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Conferenze | 22/11/2017

Presentazione del libro di Fabio Isman "L'Italia dell'arte venduta"

Presentazione del libro di Fabio Isman "L'Italia dell'arte venduta"

23 novembre

Le Gallerie degli Uffizi sono liete di ospitare la presentazione dell'ultimo libro di Fabio Isman, giornalista, scrittore e per molti anni inviato del «Messaggero». Dopo essersi occupato per decenni di politica, scandali politici, processi e terrorismo, ed aver seguito importanti eventi in Italia e all'estero, da trenta anni scrive soprattutto di arte e cultura, anche al di fuori del nostro Paese, argomenti ai quali ha dedicato numerosi libri e pubblicazioni.

Nel suo libro Fabio Isman affronta la peculiarità tutta italiana di disfarsi nel tempo del proprio patrimonio culturale che il resto del mondo ci invidia. Perché al di là delle spoliazioni dovute ai conflitti e agli scavi archeologici clandestini, nei secoli molto ha perso il Bel Paese per colpe proprie. Una condanna all'Italia “generosa che non è una novità.

Il collezionismo d’arte è un primato italiano. Ma tantissimi fra i gioielli più pregiati delle raccolte create nella penisola durante i secoli li possiamo ormai ammirare soltanto fuori dai nostri confini, o quando vengono prestati per qualche mostra. Una diaspora terribile, mai raccontata per intero.

Quadri, statue e sculture, libri e intere biblioteche, codici miniati, porcellane, mobili, manufatti pregiati: l’Italia ha sempre venduto la propria arte. Perché mutano i gusti, o perché i patrimoni vanno in rovina, e a chi per secoli ha commissionato o posseduto i capolavori spesso non resta che il blasone. È una storia che vale la pena di narrare, al di là delle catastrofi causate dai conflitti, sempre irrispettosi dell’arte, o dei criminali scavi archeologici che alimentano i lucrosi mercati internazionali. Questa grande fuga ha condotto infinite opere di valore fuori dal nostro Paese: a poco vale consolarsi con il tantissimo che ci è rimasto, se non si riflette sul moltissimo che è sparito.

Tutto ciò è stato possibile a causa dell’ignoranza, del pressapochismo e della fragilità culturale di un Paese che non è mai stato consapevole del proprio patrimonio.

 

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