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Laocoonte

Baccio Bandinelli (Firenze 1493 - 1560)

Data
1520-25
Collezione
Scultura
Collocazione
Terzo Corridoio (A 24)
Tecnica
Marmo lunense
Dimensioni
h. 213 cm
Inventario
1914 n. 284
Iscrizioni

“BACCIVS.BANDINELLVS.FLORENTINVS.SANCTI.IACOBI.EQUES.FACIEBAT” (base)

Il 14 gennaio 1506 a Roma, durante il pontificato di Giulio II della Rovere, venne fortuitamente rinvenuta una statua di oltre 2 metri presso la vigna del gentiluomo romano Felice de Fredis sul colle Esquilino. Si trattava del gruppo statuario del Laocoonte, personaggio di cui parla Virgilio nel secondo libro dell’Eneide. Il sacerdote troiano ed i suoi figli furono stritolati dai serpenti marini inviati secondo alcune fonti da Poseidone, secondo altre da Atena, protettrice dei Greci, per impedire a Laocoonte di svelare ai suoi concittadini l’inganno del cavallo escogitato da Ulisse, e così evitare che l’esercito greco assediasse la città di Troia.

Il clamore suscitato dal ritrovamento di questa scultura fu immediato. Come scrive Plinio il Vecchio nel suo “Naturalis Historia”, si riteneva che l’opera fosse originariamente posta nel palazzo di Tito, forse addirittura prima che questi diventasse imperatore romano (79-81 d.C.). Stando alla fonte antica fu realizzata da Agesandro, Atanadoro e Polidoro, originari di Rodi (I secolo a.C.). A seguito del rinvenimento, per volere di Giulio II, il Laocoonte fu posizionato nel cortile ottagonale del Belvedere dei Palazzi Vaticani, accanto a una statua in marmo di Apollo – copia romana del II secolo d.C. da un originale greco – che proprio per via di questa collocazione è nota come “Apollo del Belvedere”. Il gruppo non lascerà mai più i Palazzi Vaticani, se non per un breve esilio parigino a seguito delle spoliazioni napoleoniche.

A fine gennaio 1520 nella Roma di Leone X de’ Medici si annunciava l’intenzione di realizzarne una copia senza che ci fosse chiarezza rispetto al materiale da utilizzare, se il bronzo o il marmo. Nei primi mesi del 1520 Baccio Bandinelli, artista prediletto dai Medici, fu incaricato di replicare in marmo il gruppo, destinato poi ad essere inviato in Francia come dono diplomatico per il re Francesco I di Valois, il quale non possedeva “alcuna cosa di marmo né antica né moderna”, come racconta Giorgio Vasari. Il contratto fu poi stipulato nel settembre 1520 tra lo scultore e il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, fautore della politica filofrancese all’interno dello Stato Pontificio. La morte di Leone X, avvenuta l’anno successivo, causò una battuta d’arresto per la realizzazione dell’opera, ripresa solo a seguito dell’elezione al soglio pontificio del cardinale Giulio de’ Medici, col nome di Clemente VII, nel novembre del 1523. Quell’anno un ambasciatore veneziano di passaggio a Roma scrisse di aver visto le figure dei due figli già completate, mentre quella del Laocoonte era ancora da finire.

Il confronto con l’esemplare antico rappresentava un’occasione unica per Bandinelli che riteneva il Laocoonte vaticano “perfettibile”. Nella sua versione, lo scultore fiorentino integrò gli arti superiori destri del sacerdote e dei due figli, mancanti nell’originale antico, e apportò inoltre minime modifiche alla raffigurazione del fanciullo visibile alla destra dell’osservatore. Così ne scrive Vasari: “[Bandinelli] Restaurò ancora l’antico Laocoonte del braccio destro, il quale essendo tronco e non trovandosi, Baccio ne fece uno di cera grande che corrispondeva co’ muscoli e con la fierezza e maniera all’antico e con lui s’univa di sorte, che mostrò quanto Baccio intendeva dell’arte, e questo modello gli servì a fare l’intero braccio al suo.”

Lo scultore affermò con orgoglio la paternità di questa versione moderna del gruppo scultoreo, firmandolo sulla base, e facendo esplicito riferimento all’onorificenza di cui era stato insignito dall’imperatore Carlo V, ossia il cavalierato dell’ordine di Santiago, nel 1529.

Proprio per volontà di Clemente VII, la copia di Bandinelli anziché andare in Francia arrivò a Palazzo Medici in Via Larga già prima del dicembre 1524, benché una sistemazione definitiva per il gruppo in una nicchia del giardino mediceo fosse trovata solo il 10 ottobre 1531, come riporta la data commemorativa dell’evento incisa sulla faccia superiore della base della scultura. Con la vendita del Palazzo ai Riccardi nel 1659, la copia fu trasferita da Ferdinando I Medici al Casino di San Marco e infine agli Uffizi alla fine del Seicento, con l’eredità del cardinale Carlo de’ Medici e fin da allora posto nell’ubicazione attuale, in fondo al corridoio di ponente. La scultura ha sempre conservato il piedistallo originale, presente tuttora e recante un’iscrizione andata distrutta nel Settecento.

Bibliografia

G. Capecchi in B. Paolozzi Strozzi, D. Heikamp, Baccio Bandinelli. Scultore e Maestro, Catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 9 aprile - 13 luglio 2014) Firenze 2014, pp. 140 -147; S. Pierguidi, La “Furia” di Rosso Fiorentino e il “Laocoonte” di Bandinelli. L’antitesi tra “notomia” e antico, Grafica d’arte 24, no. 93 (2013): 2-10;W. Liebewein, Clemente VII e il ‘Laocoonte’, in A. Nova und A. Schreurs, Benvenuto Cellini. Kunst und Kunsttheorie im 16. Jahrhundert, Köln, Böhlau Verlag, 2003, Pp. 268-278

Testo di
Elena Marconi; Elisabetta Maistri
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