Purgatorio, Canto I
GDSU inv. 3502 F
Dolce color d’oriental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ‘l petto.
Emersi dallo stretto passaggio che dal punto più basso dell’Inferno risale verso l’emisfero australe, Dante e Virgilio, a sinistra, giungono sulla spiaggia del Purgatorio: è mattino, e la luce dell’alba s’insinua lentamente nel cielo punteggiato di stelle, suscitando nel poeta un sentimento di grande commozione.
Federico Zuccari affida al sottostante cartiglio il compito di illustrare questo complesso passaggio narrativo, trascrivendovi gli ultimi versi della precedente cantica:
Lo duca, et io per quel camino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo,
et sanza cura haver d’alcun riposo
salimmo su, ei primo, et io secondo.
Tanto ch’i’ vidi de le cose belle,
che porta ’l ciel per un pertugio tondo;
Et quindi uscimmo a riveder le stelle.
Sulla spiaggia, a destra, attende i due poeti la veneranda figura di Catone l’Uticense: costui è stato tratto dal Limbo quale esempio di virtù e di perfezione morale, assieme ai Patriarchi della religione cristiana, per assurgere al ruolo di guardiano del Purgatorio. Credendoli due dannati fuggiti dall’Inferno, Catone interroga gli estranei con tono severo, subito mitigato da Virgilio che gli espone le ragioni del loro viaggio.
Il dialogo che si svolge tra i personaggi venne inizialmente trascritto da Zuccari nella parte centrale del foglio; poi, per una variazione in corso d’opera, fu occultato con una striscia di carta e ritrascritto nella fascia superiore della tavola al fine di conferire maggiore respiro all’immagine.
Chi siete voi; che contra’ l cieco fiume
fuggit’ havete la prigione eterna,
disse ei movendo quell’honeste piume.
v’ha guidati, o chi vi fu lucerna
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna,
Son le leggi d’abisso così rotte,
o è mutato in ciel novo consiglio;
che danati venite a le mie grotte.
Lo duca mio allhor mi diè di piglio;
et con parole, et con mano, et con cenni
reverenti mi fé le gambe, e ‘l ciglio;
Poscia rispose lui; Da me non venni:
donna scese del ciel per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovenni. […]
Mostrat’ho lui tutta la gente ria;
et hora ‘ntendo mostrar quelli spirti,
che purgan sé sotto la tua balìa. […]
Va’ dunque; et fa che tu costui ricinga
d’un giunco schietto; et che li lavi ‘l viso,
sì ch’ogni succidume quindi stinga.
Per affrontare la salita al Purgatorio, Catone istruisce Virgilio sul modo di preparare Dante: deve prima lavargli il viso per eliminare la caligine dell’Inferno, poi cingerlo con un giunco, simbolo di umiltà. All’estrema destra del foglio, si vede quindi Virgilio pulire il viso di Dante con la rugiada raccolta sull’erba, come spiega il cartiglio posto sopra le due figure:
Quando noi fummo, dove la rugiada
pugna col sol, et per esser in parte
ove adorezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ‘l mio maestro pose,
ond’io, che fui accorto di su’ arte,
porsi ver lui le guance lagrimose:
quivi mi fece tutto discoverto
quel color, che l’inferno mi nascose.
Nell’ultima scena, poco più in basso, Virgilio è raffigurato mentre cinge Dante con il giunco raccolto sulla riva del Purgatorio; la scena è accompagnata dagli ultimi versi del primo canto:
Venimmo poi in su ‘l lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
huom, che di ritornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
o’ maraviglia; ché qual egli scielse
l’humile pianta; cotal si rinacque
subitamente là, onde la avelse.
Commento di Federico Zuccari: «Canto I. Il poeta seguita il lassato proposito in fine della precedente cantica, e prima descrive nel presente canto il diletto, che presero i suoi occhi del sereno aere dell’altro hemisferio, tosto ch’egli uscì fuori dell’oscure, calliginose tenebre dell’Inferno, alla superficie della Terra, trovandosi nell’isola del Purgatorio a riveder le stelle nell’hora mattutina, la qual poeticamente descrive. Narra poi come volgendosi a destra verso l’antartico polo vidde quattro d’esse stelle oltra l’altre lucenti e chiare, che rotavano intorno a esso polo, e che voltatosi poi su la sinistra verso il nostro artico, vidde l’ombra di Catone Uticense presso di sé, e descrive il grave e reverendo aspetto di quello, dal quale domandati della conditione loro, e da Virgilio intesa, [ch]e come mosso a’ prieghi di Beatrice havea condotto Dante per l’Inferno, et intendeva di condurlo, pur ch’egli lo concedessi, per li sette regni del Purgatorio, al quale lui era posto in guardia; onde subbito Catone li ammonì di quanto havevano da fare, e sparì via, et essi presero la via verso la marina, e lavato ch’hebbe Virgilio il viso a Dante di rugiada, lo cinse poi, giunti al lito del mare, d’uno schietto giunco, come da Catone gl’era stato imposto.
[Purg. I, 11] Le Piche furono nove figliole di Piero della città di Pella, dottissime in molte e diverse arti; ma tanto temerarie e superbe che ardiro nel canto volersi preporre alle Muse, per il che andarono in Parnaso a trovarle presso al fonte Pegaseo, e quivi con gravi ingiurie le provocorno a cantare. Ma data la commissione a Calliopea, una delle nove Muse, di lunga le vinse, e per conveniente pena le convertì in Piche, il quale è ucello garrolo, e che facilmente impara a parlare» (fol. 28 verso)
Versi della Divina Commedia copiati: Purg. I, 1-39; 40-54; 64-66; 121-136; Inf. XXXIV, 133-139
Versi della Divina Commedia illustrati: Inf. XXXIV, 133-139; Purg. I, 23; 31-36; 49-51; 127-136
Audiodescrizione