruzione della Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi attorno all’antico edificio di culto.

    Disegnatore instancabile, Federico Barocci era solito studiare ogni dipinto fin nei minimi dettagli mediante un estenuante esercizio grafico che, come in questo caso, si traduceva in studi e bozzetti condotti fino all’estrema finitura. L’autografia di questo foglio è stata a lungo messa in discussione per la presenza di aggiunte successive: il volto del santo e parte dello sfondo sono disegnati da una mano differente su una striscia di carta incollata sul foglio originario. Nonostante ciò, il disegno rivela una non comune qualità stilistica che lo colloca nel novero dei numerosi studi per il dipinto finale.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Dominikos Theotokopulos detto El Greco  

    San Giovanni Evangelista e San Francesco d'Assisi

    1600
    Olio su tela
    Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 9493
     

    "Dove è il timore del Signore a
    Custodire la sua casa,
    ivi il nemico non può trovare via d’entrata."

    [Come le virtù allontanano i vizi]
     

    Le grandi figure allungate e ascetiche dei santi si stagliano contro un cielo nuvoloso e mosso. Il Santo di Assisi è qui ritratto secondo le descrizioni del suo biografo Tommaso da Celano, ovvero con il corpo magro, la barba scura, le dita affusolate, ed è avvolto nell’inconfondibile tonaca tagliata a forma di croce con cappuccio. La fisionomia di Francesco venne rappresentata attraverso i secoli con questi elementi costanti e ben riconoscibili; il santo viene mostrato a volte con il crocifisso in preghiera, o mentre riceve le stigmate, oppure ancora con il Vangelo in mano, come novus evangelista. Nell’arte della Controriforma si sviluppò la sua raffigurazione - soprattutto nelle pale d’altare - con la Vergine in cielo e Francesco nel ruolo di mediatore di devozione, partecipe della natura divina di Cristo.

    Nella sua lunga carriera, El Greco si confrontò più volte con questo soggetto. Nella tavola degli Uffizi la scena è risolta in modo essenziale e i santi, dipinti a grandi dimensioni, sembrano quasi due rappresentazioni individuali. L’accostamento di San Giovanni Evangelista con San Francesco potrebbe spiegarsi come una richiesta dei committenti.

    Raffigurato di tre quarti, con il saio dai colori cupi e con il mantello aperto a mostrare bene il cordone con i tre nodi che rimandano ai voti religiosi di obbedienza, povertà e castità, il Santo mostra le stigmate, presentandosi così “conforme a Cristo”. Alla data di realizzazione di questa tavola El Greco aveva già maturato la sua formazione, avviatasi nella sua terra, Creta, isola che nel Rinascimento visse un periodo di grande fermento grazie all’incontro di tradizioni greche e occidentali favorite dalla dominazione veneziana, e arricchitasi in seguito ai soggiorni a Venezia e a Roma. L’artista era dunque giunto in Spagna con un ricco bagaglio culturale che egli aveva già trasformato e rivisitato, traducendolo nel suo inconfondibile stile. All’inizio del 1577 giunse a Toledo, dove le sue opere fortemente spiritualizzate incontrarono il favore della committenza, in una Spagna saldamente cattolica. La città in questi anni è il centro culturale del paese, fulcro della vita letteraria e religiosa: vi sono presenti Cervantes, Lope de Vega, Tirso de Molina, Félix Hortensio Paravicino e la mistica santa Teresa d’Avila. “El Greco” con la sua fede rigorosa, alimentata dal confronto fra ortodossia orientale e cattolicesimo romano, coglie la spiritualità di Francesco e il misticismo di Giovanni e traducendone anche il tormento interiore.

    San Giovanni Evangelista e San Francesco d'Assisi
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Ludovico Cardi detto il Cigoli

    San Francesco riceve le stimmate

    Olio su tavola
    1596
    Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 3496


    "Dove è misericordia e discrezione,
    ivi non è superfluità né durezza."

    [Come le virtù allontanano i vizi]


    L’episodio delle Stimmate di San Francesco è un evento di enorme portata nella vita del Santo e nella storia della Chiesa: un prodigio, mai avvenuto prima, che rese il poverello di Assisi riflesso vivente del Crocifisso e sancì in maniera definitiva la sua conformità a Cristo.

