Tre arazzi per un futuro museo
La Sala Bianca di Palazzo Pitti si offre quale ideale quinta per la mostra Tre arazzi per un futuro museo. Sono esposti tre arazzi, veramente magnifici per qualità esecutiva e per dimensioni, rappresentativi delle manifatture medicea, fiamminga di Bruxelles e francese dei Gobelins, ovvero dei tre nuclei portanti della collezione fiorentina di arazzi appartenente alle Gallerie degli Uffizi.
La mostra è pensata quale spettacolare anteprima del Museo degli Arazzi, che sarà aperto nel prossimo futuro nel Rondò di destra di Palazzo Pitti, e dove saranno esposti, a rotazione per esigenze conservative, i 950 esemplari, fra arazzi, portiere e sovraporte, dei quali 788 manifattura medicea, i restanti acquistati o ricevuti in dono dai Medici in varie occasioni, costituenti la collezione delle Gallerie degli Uffizi.
L’esposizione si apre con la Caccia al cinghiale con l’Archibugio, dalla serie delle Cacce commissionate dal duca Cosimo I de’ Medici per la Villa di Poggio a Caiano, la splendida dimora campestre fatta costruire da Lorenzo il Magnifico su progetto di Giuliano da Sangallo sul finire del XV secolo.
Tessuta tra il 1566 e 1577 dagli arazzieri fiorentini Giovanni Sconditi e Benedetto Squilli su cartoni del pittore di Bruges Giovanni Stradano, la serie, celebre già nel Cinquecento, grazie alle stampe incise dal 1570, si componeva in origine di ventotto arazzi, dei quali nove sono ancora oggi nella collezione degli Uffizi.
Nell’arazzo sono raffigurate in sequenza scene di caccia al cinghiale con il fucile a miccia o archibugio, dal caricamento dell’arma sul proscenio al momento prima dello sparo sullo sfondo. Il muso della preda è seminascosto fra gli alberi sul fondo della composizione, in alto a destra. La bordura richiama nell’iconografia quanto rappresentato nella parte centrale e riporta infatti, al centro del bordo superiore e inferiore, la testa del cinghiale.
Il secondo arazzo, di manifattura fiamminga, raffigura Adamo ed Eva rimproverati da Dio dopo il peccato e appartiene alla serie delle Storie della Creazione, composta da sette esemplari, acquistati dal duca Cosimo I de’ Medici e sua moglie Eleonora di Toledo nel 1551 dai Van der Walle, noti mercanti di Anversa. Gli autori della tessitura, Jan van Tieghem, suo cognato Frans Ghietels e il mercante-arazziere Jan de Kempeneer, erano tra i più celebri del tempo a Bruxelles. Pieter Coecke van Aelst, che ideò i disegni trasferiti in cartoni dalla sua bottega, appartenne alla generazione di pittori fiamminghi influenzati dal Rinascimento italiano. Nei personaggi in primo piano, che si stagliano su un ampio paesaggio, sembra riprendere l’impianto creato nelle volte delle Logge Vaticane, affrescate da Raffaello e suoi collaboratori nel 1519.
In questo arazzo vengono rappresentati, secondo la tradizione fiamminga, due episodi in sequenza immersi in una fitta vegetazione: il momento del peccato sul proscenio e quello successivo, con la vergogna della propria nudità, sullo sfondo. Nei nudi classici e scultorei dei protagonisti in primo piano e nell’orizzonte luminoso e basso si avverte invece l’influsso della maniera italiana. La figura di Dio Padre ricorda quelle affrescate nella prima volta delle Logge Vaticane e la posa rannicchiata di Eva è simile a quella nella Tentazione di Adamo ed Eva della Cappella Sistina di Michelangelo. Le grottesche alla fiamminga nelle bordure rappresentano uno dei primi esempi di questo genere, di cui lo stesso Coecke fu tra i creatori.
Il terzo arazzo, raffigurante L’Acqua, fa parte della prima edizione dei Quattro Elementi, con cui si inaugurò l’attività della Manifattura reale dei Gobelins, creata nel 1662 da Jean-Baptiste Colbert, che ne aveva affidato la direzione artistica a Charles Le Brun. La serie, già in lavorazione dal 1664, fu donata nell’agosto 1669 da Luigi XIV al futuro granduca di Toscana Cosimo III, in visita a Parigi.
L’elemento dell’Acqua è simboleggiato dalla coppia di Nettuno e Anfitrite, che guidano un carro trainato da cavalli marini, affiancati dai Tritoni. Anfitrite tiene in mano uno scudo con le cifre regali e il sole, emblema di Luigi XIV. Un riferimento a questa divinità sono anche i due delfini che sostengono le armi della corona francese al centro del fregio superiore. La prua della nave da guerra nella scena e i due vascelli, a metà delle bordure laterali, decorate da conchiglie, fasci di remi, arpioni, tridenti, ecc., alludono alle aspirazioni di dominio sui mari della monarchia francese.
La mostra, promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi e Firenze Musei, è curata da Lucia Meoni e coordinata da Alessandra Griffo.