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Rinascenza

  • Rinascenza

    Itinerario di emozioni e sentimenti attraverso la statuaria antica delle Gallerie degli Uffizi

    Rinascenza
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    Intro /1

    I sentimenti, le relazioni e le passioni hanno ispirato l’arte di ogni tempo e luogo e da sempre l'uomo ha cercato di esprimere e raffigurare questi affetti con linguaggi artistici estremamente diversi fra di loro.

    Non fa eccezione l’arte antica che, in un primo momento, affidava alla discrezione dei gesti e ai dettagli dell’abbigliamento o della capigliatura allusioni puntuali alla natura etica e morale del personaggio raffigurato. Occorreranno dei secoli perché scultori o pittori come Lisippo o Apelle riescano a mostrare o ad adattare la mimica facciale agli stati d’animo dell’uomo. Dall’umanità atarattica (dal greco ἀτάρακτος, privo di agitazione, impassibile) dei fregi fidiaci del Partenone si giungerà al fregio con la Gigantomachia del grande altare di Pergamo dove il patetismo teatrale dei personaggi coinvolti, siano essi demoni o dei, è portato all’estrema esasperazione.

    Il linguaggio formale dell’arte antica, impostato su criteri di simmetria, chiarezza compositiva equilibrio e nitidezza dei tratti, ha un potere quasi ipnotico agli occhi dell’uomo moderno ed è capace di indurre a un sentimento di pacatezza e quiete di cui oggi più che mai si sente il bisogno.

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    Intro /2

    Reduci da un lungo periodo in cui i nostri affetti sono stati messi così duramente alla prova, é forse motivo d'ispirazione ritrovare gli stessi sentimenti eternati nei marmi greci e romani.

    La selezione che proponiamo vuole proprio essere una sorta di antologia di queste passioni, declinata seguendo una galleria di opere che, spesso osservate solo di sfuggita dal visitatore più frettoloso, mostrano nei volti e nei gesti le emozioni e i sentimenti più diversi: paura, tristezza, rabbia, solitudine, gioia, amore, amicizia, fratellanza. Per questo motivo abbiamo preferito che a parlare fosse il marmo, evitando qualsiasi commento antiquario, ad eccezione di un passo tratto da fonti antiche. In questo modo è solo l’Antichità a dialogare con noi, attraverso le sue parole e le sue immagini.

    Il tenero abbraccio di Amore e Psiche non può non riportarci alla mente il distacco a cui siamo stati costretti nei mesi trascorsi. Ed è una scultura come Pothos (struggimento amoroso) a esemplificare nel modo più compiuto ed esplicito questo sentimento, a cui i Greci non soltanto diedero addirittura un nome specifico, ma giunsero a personificarlo con una divinità. La vivace scena di scuola raffigurata sul sarcofago cosiddetto “del generale” ci ricorda come già nel mondo antico l’educazione non potesse considerarsi compiuta senza la relazione e il confronto tra fanciulli e tra questi e il loro educatore. L'atteggiamento tenuto da tutti noi nei mesi scorsi può sintetizzarsi nel volto dello Pseudo Seneca, un ritratto segnato dal dolore e dalla crudezza degli eventi, ma, nonostante tutto, con lo sguardo rivolto verso l’alto, a cercare nel futuro la promessa di una serenità imperitura. E’ proprio a questa nota di gioia che vogliamo alludere con la scelta del gruppo Invito alla danza, metafora dell'augurio che le Gallerie degli Uffizi rivolgono a tutti a ritrovare la leggerezza e la spensieratezza che solo la musica e il contatto umano possono dare.

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    Venere e Amore

    130-150 d.C.
    Inv. 1914, n. 153

     

    Il gruppo aveva una destinazione funeraria come suggerisce il particolare della fiaccola rovesciata impugnata dal piccolo Cupido, figlio di Venere secondo la tradizione più diffusa in epoca classica.

    Ἔρος αὖτέ με κυανέοισιν ὑπὸ
    βλεφάροις τακέρ᾽ ὄμμασι δερκόμενος
    κηλήμασι παντοδαποῖς ἐς ἄπει-
    ρα δίκτυα Κύπριδος ἐσβάλλει·
    ἦ μὰν τρομέω νιν ἐπερχόμενον…

    (Ibico, Fr. 287 P, vv. 1-5)

    Amore un’altra volta, di sotto le sue scure palpebre mi fissa con sguardo seducente, con ogni sorta d’incanti mi getta nelle reti indissolubili di Cipride [Venere] e io davvero ho un tremito al suo assalto…

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    Putto incatenato

    Metà del II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 1059

     

    Un altro aspetto del rapporto tra Eros e Afrodite alludeva invece alla natura irrequieta del figlio della dea. L’amore è, infatti, un sentimento così forte e imprevedibile che sfugge al controllo della sua stessa madre che, per renderlo più mansueto e obbediente, è costretta a punirlo incatenandolo.