    La tavola sembra riprendere fedelmente il racconto fissato da San Bonaventura nella Legenda maior: Francesco, dopo una notte passata in preghiera sul fianco scosceso del monte della Verna, vide un serafino con sei ali luminose ed infocate, tra le quali apparve un uomo crocifisso: egli fu inondato da stupore, gioia e dolore insieme. Stupore e letizia per sentirsi guardato da Cristo, dolore per vederlo soffrire sulla croce, fino alla rivelazione di essere lui stesso, da quel momento, “ritratto visibile di Cristo Gesù Crocifisso”, portando impresse sul suo corpo le stesse ferite. L’esperienza spirituale suprema è resa dal Cigoli nel volto del santo quasi trasfigurato da un’estasi dolorosa: secondo la leggenda riportata da Filippo Baldinucci (Cecchi, 1992, pp. 93-94 e bibl.) il pittore riconobbe nelle fattezze di un pellegrino mendicante e bisognoso, il volto devoto e veritiero che avrebbe voluto dare al santo e se ne servì come modello; una volta allontanatosi, l’uomo non fu più visto. Il fascio luminoso proveniente dal serafino in alto a destra accende di riflessi dorati il saio di Francesco di rude e povera stoffa, e illumina il volto e le mani del santo, la nuda roccia sulla quale è inginocchiato, il libro caduto; nella penombra, si scorgono un teschio e una croce. Alle spalle del santo si intravede un’alta roccia scura, mentre davanti a lui altre rupi sovrastate da alberi mossi dal vento lasciano percepire anfratti e cavità, in una delle quali compare il fedele compagno del santo, frate Leone. In fondo alla gola, si intravede la Basilica della Verna, col portico di fronte e un edificio più basso accanto. L’ambientazione è resa con accuratezza, così come il vivido fulgore intorno all’angelo, corrispondente alle testimonianze dei pastori e degli abitanti della Verna, che in quella notte di settembre del 1224 avevano creduto che ci fosse un incendio. I due teneri putti in alto, resi con un colore più morbido e fuso, aggiungono leggiadria barocca alla scena altrimenti drammatica, e sembrano seguire con lo sguardo il fascio luminoso che attraversa in diagonale la tavola, congiungendo le ferite del Cristo a quelle di colui che ne diveniva l’immagine “perfetta”.

    La tavola con le Stimmate di San Francesco, proveniente dal convento di Sant’Onofrio o di Fuligno, firmata e datata 1596, è una delle più belle testimonianze dello stile maturo del Cigoli. Il pittore, allievo di Alessandro Allori, dal quale apprese l’importanza del disegno e della tecnica, insieme allo studio dell’anatomia, aveva cominciato a sperimentare nel nono decennio del Cinquecento le nuove tendenze artistiche vicino alle esigenze della riforma cattolica, con una ricerca di maggiore drammaticità, veridicità e bellezza nella resa del colore e della luce. Modelli per questa sua ricerca furono soprattutto le opere di Santi di Tito e del Barocci.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Cristofano Allori

    San Francesco in preghiera

    Primo decennio del XVII secolo
    Olio su tela
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv.1890 n. 8743
     

    "Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo."

    [da Testamento di San Francesco di Assisi, 1226]
     

