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Senza titolo

Giuseppe Capogrossi (Roma 1900 - 1972)

Data
1970
Collocazione
Depositi
Tecnica
Serigrafia
Dimensioni
223,5 x 130 cm
Inventario
Giornale 8231

Capogrossi si vota all’astrattismo intorno agli anni Cinquanta, avendo alle spalle un lungo percorso di pittore figurativo, avviato negli anni Venti sotto la guida di Felice Carena, maturato nel decennio successivo nell’ambito del tonalismo romano e transitato nel dopoguerra dalla lezione neocubista. Da allora un segno-forma caratterizza l’intera sua produzione, facendosi espressione precipua e immediatamente riconoscibile della sua arte. È un modulo a tre punte (una sorta di E arrotondata) che l’artista ripete in infinite combinazioni e con ritmi sempre diversi, variando dimensioni, numeri, tra espansioni e contrazioni, allineamenti e interruzioni: una sorta di codice binario attraverso il quale supera l’apparenza della natura per rappresentare un’organizzazione interiore dello spazio. Anche la prevalenza del bianco/nero risponde a queste logiche di predominio segnico, così come il rigore della campitura piatta, seppur resa qui a tratti incerta dalla stampa serigrafica.

“È il più vario, così furiosamente uguale a se stesso, il più vario pittore che vi sia al mondo”, Giuseppe Ungaretti scrive di Capogrossi nel 1969, osservando anche come le sue “serrature qabbalistiche a chiusura perpetua” diano accesso, a chi le sappia aprire, ai segreti dell’universo.

L’opera è stata stampata nel 1970 dalle Edizioni Il Naviglio di Milano facenti capo all’omonima galleria guidata da Carlo Cardazzo, punto di riferimento per le ricerche di area informale insieme alla consorella veneziana Galleria del Cavallino. L’etichetta sul retro certifica la tiratura di 120 esemplari a quattro colori e l’avvenuta distruzione di tutte le matrici e le prove di stampa, a sottolineare dunque l’unicità di quella serie di stampe serigrafiche. Viene donata dall’artista alle collezioni della Galleria d’Arte Moderna nel 1970, nell’anno della sua partecipazione alla seconda Biennale Internazionale della Grafica di Firenze. Nel 1971 diventa una delle opere di punta della mostra “Nuovi termini di riferimento per il linguaggio artistico” che espone con un taglio didattico un nucleo di opere acquisite dalla Galleria d’Arte Moderna a scopo di aggiornamento, finalizzate a educare la città alle nuove espressioni dell’arte contemporanea ma anche a sensibilizzarla sull’endemica mancanza di spazi espositivi del museo.

Testo di
Chiara Toti
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