    Et vocat confestim puerum suum pinnatum illum et satis temerarium, qui malis suis moribus contempta disciplina publica, flammis et sagittis armatus, per alienas domos nocte discurrens et omnium matrimonia corrumpens impune committit tanta flagitia et nihil prorsus boni facit.

    (Apuleio, Metamorfosi, IV, 30)

    E [Venere] chiama subito il suo alato e alquanto sconsiderato figlio che, disprezzando coi suoi cattivi le comuni regole di condotta, armato di fiaccole e saette, correndo di notte qua e là per le case altrui, corrompendo i matrimoni di tutti, compie impunemente tante azioni vergognose e non fa proprio niente di buono. 

    Putto incatenato
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
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    Pothos

    I secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 261 ​​​​​​

     

    Nella tradizione lo struggimento amoroso per la lontananza della persona amata aveva assunto le forme che seppe dargli Scopa, uno dei massimi artisti greci della seconda metà del IV secolo a.C.

    μετὰ δὲ τοῦ Διονύσου τὸ ἱερόν ἐστιν Ἀφροδίτης ναός, ἄγαλμα δὲ ἐλέφαντος Ἀφροδίτη πεποιημένον Πρᾶξις ἐπίκλησιν. τοῦτό ἐστιν ἀρχαιότατον ἐν τῷ ναῷ· Πειθὼ δὲ καὶ ἑτέρα θεός, ἣν Παρήγορον ὀνομάζουσιν, ἔργα Πραξιτέλους· Σκόπα δὲ Ἔρως καὶ Ἵμερος καὶ Πόθος, εἰ δὴ διάφορά ἐστι κατὰ ταὐτὸ τοῖς ὀνόμασι καὶ τὰ ἔργα σφίσι. πλησίον δὲ τοῦ τῆς Ἀφροδίτης ναοῦ Τύχης ἐστὶν ἱερόν, Πραξιτέλους καὶ αὕτη τέχνη· καὶ ἐν τῷ ναῷ τῷ πλησίον Μούσας καὶ χαλκοῦν Δία ἐποίησε Λύσιππος

    (Pausania, Periegesi della Grecia, I, 43, 6)

    Dopo il santuario di Dioniso c'è un tempio di Afrodite e in esso una statua in avorio di Afrodite detta Prassi. Questa è la statua più antica che si trova nel tempio: vi si trovano inoltre una Peitho (Persuasione) e un'altra dea che chiamano Paregora (Consolazione), opere di Prassitele. Sono invece di Scopa un Eros, un Himeros (desiderio amoroso) e un Pothos (nostalgia della persona amata lontana), se davvero, come diversi sono i loro nomi, così diverse sono le loro funzioni. 

    Pothos
    Architettura | Gli Uffizi
    Scheda opera
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    Venere e Marte

    II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 4f

     

    Le immagini di queste due divinità erano spesso utilizzate come supporto di ritratti di privati che implicitamente paragonavano il loro rapporto a quello dei due celebri amanti.

    αὐτὰρ ὁ φορμίζων ἀνεβάλλετο καλὸν ἀείδειν
    ἀμφ' Ἄρεος φιλότητος ἐϋστεφάνου τ' Ἀφροδίτης,
    ὡς τὰ πρῶτ' ἐμίγησαν ἐν Ἡφαίστοιο δόμοισι
    λάθρῃ· πολλὰ δὲ δῶκε, λέχος δ' ᾔσχυνε καὶ εὐνὴν
    Ἡφαίστοιο ἄνακτος.

    (Odissea, VIII, 266-270)

    egli suonando la cetra iniziò a cantare con arte
    l'amore di Ares e di Afrodite bella corona,
    quando la prima volta s’unirono nella casa di Efesto
    in segreto, molti doni le diede e il letto disonorò
    del sire Efesto.