    La scena è dominata dalla figura del santo, inginocchiato in preghiera su una roccia, solo, in un ambiente aspro e duro, reso ancora più drammatico dal movimento turbinoso delle nubi e delle fronde. In lontananza appare un piccolo edificio di pietra, che richiama i primitivi eremi francescani, sempre edificati in luoghi appartati e solitari. Francesco ha il volto e le mani giunte illuminati da una fonte di luce esterna al dipinto. Appare totalmente concentrato nella contemplazione del piccolo crocifisso appoggiato alla parete rocciosa: la raffigurazione del Cristo sulla croce è infatti il mezzo privilegiato per cercare una relazione diretta con Dio e soddisfare il suo desiderio di intimità col Signore, fin dalla prima intensa esperienza in San Damiano, durante la quale aveva sentito dentro di sé la voce di Gesù che gli affidava la missione di ricostruire la sua Chiesa. La preghiera riveste sempre nella vita di San Francesco un momento di particolare importanza: è attraverso la preghiera e la meditazione sulla Passione di Cristo che egli ottiene la grazia di provare nel suo cuore la potenza dell’amore di Dio per tutte le creature e insieme il dolore provato da Gesù nella sua Passione, fino a conformarsi totalmente a Lui attraverso l’esperienza delle stimmate. Il libro aperto davanti al santo è probabilmente il Vangelo, norma di vita da raggiungere, che egli raccomandava ai fratelli di leggere e praticare direttamente, “sine glossa”, senza cioè riferirsi alle varie interpretazioni successive: un messaggio di amore che rende Francesco un personaggio estremamente attuale e universale. Il quadro di Cristofano, per l’ambientazione così aderente al “crudo sasso” della Verna e per il timbro drammatico conferito alla scena, sembrerebbe riferirsi ad un’esperienza precisa di San Francesco: l’intensa notte di preghiera durante la quaresima in onore di San Michele del 1224 al termine della quale egli ricevette le stimmate, che lo resero anche fisicamente conforme a Cristo.

    Cristofano Allori fu, insieme a Gregorio Pagani e al Cigoli, uno dei riformatori della pittura fiorentina alla fine del XVI secolo: egli si staccò infatti dall’accademismo formale che aveva contraddistinto suo padre Alessandro, allievo prediletto del Bronzino, favorendo un linguaggio più intenso e drammatico. Ne è un esempio anche la bella tela con San Francesco in preghiera proveniente da Ognissanti e oggi in Galleria Palatina di Palazzo Pitti, databile al primo decennio del XVII secolo.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Pieter van Mol

    San Francesco d'Assisi in estasi

    Prima metà del XVII secolo
    Olio su tela
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. Palatina 1912 n. 93
     

    "E non dicano i frati: “Questa è un’altra Regola”, perché questa è un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti [...]."

    [da Testamento di San Francesco di Assisi, 1226]
     

    Dopo il Concilio di Trento la rappresentazione di San Francesco subì un considerevole mutamento in accordo ai precetti dell’iconografia controriformista. Nella lotta contro l’eresia protestante, la Chiesa Cattolica affidava alla Vergine e ai Santi il ruolo di mediatori tra fedeli e Dio e nel confermare la legittimità del culto delle immagini sacre, chiedeva un’arte che illustrasse in maniera chiara e semplice i principi dottrinali o che suscitasse nei riguardanti partecipazione emotiva e sentimenti di pietà e devozione. San Francesco, novello Cristo per aver accolto su di sé i segni del martirio del Redentore, era tra i Santi che meglio potevano assolvere questo compito, ed è in quest’ottica che in epoca barocca fu prevalentemente raffigurato in solitaria contemplazione o in abbandono ascetico. Al contempo, il sorgere di nuove famiglie francescane, tra le quali massimo rilievo assunse quella dei frati cappuccini che professavano un ritorno alla povertà e allo stile di vita di solitudine e penitenza del fondatore dell’ordine, pose l’attenzione sulla rappresentazione dei particolari descrittivi del Poverello di Assisi che ne accentuassero questi aspetti, come il saio consunto e rappezzato.

    Questo dipinto raffigura San Francesco nel momento dell’estasi immediatamente successiva alla ricezione delle stimmate sul monte della Verna, evocato dal “crudo sasso” sullo sfondo. Il Santo volge lo sguardo verso il cielo da cui proviene la luce divina che ne illumina la figura. Le mani incrociate sul petto mostrano i segni che quella notte di settembre del 1224 lo resero “conforme a Cristo”.

    Ai suoi tipici attributi, l’umile saio rattoppato in più punti e il cordone grezzo che lo cinge in vita, si aggiunge la corona del rosario, la preghiera devozionale introdotta nell’ordine francescano dopo il 1472 a seguito dell’apparizione miracolosa della Vergine ad un novizio.

