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Niobidi

Giovanni Colacicchi (Anagni 1900 - Firenze 1992) 

Data
1946
Collocazione
Depositi
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
51 x 43 cm
Inventario
Giornale 1885

Nel 1932 Giovanni Colacicchi si fa notare alla Biennale di Venezia con il dipinto Amazzoni ferite, acquistato nell’occasione dall’architetto e accademico d’Italia Marcello Piacentini: anche in quel caso al centro della composizione è un gruppo di donne nude trafitte da frecce, ma la scena, ambientata su una spiaggia bianca e sullo sfondo di uno smagliante cielo azzurro, stempera la tensione narrativa nei preziosismi tecnici e in un afflato lirico figlio delle temperie di “Solaria”, la rivista di taglio interdisciplinare rivolta all’Europa, e di cui Colacicchi fu tra i fondatori.

All’indomani della guerra, nel 1946, l’artista riprende e riadatta il soggetto secondo mutate urgenze espressive, nell’ottica di un potenziamento del dramma consono al momento storico. Il sanguinoso mito di Artemide che trafigge per vendetta le figlie di Niobe si adatta perfettamente allo scopo non solo per la crudezza del gesto, ma anche perché racchiude il sacrificio universale di tutte le donne, vittime spesso inermi della violenza del conflitto. Rispetto alla versione degli anni Trenta lo scarto di senso impone all’artista anche un adeguamento stilistico. Se i corpi delle Amazzoni ferite si rifanno alla classicità arcaica tipica del movimento “Novecento”, in questo dipinto si riscontra una maggiore opulenza e sensualità, la stessa che sprigiona da quel San Sebastiano risalente al 1943, anch’esso conservato presso la Galleria d’Arte Moderna. Colacicchi conferma infatti qui la sua idea di bellezza come valore unificante e superiore, capace di vincere la violenza persino la più feroce, come appunto la pioggia di dardi che si riversa sulle Niobidi indifese, ma rispetto al San Sebastiano accresce la tensione drammatica adottando una gestualità teatrale – la stessa del cinema neorealista di quegli anni – e un’inquadratura ravvicinata che esclude ogni dettaglio dell’ambiente. La pittura è rapida, a tratti sommaria, giocata su studiati accordi tonali frutto delle esperienze romane maturate a contatto con gli artisti della Galleria della Cometa dove aveva esposto nel 1938 presentato in catalogo da Eugenio Montale. Al centro rifulge l’esuberanza cromatica dei due perizomi, quello bianco in particolare, intorno al quale cresce la composizione.

In una commistione di valori etici ed estetici, il dipinto traspone dunque nell’eccidio delle Niobidi gli orrori della guerra che Colacicchi aveva contrastato partecipando in prima linea all’attività antifascista. Un impegno proseguito ben oltre il conflitto, e che in quel 1946 lo vedeva militare nel Partito d’Azione e partecipare alla Commissione per l’epurazione dei soci fascisti istituita dall’Accademia di Belle Arti di Firenze.

L’acquisto del dipinto avvenne nel 1962 direttamente presso l’artista con l’intenzione di ampliare la rappresentanza della sua produzione nella collezione della Galleria d’Arte Moderna, al tempo ferma ad alcuni esempi di paesaggi e nature morte.

Testo di
Chiara Toti
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