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San Filippo Neri guarisce dalla gotta Clemente VIII

Pietro Berrettini, detto Pietro da Cortona (Cortona 1596 - Roma 1669)

Data
1640 - 1642 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
Uffizi Depositi
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
60 x 63 cm
Inventario
Oggetti d’Arte Castello n. 483

Il dipinto, considerato disperso, venne rintracciato nel 1969 nei depositi delle collezioni fiorentine e sottoposto a nuovi studi. Gli inventari medicei, che ne documentano l’avvenuto ingresso agli Uffizi nel 1677, se da un lato individuano la figura di San Filippo Neri, descrivendo la scena come un episodio di guarigione dalla gotta, tacciono invece sull’identità del pontefice, in passato variamente interpretata. Nell’occasione della riscoperta viene avanzato il nome di Clemente VIII (1592-1605), confermato anche dalla comparazione con una tela di Cristoforo Roncalli di soggetto analogo presente all’interno della Chiesa Nuova di Roma, roccaforte della Congregazione oratoriana fondata da San Filippo Neri. Il pontefice, al secolo Ippolito Aldobrandini, ricordato per i suoi tentativi di riforma del cattolicesimo, per la sua abilità nella politica estera, ma anche per la sua intransigenza che portò sul rogo Giordano Bruno, fu infatti pesantemente afflitto dalla gotta, conosciuta anche come la malattia dei re o dei papi perché diffusa prevalentemente tra i ceti più ricchi. Decisamente poco nota e curata con rimedi improvvisati, la gotta era stata imputata fin da Ippocrate a uno stile di vita dissoluto e opulento dal punto di vista alimentare, in realtà del tutto estraneo al pontefice che invece conduceva un’esistenza pia ed estremamente morigerata. La scena qui rappresentata non si esaurisce tuttavia nel miracolo di San Filippo Neri, peraltro neppure il primo da lui compiuto nel corso della sua missione evangelizzatrice della tribolata Roma cinquecentesca. Pietro da Cortona pone infatti l’accento sull’intimità del momento e sulla fiducia con cui Clemente VIII affida la mano da risanare a “Pippo Buono”, un gesto che racchiude un legame di lunga data, consolidatosi proprio nel triennio 1592-1595, tra l’elezione del pontefice e la morte del Santo, entro il quale si colloca anche l’episodio della guarigione miracolosa dalla gotta. La franchezza d’eloquio tra i due è infatti reale (ai consigli di San Filippo Neri si attribuisce la riconciliazione del papa con Enrico IV di Francia) e l’intensa partecipazione con cui viene restituita dal pittore riflette a sua volta la vicinanza del Berrettini alla Congregazione per la quale lavorò a più riprese, realizzando anche il capolavoro della volta della Chiesa Nuova. Una sensibilità filo-oratoriana tra l’altro condivisa da vari esponenti della famiglia dei Medici, tra i quali Alessandro Ottaviano – seguace diretto del Santo e uomo chiave di Clemente VIII nella politica di sostegno ai Filippini – e il Cardinal Leopoldo, lui stesso frequentatore della Chiesa Nuova. Di provenienza ignota e di datazione incerta (oscillante tra il 1636, in analogia con i primi lavori romani per la Congregazione, e gli anni fiorentini 1640-1642), il dipinto mostra rapporti con la cultura toscana coeva sia per l’accurata descrizione dell’ambiente sia per il senso della narrazione che si estende sullo sfondo al particolare aneddotico dei due confratelli che assistono alla scena scostando la tenda, forse anche in rimando a quel modello di vita comunitario considerato da sempre la maggiore eredità del Santo.

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