    Posati su una roccia compaiono anche il teschio, attributo dei santi eremiti, che dopo il Concilio di Trento si diffuse nelle raffigurazioni di Francesco come simbolo di meditazione sulla vanitas, il Crocifisso, che tanta importanza ebbe nella sua esperienza di fede e un flagello, allusivo alla sua vita di penitenza. Il confratello in secondo piano a destra, seminascosto nell’oscurità che domina il fondo, è Frate Leone, compagno e confessore di Francesco negli ultimi anni della sua vita che compare spesso insieme al Santo nell’episodio delle stimmate. Egli porta la mano destra al volto, come a schermare lo sguardo dalla luce divina che investe Francesco, enfatizzando lo stupore per l’evento miracoloso di cui è testimone.

    Appartenuta alle collezioni del Gran Principe Ferdinando e menzionato negli inventari medicei come L’estasi di San Francesco sulla Verna con l’attribuzione a Rubens, l’opera è stata a lungo ritenuta dalla critica fra i capisaldi dell’iconografia francescana elaborata dall’artista fiammingo. La scoperta della firma in basso a destra a seguito di un restauro ha permesso di riassegnare il dipinto a Pieter van Mol, pittore originario di Anversa attivo alla corte di Parigi dal 1631 fino alla morte e principalmente noto per i suoi quadri di storia o di tema religioso.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Giovanni Martinelli  

    San Francesco sostenuto dagli angeli dopo aver ricevuto le stimmate

    1635 - 1645 (?)
    Pietra nera, penna, inchiostro bruno, acquerellatura azzurra su carta bianca
    Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Inv. 1032 F

    "Rapisca ti prego, o Signore,

    l'ardente e dolce forza del tuo amore

    la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,

    perchè io muoia per amore dell'amor tuo,

    come tu ti sei degnato morire

    per amore dell'amor mio."

    [Preghiera Absorbeat]
     

    La rappresentazione degli angeli che sorreggono e confortano Francesco in estasi si diffonde nella devozione postridentina e sviluppa il paragone, già presente nelle fonti francescane antiche, tra la figura di Francesco e quella di Cristo appena deposto dalla croce: come il Salvatore, Francesco reca nel corpo le piaghe delle stimmate, ben visibili nei neri segni dei chiodi confitti nelle mani. Sorrette dagli angeli, offerte alla vista del pubblico, le ferite del santo sono esposte allo sguardo dell’osservatore a conferma del prodigio che è appena avvenuto. In alto a sinistra, il Crocifisso-Serafino irrompe nella scena tra teste di cherubini, angioletti in volo e cartigli svolazzanti. In basso, il monte della Verna è graficamente tradotto in un’altura rocciosa oltre la quale, a sinistra, si apre una veduta in lontananza; qui, in un paesaggio stilizzato, è la minuscola figura di fra Leone, testimone del miracolo. Sotto, lo stemma mostra le insegne dell’ordine francescano, committente della pala di Sarteano, composte dalle braccia di Cristo e di san Francesco incrociate davanti alla Croce.

    Permangono nel disegno gli attributi iconografici della tradizione, ma l’immagine afferma la natura divina e soprannaturale del miracolo delle stimmate, di cui accentua gli elementi scenografici e spettacolari senza tuttavia discostarsi dal testo della Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio, la ‘biografia ufficiale’ di san Francesco.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Jusepe de Ribera 

    San Francesco in meditazione

    1643
    Olio su tela 
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. 1912 n. 73
     

    Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell’anima.

    [Della vera e perfetta letizia]
     

    La figura del Santo emerge dal fondo scuro, pervasa da una accentuata  luminosità che indaga in modo spietato l'intenso volto evidenziandone la fronte rugosa e  gli occhi arrossati, per poi restituire con lucida esattezza il tessuto ruvido del saio marrone, il filo bianco delle cuciture, la ferita sanguinante del costato, le mani nodose segnate dalle stimmate che sostengono il teschio in audace scorcio.

    Il dipinto, che nel suo accentuato patetismo ravvisa ricordi di El Greco, e nella sensibilità al colore alla luce rivela un’accentuata ascendenza neo veneta, è stato riconosciuto come una delle opere più riuscite nell'ambito della vasta produzione di figure di Santi e Apostoli a mezzo busto di Jusepe de Ribera. L'immagine costituisce un efficace memento mori, destinato a stimolare una riflessione sulla caducità dell'esistenza umana e sull'ineluttabilità della morte, interpretata come “porta della vita” secondo quanto scrivono le fonti francescane a proposito del transito del Santo.

