Inferno, Canti XXIX-XXXI
GDSU inv. 3499 F
"Quando noi fummo sor l’ultima chiostra
di Malebolge, sì che i suoi conversi
potean parere a la veduta nostra,
lamenti saettaron me diversi,
che di pietà ferrati avean li strali;
ond’io li orecchi con le man copersi.
Qual dolor fora, se de li spedali,
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
e di Maremma e di Sardigna i mali
fossero in una fossa tutti ’nsembre,
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
qual suol venir de le marcite membre."
Nella decima e ultima bolgia, Dante e Virgilio assistono alla punizione dei ‘falsatori’, denominazione quest’ultima riferita a quattro diversi gruppi di dannati: gli alchimisti o falsatori di metalli, gli impostori o falsatori di persone, i calunniatori o falsatori della parola e infine i falsatori di moneta. I primi sono puniti con l’insorgere di una sorta di scabbia lebbrosa che ricopre loro il corpo di croste, i secondi con una follia rabbiosa, i terzi con una febbre altissima e i quarti con l’idropisia, che fa loro gonfiare il ventre e soffrire il tormento della sete. Il cartiglio in alto fornisce i dettagli della scena: Alchimisti et falsari, e della propria persona e [del] parlare. La p.[ena] loro diversa, Chi cruciati et afliti da infinita lepra et pestiferi morbi, e chi corre rabbioso mordendo altri hidropici con instinguibile sete.
Il disegno mostra Dante e Virgilio che discendono nella bolgia mentre contemplano con orrore lo spettacolo che si offre ai loro occhi: gruppi di dannati corrono in preda a una furia cieca, alcuni addentano i vicini, altri si contorcono in preda a malattie orribili, tutti ammassati l’uno sull’altro. Dante si copre le orecchie per non sentire le parole turpi che si levano dalla turba; ai piedi della scala, i due poeti incontrano poi maestro Adamo da Romena, un falsario di Fiorini, che mostra il ventre gonfio di un idropico; sulla destra, infine, essi sono nuovamente rappresentati mentre procedono in lontananza verso il cerchio successivo.
Commento di Federico Zuccari: «Canto XXIX. Partito il poeta dalla nona bolgia e seguitando la sua via, giunse sul ponte, che soprastava alla decima bolgia, ove sentì varij lamenti e diverse strida fatti da gli alchimisti e falsarij, che si punivano in quella, quali erano cruciati et afflitti da infinita lepra e pestiferi morbi, e di costoro introduce a parlare Grisolino d’Arezzo e Capocchio da Siena, i quali ragionano della vanità e boria de’ Senesi.
[Inf. XXIX, 66] Egina. Egina è un’isola, nella quale habitò Eaco figliol di Giove, e ne’ suoi tempi fu tanta e sì grave pestilenza, che l’isola ne restò desolata, per il che pregò Eaco il suo padre che gli dessi la morte o gli restituisse il popolo perduto. Di poi andando per l’isola, vidde infinito numero di formiche salire e scendere d’una quercia e desiderò che quelle divenissero il suo popolo, né più presto hebbe il desire, che subbito Giove l’adempié e convertì le formiche in homini.
[Inf. XXIX, 66] Diverse biche. Cioè varie torme. Bica propriamente, è quella che fa l’agricoltore su campi di gran segato o di paglia battuta o altra cosa simile.
[Inf. XXIX, 109] Io fui d’Arezzo. Costui dicono che fu maestro Grisolino d’Arezzo alchimista molto famoso, il quale prendendosi gioco d’Albero figliolo del vescovo di Siena, che simplicissimo e molto credulo era, li fece credere che sapeva volare, e pregato molto strettamente da lui, promise d’insegnarli il modo, molto tempo tenendolo in questo desiderio. Ma ultimamente avvedutosi Albero d’esser beffato, lo fece intendere al vescovo, il quale lo fece brusciare come negromante.
[Inf. XXIX, 125] Tranne lo Strica. Questo dice lo spirito per ironia, volendo dimostrare che per boria e vanità lo Strica fu sì prodigo, che consumò tutte le sue sustantie; perché al tempo di Dante fu in Siena una compagnia di ricchissimi gioveni, i quali messero in denari tutte le sustantie loro e feronne un cumulo di ducento mila ducati, e poi si dettero a far conviti, e per boria facevano molte lussuriose e superbe spese, così nel convitare come nel cavalcare e nel vestire a livrea loro et i famigli, et eravi chi ferrava i cavalli d’argento, di modo che furon detti la brigata godereccia, ma in venti mesi consumerono ogni loro sustanza, onde rimasero tutti poveri.
[Inf. XXIX, 127] E Nicolò. Costui dicono che fu de’ Salimbeni, e di continuo studiava con ogni ingegno trovar nuove e sontuose vivande in sorte che faceva cuocere i fagiani e gl’arrosti delicati alla bragia de’ garofani arsi.
Canto XXX. Di sopra il poeta trattò di quelli che havevano falsificato i metalli, e diede loro conveniente pena al delitto. Hora in questo dopo certa similitudine vien a trattar di tre altre specie di falsarij, cioè di quelli, che hanno falsificato le proprie persone, fingendo sé esser altri, per il che rabbiosamente corrono per la valle, mordendo quelli che havevano falsificate le monete, i quali erano la seconda specie che qui tratta, e per pena sono hidropici con inestinguibil sete. La terza specie è di quelli havevano falsificato il parlare, per la qual cosa ardevano d’acutissima febre, e giacevano l’un sopra l’altro.
[Inf. XXX, 32] Gianni Schicchi fu molto atto a contrafare ciò che voleva e fu grand’amico di misser Simone Donati, di modo che essendo morto messer Buoso Donati molto ricco, senza far testamento et havendo più stretti parenti che Simone, i quali succedevano. Simone, per diventar herede, nascose il corpo di messer Buoso, et fè che Gianni Schicchi entrò nel letto, e contrafacendo messer Buoso fece testamento lassando herede Simone Donati.
[Inf. XXX, 61] Maestro Adamo fu da Brescia et ottimo monetieri, ma per somma avaritia convenne co’ Conti di Romena, e secretamente falsificò quivi il fiorin d’oro, il quale da un lato ha l’immagine di San Giovan Battista e dall’altro il giglio fiorentino, alla fine discoperta la falsità, fu preso et arso» (fol. 25 verso)
Versi della Divina Commedia copiati: Inf. XXIX, 1-3; 40-69; 73-84; 100-102; 106-139; Inf. XXX, 22-105
Versi della Divina Commedia illustrati: Inf. XXIX, 37-84; Inf. XXX, 22-29; 49-54; 91-108; Inf. XXXI, 7-9; 19-20
Audiodescrizione