Vai al contenuto principaleVai al footer

Pastorella

Filippo Palizzi (Vasto, Chieti 1818- Napoli 1899)

Data
1874
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
355x50 cm
Inventario
Catalogo Generale n. 101; Depositi GAM n. 91
Iscrizioni

In basso a destra "Filippo Palizzi 1874"

Tra i pittori che rappresentarono temi bucolici con un intenso sentimento poetico c’è Filippo Palizzi, artista la cui formazione fu influenzata dalla corrente francese della Scuola di Barbizon.

Nato a Vasto, trascorse molti anni della sua vita tra Roma e Napoli. Fin da giovanissimo viaggiò spesso anche all’estero: tra le sue mete ci furono il Belgio, l’Olanda, la Francia, Malta e la Moldavia.

La sua formazione accademica fu superata quando, nel 1837, entrò in contatto con gli esponenti della Scuola di Posillipo. Durante un viaggio nei Paesi Bassi invece rimase impressionato dalla pittura fiamminga: il forte realismo, il dato naturale, la perfezione esecutiva, diventarono un punto focale della sua arte. I tre soggiorni a Parigi, rispettivamente del 1855, 1865 e 1875, gli servirono invece come aggiornamento sulle più innovative correnti artistiche dell’epoca. La passione per l’arte Filippo la condivise anche in ambito familiare poiché anche i fratelli, primo fra tutti Giuseppe (1812-1888), intrapresero la carriera artistica, trasferendosi ben presto a Parigi. Giuseppe si stabilì nella capitale francese fin dal 1844 e ci rimase per tutta la vita, mentre Nicola (1820-1870) e Francesco Paolo (1825-1871) soggiornarono per un periodo più breve e a partire dal 1848. Filippo ebbe così modo di mantenere un continuo contatto con l’ambiente artistico parigino. La pastorella, esposta nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, esemplifica le peculiarità pittoriche di Filippo, che nel corso degli anni si specializzò nella rappresentazione degli animali, definiti dall’artista come più genuini e naturali degli uomini. A discapito del soggetto femminile, a cui è intitolato il quadro, sono proprio l’ariete e le pecore in primo piano a rivolgere il loro sguardo incuriosito verso lo spettatore, come se cercassero un contatto diretto con chi le osserva. Attraverso la calda luce del tramonto, l’artista è riuscito a rendere la morbidezza del manto degli ovini, diverso da quello più ispido del cane che chiude la comitiva. La pennellata di Palizzi varia a seconda dell’oggetto rappresentato: macchie di colore più ampio, scandiscono le ombre allungate nel terreno e le nuvole del cielo; pennellate più sottili, descrivono minuziosamente i fili d’erba e le foglie degli alberi. Punti di luce bianchi e tocchi di rosso, indicano i delicati petali dei fiori.

Questa sua infinita accuratezza dei dettagli, tratto distintivo delle sue opere, non fu sempre apprezzata dalla critica contemporanea. Questo quadro, assieme ad altre quattordici tele fu esposto a Firenze nel 1862, presso lo studio di Saverio Altamura. Palizzi, a differenza dei suoi contemporanei, non partecipò alla Prima Esposizione Nazionale fiorentina ritenendola troppo accademica. La maggior parte delle sue opere sono infatti raccolte a Roma e Napoli, città destinatarie di due lasciti da parte dell’artista. 

Testo di
Graziella Cirri
Vuoi visitare Palazzo Pitti?
Organizza la tua visita a Firenze, trova prezzi ed orari del museo.

La Newsletter delle Gallerie degli Uffizi

Iscriviti per restare informato!