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Apollo e Dafne

Karel van Mander (Meulebeke 1548 - Amsterdam 1606)

Data
1585c.
Tecnica
Penna e inchiostro, inchiostro diluito, pietra nera su carta
Dimensioni
163 x 221 mm
Inventario
8601 S

Il disegno fu realizzato dal pittore e scrittore fiammingo Karel van Mander presumibilmente attorno al 1585 assieme ad un altro disegno, 'Pan e Siringa', conservato anch’esso presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (inv. 8602 S). L’influenza del manierismo italiano che l’artista aveva conosciuto durante il soggiorno romano del 1574/1577 e che contribuisce a diffondere in Olanda attraverso l’esempio dell’amico Bartholomäus Spranger, è evidente. La si ritrova sia in alcune scelte compositive – l’inquadramento dei personaggi ai lati della scena, la parte centrale arretrata, le vedute di paesaggio sulla destra che attraggono l’occhio – ma anche nell’eleganza dei corpi artificiosamente allungati. L’artista rimane fedele all’episodio di Apollo e Dafne narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 452-567) di cui lui stesso pubblica un commento all’interno del suo Shilderboeck, una raccolta di biografie di artisti che gli vale l’appellativo di Vasari olandese. L’episodio è narrato in una sequenza tripartita: sulla sinistra l’antefatto con Dafne spensierata assieme alle sorelle; al centro l’episodio culmine con Apollo che ghermisce la ninfa attraendola a sé per baciarla, mentre la stessa, per rifuggirlo, si trasforma in albero di alloro, mutando le proprie braccia in rami e i propri piedi in radici; sulla destra invece il padre di Dafne, Peneo, insieme ad altre divinità fluviali, che assiste alla metamorfosi della figlia a cui lui stesso acconsente per salvarla dall’ardore amoroso di Apollo. Nonostante sia incerta la genesi dei due disegni di van Mander (solitamente concepiti come studi preparatori per dipinti,  stampe o arazzi), molto probabilmente appartenevano ad un ciclo più ampio comprendente altri episodi delle Metamorfosi ovidiane la cui fama proprio l’artista contribuisce a diffondere in Olanda alla fine del Cinquecento.

Testo di
Chiara Toti
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