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Ritratti di Agnolo e Maddalena Doni (recto); Il Diluvio e Deucalione e Pirra (verso)

Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520) e Maestro di Serumido

Data
1504-1507 c.
Collezione
Pittura
Collocazione
A38. Raffaello e Michelangelo
Tecnica
Olio su tavola di tiglio
Dimensioni
63,5 x 45 cm
Inventario
1912 nn. 61, 59

I due dipinti ritraggono rispettivamente, Agnolo Doni (1474-1539), ricco mercante di stoffe ed esponente di spicco dell’alta borghesia fiorentina, e la moglie, l’aristocratica Maddalena Strozzi (1489-1540), sposata il 31 gennaio 1504. In base a quanto testimoniato da Giorgio Vasari (Le Vite, Edizione Giuntina 1568) le opere vennero commissionate a Raffaello dallo stesso Agnolo: “Dimorando adunque in Fiorenza, Agnolo Doni, il quale quanto era assegnato nell’altre cose, tanto spendeva volentieri - ma con più risparmio che poteva - nelle cose di pittura e di scultura, delle quali si dilettava molto, gli [a Raffaello] fece fare il ritratto di sé e della sua donna in quella maniera che si veggiono appresso Giovan Battista suo figliuolo nella casa che detto Agnolo edificò bella e comodissima in Firenze nel corso de’ Tintori, appresso al Canto degl’Alberti”. Sempre Agnolo commissionò a Michelangelo Buonarroti il tondo con la Sacra famiglia comunemente noto, appunto, come Tondo Doni. I due ritratti furono dipinti en pendant e formavano originariamente un dittico tenuto insieme da una “incorniciatura a sportello” che permetteva la visione delle scene raffigurate sui rispettivi versi. Si tratta di due episodi, uno consequenziale all’altro, tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: il Diluvio degli Dei, sul verso del ritratto di Agnolo, e la seguente rinascita dell’umanità grazie a Deucalione e Pirra, sul verso di quello di Maddalena. Queste storie dipinte a monocromo spetterebbero ad un collaboratore del giovane Raffaello, la cui identità rimane anonima, ma riferibile al cosiddetto Maestro di Serumido, personalità individuata da Federico Zeri che gli assegnò un gruppo di opere stilisticamente affini. La scelta della pittura monocroma riflette il gusto per i modelli fiamminghi largamente diffuso nella Firenze tra Quattro e Cinquecento, dove gli sportelli dei dittici e dei trittici recano tradizionalmente una decorazione monocroma sul verso. Le due scene si devono interpretare come un’allegoria beneaugurante per la fertilità dei coniugi. Ovidio racconta come gli dei avessero permesso a Deucalione e Pirra, due anziani coniugi senza figli, di salvarsi dal diluvio e di far rinascere l’umanità dopo di esso. Su ordine di Zeus i due gettarono delle pietre dietro la loro schiena, e queste, toccato terra, si mutarono in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra. Tali riferimenti rafforzano l’ipotesi, avanzata dalla maggior parte della critica, di associare la commissione dei ritratti al matrimonio della giovane coppia. L’esecuzione sarebbe quindi da collocarsi tra il 1504 e il 1506, anno in cui l’arredo della camera nuziale dei Doni era ormai completato ad opera di Francesco del Tasso e Morto da Feltre.

Raffaello eseguì prima il ritratto di Maddalena: analisi radiografiche hanno rivelato un ripensamento nello sfondo del suo ritratto, inizialmente concepito in un interno affacciato sul paesaggio attraverso un’apertura laterale, mentre il ritratto di Agnolo fu direttamente inserito nel paesaggio, in continuità visiva con quello della sposa. Questi due capolavori sono una tappa fondamentale non solo nel percorso di Raffaello, ma anche nella tradizione del ritratto fiorentino che, sviluppando soluzioni formulate in precedenza da Verrocchio nella Dama col mazzolino e da Leonardo nella Gioconda giungono qui ad una nuova naturalezza nella presentazione a mezzo busto. Il rapporto con la Gioconda è così stretto da far pensare che Raffaello abbia potuto studiarla a Firenze almeno alla fine del 1504. Dal modello leonardesco Raffaello si distaccò prediligendo una solida e chiara impostazione spaziale, abbassando l’orizzonte dietro le figure e facendole balzare in avanti in primo piano, secondo modelli desunti dal suo maestro, Pietro Perugino, e dai fiamminghi di fine Quattrocento, come Hans Memling. Il fascino dello sfumato presente nella Gioconda viene dunque sostituito da un’assoluta limpidezza di forme e colori, e da un linguaggio descrittivo che sosta sulla resa dettagliata dei volti, delle stoffe e dei gioielli. Particolarmente significativo è il pendente di Maddalena formato da una montatura in oro a forma di unicorno, da tre pietre preziose (rubino, smeraldo e zaffiro) e da una perla, elementi allusivi alla purezza virginale e alla fedeltà coniugale.

All’epoca di Vasari, I ritratti, erano ancora conservati nella casa di famiglia di corso Tintori, dove vennero visti da Raffaello Borghini (1584) e da Giovanni Cinelli (1667); a partire da questa data le notizie circa le loro vicende si fanno complesse: sicuramente restarono di proprietà della famiglia Doni se nel 1826 il Granduca di Toscana Leopoldo II di Asburgo - Lorena poté comprarli dagli eredi ed arricchire così la quadreria che stava componendo nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Dal 5 giugno 2018 i coniugi Doni sono esposti agli Uffizi accanto al Tondo Doni di Michelangelo, collocati su nuovi supporti che permettono di ammirare le storie sul retro.

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