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    Bacco e Satiro

    130-150 d.C.
    Inv. 1914, n. 246

     

    Il gruppo raffigura uno dei sodalizi più forti nel corteggio bacchico, quello fra Dioniso e i Satiri, divinità minori simbolo di una sensualità così sfrenata da essere avvicinati agli animali, come indica il particolare delle orecchie ferine


    μάκαρ, ὅστις εὐδαίμων
    τελετὰς θεῶν εἰδὼς
    βιοτὰν ἁγιστεύει καὶ
    θιασεύεται ψυχὰν
    ἐν ὄρεσσι βακχεύ
    ων ὁσίοις καθαρμοῖσιν,
    τά τε ματρὸς μεγάλας ὄρ-
    για Κυβέλας θεμιτεύων,
    ἀνὰ θύρσον τε τινάσσων,
    κισσῶι τε στεφανωθεὶς
    Διόνυσον θεραπεύει.

    (Euripide, Le Baccanti, vv. 72-82)

    Beato chi riceve la grazia
    di entrare nei divini misteri,
    santifica la vita e
    consacra l'anima nel tiaso,
    e celebra sui monti Bacco
    e i riti della
    gran madre Cibele;
    scuotendo alto il tirso
    e incoronato d'edera
    venera Dioniso.

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    Amore e Psiche

    150-200 d-C.
    Inv. 1914, n. 339

     

    Nella mitologia greco-romana i due fanciulli erano simbolo per antonomasia del legame amoroso, reso manifesto dall’abbraccio e dal bacio in cui, nella scultura, sono avvinti.

    "Sume", inquit, "Psyche, et immortalis esto, nec umquam digredietur a tuo nexu Cupido, sed istae vobis erunt perpetuae nuptiae."

    (Apuleio, Metamorfosi, VI, 23)

    Bevi Psiche, dice, e sii immortale, e mai si separi dal tuo laccio Cupido, ma queste nozze siano per voi eterne.

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    Altare di Theopropo

    II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 989

     

    In questo caso Amore e Psiche diventano metafora funeraria allusiva della separazione dell’anima dal corpo.

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    Sarcofago con ratto di Persefone

    160-180 d.C.
    Inv. 1914, n. 86

     

    Fra i miti più crudeli della tradizione classica va senz’altro incluso quello della giovane Persefone, strappata alla madre da Ade, impietoso dio dell’oltretomba.

    Hanc videt et visam patruus velociter aufert        
    regnaque caeruleis in sua portat equis.
    illa quidem clamabat 'io, carissima mater,
    auferor!', ipsa suos abscideratque sinus:
    panditur interea Diti via, namque diurnum
    lumen inadsueti vix patiuntur equi. 

    (Ovidio, Fasti, IV, 445-450)

    Suo zio la vede e, come la vede, velocemente la rapisce
    e con i cavalli dallo scuro mantello la porta nel suo regno.
    Ella gridava: "Ahimè, sono rapita, carissima madre!"
    e lei stessa si strappa la tunica dal seno.
    Intanto si apriva la via a Dite, poiché i suoi cavalli,
    non abituati alla luce del giorno, la tollerano a stento.

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    Sarcofago con scena di ratto delle Leucippidi

    II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 104

     

    Ilaira e Febe, figlie del re della Messenia Leucippo, furono rapite dai Dioscuri e sposate. La scelta di questo mito per decorare il sarcofago si spiega con la morte improvvisa della giovane sposa ricordata nell’epigrafe

    Abstulerant raptas Phoebe Phoebesque sororem Tyndaridae fratres, hic eques, ille pugil. 

    (Ovidio, Fasti, V, 699-700)

    Rapirono e portarono via Febe e sua sorella i fratelli figli di Tindaro, uno cavaliere e l'altro pugile [Castore e Polluce].

    (Ovidio, Fasti, V, 699-700)

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    Aiace e Achille

    I secolo d.C.
    Loggia dei Lanzi

     

    I due massimi eroi dell’esercito greco coinvolti nel decennale assedio di Troia erano legati da un profondo rispetto reciproco, oltre che da una stretta amicizia, dimostrata da Aiace al momento della morte di Achille. Aiace non esitò infatti a spingersi nelle linee nemiche per recuperare il corpo esanime del Pelide.

    Αἴας μὲν γὰρ ἄειρε καὶ ἔκφερε δηϊοτῆτος ἥρω Πηλείδην, οὐδ ̓ ἤθελε δῖος Ὀδυσσεύς

    (Piccola Iliade, frammento 2 B)

    Aiace prese e portò via dalla mischia l'eroe Pelide [Achille], invece non volle il nobile Odisseo

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    Tusnelda

    Inizi del II secolo d.C.
    Loggia dei Lanzi

     

    La statua esemplifica al meglio uno tipi più amati nell’arte romana per raffigurare la donna vinta e prigioniera. Nella tradizione rinascimentale in questa figura si riconosceva Tusnelda, l’eroica moglie di Arminio, pricipe germanico.

