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Allegoria di Ercole

Giovanni di Niccolò Luteri, detto Dosso Dossi (Tramuschio, Modena? 1487 circa - Ferrara 1542); Battista di Niccolò Luteri, detto Battista Dossi (Tramuschio, Modena? doc. dal 1517 - Ferrara 1548)

Data
1536 -1540ca
Collezione
Pittura
Collocazione
D9 Dosso Dossi e compagni
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
144,5x142,8 cm
Inventario
Palatina (1912) n.148

Il mito di Ercole è parte integrante della simbologia del potere nelle corti Rinascimentali e in particolare in quella estense, che ebbe due duchi che portarono il nome dell’eroe greco: Ercole I (1431-1505) e Ercole II (1508-1559). Le celebri ‘fatiche’ erano associate alle qualità che deve avere un sovrano: forza e capacità di superare le avversità, tramutandole in occasioni per la prosperità della famiglia regnante e dello Stato. In quest’opera, tuttavia, fra le ultime dipinte da Dosso Dossi (con il possibile intervento del fratello Battista Dossi), il mito è affrontato come una parodia che apre a più vie interpretative. L’eroe, anziché attendere alle celebri fatiche e indossare i classici attributi come la clava o la pelle del leone, è qui rappresentato nel corpo di un anziano, con il capo cinto di rose, impegnato nel gioco delle sfere, un passatempo in uso nella corte estense. Gli siede accanto un uomo dai lineamenti sgraziati, probabilmente un giullare, che lo deride mentre regge una conocchia da filatrice: riferimento alla passione di Ercole per Onfale, regina della Lidia, che secondo la tradizione lo aveva tenuto con sé per un anno, obbligandolo ai lavori femminili. Dopo tante imprese, Ercole cede dunque all’amore, inebetito, fino alla momentanea sottomissione. Sulla destra, una figura femminile dai seni scoperti, con un cesto di frutta in mano e di fianco una maschera, riecheggia il vizio, mentre la ragazza in secondo piano e il cane, simbolo di fedeltà, richiamano alla virtù. Gli oggetti sparsi sul tavolo e sul parapetto (i baccelli, il formaggio con il coltello, i rami di ciliegio) simboleggiano i vari godimenti della vita, creando una complessa allegoria che allude ai pericoli delle tentazioni terrene e dei piaceri erotici che un saggio reggitore delle sorti del proprio Stato deve saper moderare. Le quattro figure maschili nel registro superiore della scena sono state interpretate in diversi modi: da membri della famiglia estense ad artisti e buffoni di corte.

È possibile che Ercole II d’Este, probabile committente dell’opera, si sia compiaciuto di una rappresentazione in toni dissacranti dell’eroe di cui porta il nome, quasi fosse volta ad esprimere, per contrasto, la saggezza e la rettitudine del principe. Alla corte estense infatti erano apprezzate le parodie teatrali di ripresa classica che sottolineassero i vizi dai quali il governante doveva astenersi.

Ercole II avrebbe potuto vedere riflessa nella figura del suo omonimo mitologico, anche la sua capacità di fronteggiare, con sopportazione e pazienza, i tumulti politici e religiosi in seno alla sua famiglia: la consorte Renata di Francia, era promotrice all’interno della corte delle idee calviniste e questo non fece che inasprire i rapporti già complicati che intercorrevano fra il Ducato Estense e la Chiesa Cattolica Romana.

Dobbiamo ricordare come il dominio estense si reggesse su un delicato equilibrio di alleanze feudali con l’impero e il papato, forse simboleggiato dalle sfere con le quali gioca l’eroe dipinto da Dosso: una, tenuta al sicuro con la mano destra, potrebbe esprimere la certezza del potere di Ercole II sul Ducato imperiale di Modena e Reggio grazie all’investitura rinnovata da Carlo V; l’altra sfera, controllata a fatica con l’ausilio di una fune, rappresenterebbe allora il Ducato di Ferrara, al centro di cicliche diatribe con il papato. Se Ercole II aveva ottenuto da Paolo III una momentanea conferma del suo potere dietro al pagamento di ingenti somme nel 1539, alcuni decenni più tardi, alla morte del figlio Alfonso II, Ferrara entrò nei domini della Chiesa con la devoluzione del 1597 (il duca era morto senza eredi legittimi, condizione che aveva permesso a papa Clemente VII di annettere il ducato allo Stato Pontificio). La corte estense si spostò a Modena e molte opere, fra le quali l’Allegoria di Ercole, vennero disperse.

Il dipinto venne acquistato nel 1665 sul mercato antiquario dal Cardinale Leopoldo de Medici, che fece realizzare la cornice a forme zoomorfe e intrecciate che tuttora l’impreziosisce. L’opera venne conservata nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti per poi pervenire alla Galleria degli Uffizi nel 1950.

Bibliografia

V. Farinella, “Allegoria di Ercole”, in Ercole il Fondatore dall'antichità al Rinascimento, catalogo della mostra, (Brescia, Museo di Santa Giulia, 11 febbraio – 12 giugno 2011), a cura di M. B. Castellotti e A. Giuliano, Brescia 2011, p. 108-111; A. Pattanaro, Allegoria di Ercole, in Dosso Dossi. Rinascimenti eccentrici al Castello del Buonconsiglio, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali, 12 luglio – 2 novembre 2014), a cura di V. Farinella, L. Camerlengo, F. De Gramatica, Milano 2014, pp. 224-226; F. De Luca, Allegoria di Ercole, in La città di Ercole. Mitologia e Politica, catalogo della mostra (Firenze, Gallerie degli Uffizi, 20 dicembre 2015 – 31 gennaio 2016), a cura di W.A. Bulst Francesca de Luca, Fabrizio Paolucci, Daniela Parenti, Bologna 2016, pp 140-141; G. Valagussa, Allegoria di Ercole (o Stregoneria?), in Serenissime Trame. Tappeti della Collezione Zalesky e dipinti del Rinascimento, catalogo della mostra (Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’d’Oro, 23 marzo – 23 luglio 2017) a cura di C. Cremonini, M. Tabibnia, G. Valagussa, Venezia 2017, pp. 170-171; F. Navarro, Allegoria di Ercole, in Leopoldo de' Medici principe dei collezionisti, catalogo della mostra (Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti – Tesoro dei Granduchi, 7 novembre 2017 – 28 gennaio 2018) a cura di V. Conticelli, R. Gennaioli, M. Sframeli, Livorno 2017, pp. 440-441.

Testo di
Guicciardo Sassoli de' Bianchi Strozzi
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