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Battesimo di Cristo

Paolo Caliari detto il Veronese

Data
1580 c.
Collocazione
Sala dell'Iliade
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
196 x 133 cm
Inventario
Palatina n. 186

San Giovanni Battista costituisce una presenza ricorrente nel catalogo del Veronese sia in veste di protagonista (come ne ‘La predica’ alla Galleria Borghese di Roma), sia di co-protagonista (come negli esempi plurimi del Battesimo di Cristo) o di gregario di lusso in composizioni di più vasto impegno.

Osservando poi nello specifico le tele di soggetto analogo che costellano la sua produzione, sembra quasi che l’artista abbia qui voluto compendiare le esperienze precedenti portandole a definizione. L’attenzione si focalizza infatti sulla scena del primo piano, senza aggravi strutturali di aperture paesaggistiche o incursioni di committenti. La centralità dell’elemento trinitario è confermata dalla terna degli angeli così come dall’asse lungo il quale si succedono la colomba dello Spirito Santo, la ciotola del Battista e la testa di Cristo, in parte raccordati dal tronco dell’albero. Veronese si concentra dunque sull’interpretazione che l’episodio del Battesimo di Cristo assume nei vangeli sinottici, non solo eliminando i dettagli non pertinenti, ma anche recuperando dalle prove giovanili la posa del Cristo a braccia incrociate. Un dettaglio assai significativo che allude alla Crocifissione, ricordando come il Battesimo ne sia una prefigurazione. Scegliendo di farsi battezzare nel Giordano a scopo di purificazione, come faceva Giovanni con i suoi seguaci, Gesù accetta di fatto di condividere i peccati degli uomini entro un percorso di sofferenza e redenzione che culminerà sulla Croce. Una scelta suggellata dalla voce del Padre e conclamata dalla discesa dello Spirito Santo in forma di colomba, a ricomporre appunto con Gesù le tre persone della SS. Trinità, e avverando così la profezia avanzata dal precursore, riguardo all’avvento del Messia “colui che battezza con Spirito santo e con fuoco”.

Il dipinto si trovava originariamente presso l’Oratorio della confraternita dei Fiorentini ad Ancona e da un’iscrizione presente sul verso apprendiamo che fu riparato in sacrestia per il pericolo «d’esser danneggiato da sorci, dall’humido, e da altro disastro». Numerosi sono infatti i guasti che presentava quando giunse a Firenze nel 1667 a seguito dall’acquisto da parte di Ferdinando II de’Medici. Il Granduca, appassionato di pittura veneta qual era, gli assegnò un posto di privilegio in Tribuna, affidandolo però prima alle cure di Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano che lo «rassettò», effettuando interventi conservativi e di reintegro, nonché disegnando una nuova cornice, poi realizzata da Jacopo Maria Foggini. Non molto tempo dopo, nel 1699, l’opera entrò però nelle mire del Gran Principe Ferdinando che lo volle per la sua collezione, incaricando nell’occasione Niccolò Cassana del ritensionamento e ampliamento della tela.

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