    Inerant feminae nobiles, inter quas uxor Arminii eademque filia Segestis, mariti magis quam parentis animo, neque victa in lacrimas neque voce supplex; compressis intra sinum manibus gravidum uterum intuens.

    (Tacito, Annales, I, 57)

    In mezzo a loro c'erano donne nobili, e fra esse la figlia di Segeste e moglie di Arminio, dal temperamento più simile al marito che al padre: non si abbandonò a lacrime e a parole di supplica ma stette con le mani serrate, sotto le pieghe della veste, chino lo sguardo sul ventre gravido.

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    Niobidi

    II secolo d.C.
    Sala della Niobe

     

    Il mito di Niobe, uno dei più cruenti della tradizione classica, rappresenta forse il più celebre esempio di hybris punita. Con questo termine si alludeva alla tracotanza umana che giungeva a negare persino la superiorità degli dei incorrendo, per questo, in punizioni esemplari, come quella impartita da Latona che, offesa dalle seguenti parole di Niobe, incaricò i suoi due figli, Apollo e Artemide, di uccidere la sua numerosa prole.

  • 15/24
    Niobidi

    Ecce venit comitum Niobe celeberrima turba
    vestibus intexto Phrygiis spectabilis auro
    et, quantum ira sinit, formosa; movensque decoro
    cum capite inmissos umerum per utrumque capillos
    constitit, utque oculos circumtulit alta superbos,
    quis furor auditos' inquit 'praeponere visis
    caelestes? aut cur colitur Latona per aras,
    numen adhuc sine ture meum est? mihi Tantalus auctor,
    cui licuit soli superorum tangere mensas;
    Pleiadum soror est genetrix mea; maximus Atlas
    est avus, aetherium qui fert cervicibus axem;
    Iuppiter alter avus; socero quoque glorior illo.
    me gentes metuunt Phrygiae, me regia Cadmi
    sub domina est, fidibusque mei commissa mariti
    moenia cum populis a meque viroque reguntur.
    in quamcumque domus adverti lumina partem,
    inmensae spectantur opes; accedit eodem
    digna dea facies; huc natas adice septem
    et totidem iuvenes et mox generosque nurusque!
    quaerite nunc, habeat quam nostra superbia causam,
    nescio quoque audete satam Titanida Coeo
    Latonam praeferre mihi…

    (Ovidio, Metamorfosi, VI, vv. 165-186)

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    Niobidi

    Ecco che viene con gran corteggio di compagne Niobe,
    splendida nelle vesti frigie intessute d’oro
    e, per quanto lo permette l’ira, bella, che, muovendo
    con la bella testa i capelli cadenti sulle spalle
    si fermò; e dopo avere, baldanzosa, volto in giro gli occhi superbi
    disse: "Quale pazzia è quella di anteporre gli dei
    di cui avete solo sentito parlare a quelli che vedete? Perché mai si venera Latona sugli altari
    e la mia divinità è ancora senza incenso? Sono figlia di Tantalo,
    solo al quale fu concesso di sedere alla mensa degli dei;
    una sorella delle Pleiadi è mia madre; il grandissimo Atlante,
    che con il capo regge la volta celeste, è mio antenato;
    Giove è l’altro avo; mi glorio di quello anche come suocero.
    Le popolazioni della Frigia mi temono; della reggia di Cadmo
    sono signora e le mura, innalzate al suono della cetra di mio marito,
    insieme agli abitanti, sono rette da me e dal mio consorte.
    In qualunque parte della casa volgo lo sguardo
    si ammirano immense ricchezze; a questo va sommata
    la mia bellezza, degna di una dea; e a ciò si aggiungono sette figlie
    e altrettanti figli e presto tanti generi e tante nuore.
    Chiedetevi ora quale giustificazione abbia la mia superbia,
    non permettetevi di preferire a me Latona, nata dal Titano Ceo…

    (Ovidio, Metamorfosi, VI, vv. 165-186)

  • 17/24
    Laocoonte

    1520 ca.

     

    Il gruppo riprende da vicino, senza essere una copia puntuale, la celeberrima scultura rinvenuta a Roma nel 1506, riuscendo comunque a mantenere intatto il pathos drammatico dell’originale.

    Illi agmine certo
    Laocoonta petunt; et primum parva duorum
    corpora natorum serpens amplexus uterque
    implicat et miseros morsu depascitur artus;
    post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
    corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
    bis medium amplexi, bis collo squamea circum
    terga dati superant capite et ceruicibus altis.
    ille simul manibus tendit diuellere nodos
    perfusus sanie uittas atroque ueneno,
    clamores simul horrendos ad sidera tollit:
    qualis mugitus, fugit cum saucius aram
    taurus et incertam excussit ceruice securim.

