Arte Romana
Metà del II secolo d.C.
Marmo greco
Palazzo Pitti, Tesoro dei Granduchi
Inv. 1914 n. 1059
La statuetta rappresenta un bambino piangente incatenato al piede e alla vita. L’opera, già presente nell’inventario del 1588 di Villa Medici a Roma dove è ricordata come uno “stiavetto”, fu trasferita entro il 1625 nella sala terrena della Villa del Poggio Imperiale a Firenze, dove rimase sino alla metà dell’Ottocento, quando fece il suo ingresso a Palazzo Pitti.
Il fanciullino è completamente nudo; solo il braccio sinistro è avvolto da un mantello i cui lembi ricadono su un pilastrino, decorato da una ghirlanda, da un paio di orecchie e da un bucranio.
Nella singolare immagine si può riconoscere la complessa allegoria di Amore che, incatenato e privato delle ali, si asciuga le lacrime con la mano destra. La punizione a cui fu soggetto il piccolo dio è nota da alcuni frammenti dell’Antologia Palatina, una raccolta di epigrammi greci del X secolo d.C., nei quali si racconta che la dea della vendetta Nemesi punì Amore, causa dei tanti tormenti degli amanti. L’episodio è noto, inoltre, da altre opere antiche che lo rappresentano con le mani legate dietro la schiena o addirittura fustigato, un tema iconografico che, successivamente, ebbe successo in età rinascimentale.
L’opera scultorea rappresenta una replica romana della metà del II secolo d.C. di un originale greco di età ellenistica (I secolo I a.C.). Diverse sono state le interpretazioni in merito al luogo dove la statuetta di Amore dovesse essere esposta in età antica: se infatti la presenza della ghirlanda e del bucranio sul pilastrino suggerirebbero la collocazione dell’opera in un contesto sacrale, i nastri di cuoio che stringono le ciocche mosse del bambino - alla stregua delle cuffie indossate dagli atleti greci - sembrerebbero indicare che almeno l’archetipo fosse esposto in un ginnasio.
La figura calza un paio di krepides o crepidae, un sandalo indossato in età greca e romana caratterizzato da una serie di corregge in cuoio che, variamente intrecciate, assicuravano il piede alla suola. Talvolta, le krepides, come nel caso della statuetta di Palazzo Pitti, presentavano una linguetta che correva lungo il collo del piede e che aveva la duplice funzione di essere un elemento ornamentale della calzatura e di proteggere il piede dagli sfregamenti contro i lacci. Nella tarda età repubblicana, Cicerone criticò aspramente l’uso delle krepides che, essendo una moda introdotta a Roma su imitazione dei costumi greci, divenne il simbolo di una vita lasciva.