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Susanna e i vecchioni (Castità di Susanna)

Lorenzo Lotto (Venezia 1480 – Loreto 1557 )

Data
1517
Collezione
Pittura
Collocazione
D19. Cappellina veneziana
Tecnica
Olio su tavola
Dimensioni
66 x 50 cm
Inventario
1890 n. 9491

Firmato e datato in basso a sinistra LOTUS PICTOR 1517, il dipinto risale al periodo del primo soggiorno bergamasco dell’artista dal 1514 al 1525.

L’episodio, ambientato in un vasto paesaggio delimitato da mura fortificate “alla moderna”, è tratto dall’Antico Testamento (Daniele, XIII, 1-64): Susanna, la sposa bella e casta di Ioachim, ricco ebreo, viene insidiata da due anziani giudici del popolo mentre si concede un bagno nel suo giardino. Questi, nel tentativo di abusare di lei, la ricattano minacciando di accusarla pubblicamente di adulterio. Solo l’intervento del profeta Daniele che interrogherà separatamente i due vecchi - i quali, caduti in contraddizione, svelano la loro menzogna- riuscirà a dimostrare l’innocenza di Susanna.

Nel dipinto la protagonista si è denudata ed appare inginocchiata in una posa ben paragonabile a quella della scultura della Venere accovacciata nota attraverso le copie romane dell’originale greco del III secolo a.C.. Con il braccio teso Susanna tiene a distanza i due anziani ed esprime la frase riportata sul cartiglio: Satius duco mori, quam peccare (Piuttosto che peccare, preferisco morire). Di conseguenza uno dei vecchioni pronuncia l’ingiusta accusa di adulterio : “Vidimus eam cum iuvene commisceri, ni nobis assenties testimonio nostro peribus“ (Noi siamo testimoni di averla vista unirsi con un giovane che è fuggito). I due cartigli raffigurati costituiscono un diretto riferimento al testo biblico del profeta Daniele del quale il dipinto è la traduzione in immagini.

Evidente è il messaggio di esaltazione della virtù muliebre e della giustizia trasmesso dall’opera attraverso un linguaggio formale fortemente connotato da accenti leonardeschi. Le vesti di Susanna sparse a terra lievitano nella luce trasformata in colore con ombre trasparenti. Esse si offrono alla nostra vista anche come importante documento della moda italiana in voga nel Cinquecento nell’abbigliamento femminile. La camicia bianca, l’indumento a contatto diretto con la pelle, è posata sulla sottana gialla, e spicca sulla veste rossa dall’orlo ripiegato che poteva servire a nascondere piccoli oggetti scaramantici. Più discosti dal corpo della donna in primo piano brillano le calze di seta verde e le “cinte da gamba”, moderne giarrettiere di colore bianco; infine sullo sfondo appaiono le “pianelle” -le calzature prive di calcagno che negli esemplari più pregiati potevano avere suole di notevoli altezze- anche queste verdi, in perfetto accordo con le calze.

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