    San Francesco in meditazione, o in colloquio col  teschio, è un'iconografia affermatisi nel clima della Controriforma quando si voleva richiamare il pauperismo dei primi secoli cristiani e invocare il ritorno all'osservanza della Regola dell’Assisiate tramite immagini improntate ai valori povertà e semplicità. Proprio con Caravaggio agli inizi del secolo XVII si diffonde, con prepotente fisicità, la raffigurazione isolata di San Francesco in meditazione diffusa in opere il cui intenso realismo costituì una fondamentale premessa stilistica per l’opera di Ribera.

    Proveniente dalla collezione del principe Mattias de’ Medici - fratello del granduca Ferdinando II - collocata nella villa di Lappeggi, godette sempre di speciale apprezzamento presso casa Medici tanto che il principe Mattias e il granduca Cosimo III lo tenevano in un luogo intimo quale la stanza da letto.

    San Francesco in meditazione
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Antonio Francesco Peruzzini; Alessandro Magnasco detto Lissandrino

    San Francesco contempla il teschio

    1703 - 1704 circa
    Olio su tela
    Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 6247
     

    "Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullo omo vivente po' scampare. Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali! Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte seconda no li farrà male."

    [dal Cantico delle Creature]
     

    La figura del Santo emerge con tocchi chiari, in una drammatica intavolatura cromatica, interamente basata sui marroni terrosi del saio e del paesaggio intorno. L’iconografia di Francesco che medita sul teschio può essere stata ispirata dal celebre passo del Cantico delle Creature. Secondo l’ordine fondato dal Santo, il memento mori non deve essere inteso come meditazione sulla vacuità e precarietà della vita di fronte alla certezza e ineluttabilità della morte, ma come invito alla povertà e alla rinuncia al proprio volere, poiché la felicità attende chi è “ne le tue santissime voluntati”. Il tema si inserisce in un particolare genere sviluppato dal Magnasco, quello delle cosiddette “fraterie”, ovvero tele quasi monocrome che hanno come soggetto principale la vita monastica trascorsa in rigorosa povertà e nell’esercizio di continua preghiera e penitenza. Temi che rispondono alle critiche sempre più pressanti lanciate da laici e da dotti ecclesiastici che, auspicando un ritorno all’originaria vita di povertà e preghiera, teorizzavano una riforma degli ordini religiosi e di tutto l’apparato ecclesiastico. In questo senso l’insegnamento di Francesco e la strada percorsa dal suo ordine, venivano a configurarsi come riferimento positivo, in contrapposizione al lassismo e alla corruzione della Chiesa.

    “Pittore di vivacissimo ingegno fu Alessandro Magnasco. La sua abilità nel dipingere di tocco non solo non ebbe in addietro fra i nostri chi lo eguagliasse, ma neppure chi lo seguisse. Onde tal maniera con lui nata, con lui venne meno, ne’ finora è più rifiorita”. Con queste parole si apre la prima biografia del Magnasco, scritta dal pittore e storiografo Carlo Giuseppe Ratti nel 1769 (“Le vite dei Pittori, Scultori, Architetti genovesi”). Alessandro Magnasco, nato a Genova nel 1667, è stato ideatore di un personalissimo filone  della pittura di paesaggio e “di genere” fra Sei e Settecento, in cui la resa della natura doveva riflettere lo stato d’animo della scena rappresentata. Nell’inventario del Principe Ferdinando de’ Medici (1713), il dipinto è ricordato come opera del Magnasco per le figure e di Anton Francesco Peruzzini per il paesaggio. Nato ad Ancona, Peruzzini abbandonò presto la sua città per completare la propria formazione e attendere alle commissioni di Roma, Bologna, Milano e Firenze; a Milano, nell’ultimo decennio del Seicento, incontrò il Magnasco, con cui inaugurò una lunga collaborazione che proseguì presso la corte del Gran Principe Ferdinando fino alla morte del Lissandrino nel 1749. Nell’opera degli Uffizi, la rappresentazione di una natura tormentata, è espressa attraverso lampeggiamenti veloci e bagliori luminosi che emergono che fronde scure, vengono quindi attribuiti al Peruzzini.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Domenico Trentacoste 

    San Francesco
    (bozzetto per il monumento di piazza Risorgimento, Milano) 

    1925 - 1927

    Gesso
    Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna, Giornale 4485


    "Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace!"

