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Ritratto d’uomo (Ritratto di gentiluomo col guanto)

Artista emiliano (cosiddetto ‘Amico friulano del Dosso’) attivo a Ferrara in Emilia (fra il 1510 e il 1540 circa)

Data
1510-1520 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
D2. Dosso Dossi e compagni
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
77,5x60,5 cm
Inventario
1890 n. 1688

Davanti a un paesaggio allestito come una quinta teatrale, si staglia la figura di questo elegante gentiluomo dagli occhi penetranti, una mano che stringe un guanto e l’altra, virtuosamente dipinta di scorcio, protesa verso lo spettatore quasi fosse pronto a dialogarvi. Il gesto sottolinea la capacità oratoria dell'effigiato, requisito fondamentale in una corte umanista come quella degli Este a Ferrara: dalla città emiliana sembra infatti provenire l'artista, probabilmente appartenente alla cerchia di Dosso Dossi.

Il ritratto fa parte di un gruppo di dipinti di autore anonimo, ribattezzato l‘Amico friulano del Dosso’ dal critico e storico dell'arte Roberto Longhi, che datò l’opera come la più antica del corpus per via di un’impostazione arcaizzante che associò ai tardi seguaci di Bellini e Giorgione. Il celebre studioso ipotizzò quindi per l’anonimo artista una nascita veneto-friulana – poi scartata dalla critica – con conoscenze della pittura toscana e un passaggio in uno dei più importanti centri di cultura e committenza del Rinascimento, la corte estense, dove avrebbe effettivamente lavorato e vissuto. Gli occhi cristallini del giovane raffigurato ricordano quelli dipinti da Boccaccio Boccaccino, così come l’espressione del viso sembra richiamare i volti di Bartolomeo Veneto, artisti entrambi attivi a Ferrara come anche Dosso Dossi, da cui l’anonimo pittore ha colto suggestioni per raffigurare il paesaggio immerso in un’atmosfera magica, sospesa e cavalleresca. Il realismo delle pieghe della mano rivolta verso lo spettatore e i punti luce della veste potrebbero invece rimandare a memorie lombardo-venete, vicine alla maniera di Savoldo. Il ritratto è sprovvisto di un’indicazione utile a riconoscere il personaggio effigiato, ma potrebbe trattarsi di un letterato della corte estense al tempo di Ludovico Ariosto, collocabile intorno al secondo decennio del XVI secolo. L’opera, ritenuta in epoca granducale un autoritratto del Sodoma, e come tale registrata nel 1691 sotto Cosimo III de’ Medici, venne in seguito attribuita ad Alessandro Oliverio e poi da Bernard Berenson a Sebastiano del Piombo, fino all’intuizione di Longhi, avvalorata e implementata da altri critici, che ha però lasciato dibattuta l’identità dell’artista e la stessa riconducibilità a un'unica mano del corpus di pitture da lui raggruppate.

Bibliografia

R. Longhi, L'amico friulano del Dosso, in “Paragone”, XI, 1960, 131, p. 5, tav. 2; L. Berti (a cura di), Gli Uffizi. Catalogo Generale, Firenze 1979, p. 396, P1118; A. Natali, Amico friulano del Dosso (attribuito), in Il restauro del ‘Leone X’ di Raffaello, “Gli Uffizi. Studi e ricerche. I pieghevoli”, 28, 1996; A. Bacchi, "Tempus elevat omnia": la Verità dell'‘Amico friulano del Dosso' in I veli del tempo. Opere degli Uffizi restaurate, a cura di A. Natali, Cinisello Balsamo (MI) 1997, pp. 45 e 48, fig. 4; D. Benati, Amico friulano del Dosso – San Giovanni Battista, in Fondantico (Maastricht, Tefaf, 2020), Bologna 2020, p. 12; Ritratto d’uomo – Alessandro Oliverio, “Catalogo Generale dei Beni Culturali”, (https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0900287950)

Testo di
Guicciardo Sassoli de' Bianchi Strozzi
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