Fuga di Clelia dal campo di Porsenna
Giorgio di Giovanni (già attribuito a Domenico Beccafumi)
Il dipinto mostra il momento saliente della fuga di Clelia, una nobile fanciulla romana, che venne data in ostaggio insieme ad altre donne al re Porsenna, dopo la pace da lui conclusa con Roma. A sinistra si trova l’accampamento etrusco dove Clelia era tenuta in ostaggio, mentre sulla destra è una veduta di Roma, città verso cui si dirige l’eroina.
Questa fuggì dal campo etrusco guidando le sue compagne a cavallo attraverso il Tevere e le ricondusse a Roma. Il re ne chiese la restituzione ai Romani, ma poi, ammirato dall’eroismo della fanciulla, l’onorò e la rimandò indietro, concedendole di condurre con lei alcuni ostaggi a sua scelta.
Al di là degli elementi obbligati, l’episodio è costruito con notevole libertà narrativa. Una divergenza fondamentale tra le fonti letterarie riguarda proprio il momento della fuga di Clelia: alcuni autori riferiscono della sua fuga solitaria, a nuoto, o a cavallo, altri invece la descrivono in compagnia. La nostra versione offerta dal nostro dipinto ci indica i testi guida prescelti dall’artista: Plutarco (Vita di Publicola 19 e Mulierum virtutes 250 A-F) e Boccaccio (De mulieribus claris 52).
Attribuita in passato alla scuola di Domenico Beccafumi, l’opera è stata invece più di recente ritenuta di un altro autore, ovvero Giorgio di Giovanni, che la eseguì negli anni Venti del Cinquecento. La forma rettangolare e allungata ci suggerisce che doveva costituire il fronte di un cassone o di una spalliera, e benché impregnato di cultura romana, dichiara l’origine senese del suo autore nelle preziosità che ricordano Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma.
All’influenza di Beccafumi, infatti, nel dipinto si sommano le esperienze derivate dai suoi viaggi a Roma, dove l’artista aveva potuto studiare i maestri della “maniera moderna”.
Un medesimo impianto compositivo si ritrova in un pannello già attribuito a Domenico Beccafumi, che era a Belgrado nella collezione del principe Paolo di Jugoslavia. Si tratta di una versione identica a questa, passata in vendita da Sotheby’s a Londra il 30 giugno 1971, oggi in collezione privata, che di recente è stata avvicinata all’attività ritenuta eseguita da un artista attivo nell’ambito di Bartolomeo di David.
La tradizione iconografica che raffigura del soggetto di Clelia a cavallo è destinata ad avere fortuna nella pittura senese di ambito manieristico: infatti sono numerose le rappresentazioni di questo episodio che ci sono giunte, tra cui quelle sopra citate.
S. Santoro in, Giovanni Agosti, Domenico Beccafumi e il suo tempo, Milano,1990, pp. 352-354; M. Folchi, in P. Torriti, Beccafumi, Milano, 1998, p. 349; M. Caciorgna, in Caciorgna, Guerrini La virtù figurata: eroi ed eroine dell'antichità nell'arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2003, p.118; M. Caciorgna, in Bruno Santi, Claudio Strinati, Siena & Roma: Raffaello, Caravaggio e i protagonisti di un legame antico, Siena, 2005, pp. 192-193; M. Folchi, in P. Torriti, Beccafumi, Milano,1998, p. 349.