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Autoritratto di Montorsoli

Giovanni Boldini

Data
1892
Collocazione
Depositi
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
57,5 x 40 cm
Inventario
1890 n. 3079

Al tempo di questo autoritratto Giovanni Boldini è alle soglie dei cinquant’anni ed è all’apice del successo come ritrattista del bel mondo parigino. In alto a destra, insieme alla firma, la specifica dell’anno (il 1892) e del luogo di esecuzione (la villa dell’amico pittore Cristiano Banti a Montorsoli vicino a Castelfiorentino) denota comunque la volontà dell’artista di legare il dipinto a una congiuntura temporale e di frequentazioni a lui particolarmente cari. Dopo aver aderito nel febbraio 1892 alla richiesta dell’allora direttore degli Uffizi, Enrico Ridolfi, di donare il proprio autoritratto alla prestigiosa collezione della galleria fiorentina, Boldini, da consumato viaggiatore qual era, coglie infatti il suggerimento di Banti di lasciare gli impegni parigini, pianificando l’esecuzione dell’opera direttamente in Toscana, nel corso di tre, quattro sedute; ciò che avviene probabilmente durante il soggiorno tra il settembre e l’ottobre di quel medesimo anno. Una fotografia dell’epoca, purtroppo non datata, documenta il dipinto appena compiuto, ancora sul cavalletto e già provvisto della cornice oro ed ebano con la quale farà il suo ingresso agli Uffizi sicuramente entro novembre. All’inizio di quel mese Boldini scrive infatti a Banti lamentandosi della posizione defilata che il suo autoritratto ha nel museo rispetto a “quella tempesta di ritratto di quel svedese”, forse identificabile con la tela di Anders Leonard Zorn.

Con l’arrivo dell’autoritratto agli Uffizi, Boldini avanza anche una richiesta: sempre attraverso Banti, sollecita infatti numerose volte il direttore affinché gli invii il tanto desiderato calco del Busto del Cardinal Leopoldo, al tempo attribuito a Lorenzo Bernini e collocato, oggi come allora, nell’Antiricetto del museo. L’insistenza con cui lo richiede è proporzionale alla centralità che il calco, pervenutogli nel gennaio 1893, assumerà nella sua produzione, elevato a protagonista di una serie di almeno cinque tele ambientate nell’atelier parigino dell’artista, dove trionfa sul camino o su un tavolo, talmente vivo nello sguardo e nello scatto del collo da acquistare caratteri umani e dialogare con i personaggi dei ritratti appesi alle pareti.

All’Autoritratto di Montorsoli sono da ricondurre altre tre varianti eseguite contestualmente: una conservata presso il Museo Boldini di Ferrara, altre due giunte alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze attraverso il legato di Alaide Banti, figlia di Cristiano. Mentre nell’Autoritratto di Montorsoli Boldini si rappresenta di tre quarti armonizzando la sua figura entro lo sfondo alla maniera di Velázquez, scoperto dal vivo a Madrid qualche anno prima, in una delle due tele di Palazzo Pitti fissa lo spettatore con aria impenetrabile, rendendo ancora più evidente la trasfigurazione della sua immagine reale in quella di un potente demiurgo in grado di cogliere l’essenza degli uomini e delle donne del suo tempo.

Testo di
Chiara Toti
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