    [dal Testamento di San Francesco d'Assisi, 1226]
     

    L’ampio nucleo di opere di Domenico Trentacoste, pervenuto alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti nel 1933 grazie alla donazione di Fernanda Ojetti, contempla sette bozzetti in gesso riconducibili all’ideazione, di vasto impegno, del monumento a san Francesco di piazza Risorgimento a Milano. Fortemente voluto dalla collettività milanese nel contesto delle celebrazioni per il settimo centenario dalla morte del Santo (1926), il monumento fu pagato dalle offerte dei fedeli e affidato a Trentacoste che vi attese senza compenso per circa tre anni – dal 1924 al 1927 – insieme agli architetti Piero Portaluppi e Paolo Gadda (cugino dello scrittore Carlo Emilio). I due modellini (Giorn. 4490, 4491), riconducibili rispettivamente a uno studio iniziale e finale del monumento, documentano come il progetto sia rimasto nel tempo fedele all’idea originaria di una grande scultura in bronzo erta su un alto basamento e dunque visibile dalla distanza. I bozzetti relativi alla sola figura di san Francesco (Giorn. 4484, 4485) attestano anche la scelta di un modello iconografico di immediata riconoscibilità con il saio, la chierica, il corpo minuto, il volto modellato su quello di fra Cecilio Maria, molto noto al tempo per le sue opere caritatevoli e principale artefice della raccolta di fondi destinata all’impresa. L’accento è posto semmai sul gesto, ovvero su quella benedizione che il Santo dispiega sull’intera città protendendo le braccia, le mani con le stimmate in primo piano, la sinistra allargata e la destra con le sole tre dita stese proprio a sottolineare la sua natura di “alter Christus”.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Trentacoste riafferma ancora la centralità dell’episodio delle stimmate scegliendo di rappresentarlo anche nel rilievo del basamento e di svilupparlo in alcuni bozzetti (poi senza esito) dove il Santo è colto proprio nel momento della visione di Cristo con le mani piagate e il costato trafitto (Giorn. 4486, 4487, 4488). L’aver fatto prevalere una figurazione canonica riflette quell’ideale di limpida classicità e chiarezza comunicativa sostenuto dall’amico e critico Ugo Ojetti, la cui influenza dovette pesare anche nell’assegnazione del monumento di piazza Risorgimento al non più giovane Trentacoste. Una scelta che comunque si conforma perfettamente all’impostazione tradizionalista che caratterizzò, non senza polemiche, tutti gli innumerevoli monumenti eretti in Italia a Roma, Bologna, Milano, Rieti per la ricorrenza del settimo centenario. Alla base di tanta enfasi celebrativa fu d’altro canto proprio la volontà, condivisa dal regime fascista e dagli ambienti cattolici, di fare dell’Assisiate un pilastro dell’identità nazionale, “il più Santo degli Italiani, il più italiano dei Santi” come lo definirà Pio XII nel 1939 proclamandolo patrono d’Italia.

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    LA DEVOZIONE FRANCESCANA

    Cartolina Storica

    Inaugurazione del Monumento a san Francesco in piazza Risorgimento a Milano

Francesco, Fratello Universale

La vita e il culto del Poverello d'Assisi nelle opere delle Gallerie degli Uffizi

Crediti:

Saggio Introduttivo di Frate Francesco Brasa Ordo Fratrum Minorum

Testi di Monica Alderotti, Alberica Barbolani da Montauto, Beatrice Cristini, Laura Donati, Donatella Fratini, Cristina Gnoni, Daniela Parenti, Chiara Toti.

Per le citazioni tratte dagli scritti di San Francesco vedi FONTI FRANCESCANE. Editio Minor. Editrici francescane, 1986

Coordinamento: Monica Alderotti

Grafica, revisione testi, selezione citazioni: Patrizia Naldini

Traduzioni: Eurotrad Snc.

Foto di Roberto Palermo e Francesco del Vecchio

 

Nota: ogni immagine della mostra virtuale può essere ingrandita per una visione più dettagliata.

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