    (Virgilio, Eneide, 2, 212-224)

    Quelli [i serpenti], con sicurezza,
    si dirigono verso Laocoonte. E dapprima, avvinghiati
    con le spire i suoi due figli piccoli,
    ne straziano le membra a morsi. Poi afferrano
    Laocoonte che armato correva in loro aiuto
    Avvolgendolo con le enormi spire: già due volte
    in un nodo squamoso gli hanno circondato la vita
    e il collo: le due teste stanno alte sul suo capo.
    Sparse le sacre bende di bava e di veleno
    Laocoonte si sforza di sciogliere quei nodi
    con le mani ed intanto leva sino alle stelle
    grida orrende, muggiti simili a quelli d'un toro
    che riesca a fuggire dall'altare, scuotendo
    via dal capo la scure che l'ha solo ferito.

  • 18/24
    Alessandro morente

    Metà II secolo a.C.
    Inv. 1914, n. 338

     

    In questa magnifica testa troviamo espressa nelle forme più teatrali e potenti i sentimenti di sofferenza e angoscia. Sono questi i motivi che spinsero in epoca moderna a riconoscervi l’effigie di un uomo agonizzante.

    et il grande scoltore Lisippo, il quale fra gli altri scolpì, maggiore assai del naturale, Alessandro Macedone ferito, di cui ora si trovano solamente alcune reliquie (…). In questa statua egli espresse con singolar magistero la gran concavità degli occhi, la quadratura del naso e di tutti gli altri membri con somma armonia e consonanza tra di loro, le quali quadrature hanno poi imitato i moderni Polidoro, Michelangelo e Raffaello, per abbellire la nostra maniera moderna al pari della antica. E ciò con grandissimo giudizio, poscia che (…) la testa particolarmente è stimata dagl’intendenti dell’arte la più rara et artificiosa che ora si trovi al mondo.

    (G. P. Lomazzo, Idea del Tempio della pittura, I, 1590, 4, 15)

  • 19/24
    Pseudo Seneca

    I secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 58

     

    Purtroppo il nome di questo personaggio non ci è noto, ma la mimica esasperata del volto, segnato da profonde rughe e dall’impietoso avanzare dell’età, ne hanno fatto per secoli l’emblema dell’intellettuale impegnato nella dolorosa ricerca della verità.

    τούτων γὰρ ἀπλανὴς θεωρία πᾶσαν αἵρεσιν 
    καὶ φυγὴν ἐπανάγειν οἶδεν ἐπὶ τὴν τοῦ σώματος 
    ὑγίειαν καὶ τὴν τῆς ψυχῆς ἀταραξίαν, 
    ἐπεὶ τοῦτο τοῦ μακαρίως ζῆν ἐστι τέλος.
    τούτου γὰρ χάριν πάντα πράττομεν, 
    ὅπως μήτε ἀλγῶμεν μήτε ταρβῶμεν

    (Epicuro, Lettera a Meneceo, 127-128)

    Una ferma conoscenza di questi [desideri] riporta ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il fine della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni azione, affinchè né soffriamo né proviamo ansia.

  • 20/24
    Arianna dormiente

    Metà II secolo d.C.

     

    Questa placida raffigurazione di una donna dormiente nasconde in realtà un dramma dell’abbandono. La giovane figlia del re di Cnosso, infatti, ancora ignora di essere stata lascaiata da Teseo da sola nell’isola di Nasso. Nel gruppo originario il dramma si risolveva in un lieto presagio di futura gioia perchè accanto era Dioniso, che ne farà la sua amante donandole l’immortalità.

     

     

  • 21/24
    Arianna dormiente

    Quae legis, ex illo, Theseu, tibi litore mitto
    unde tuam sine me vela tulere ratem,
    in quo me somnusque meus male prodidit et tu,
    per facinus somnis insidiate meis.

    (Ovidio, Heroides, X, vv. 5-8)

    Quello che leggi, o Teseo, te lo invio, da quel lido
    da dove le vele portarono lontano la tua nave senza me,
    sul quale sono stata sfortunatamente tradita dal sonno e da te
    che hai teso insidie al mio sonno.

  • 22/24
    Sarcofago con scena di vita di un personaggio romano

    Fine II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 82

     

    Sul lato minore destro di questo grandioso sarcofago destinato a un esponente dell’élite senatoria urbana, sono raffigurati due intimi momenti della vita familiare. Nel primo è riconoscibile il pedagogo che ascolta la lettura del bambino, mentre, sul lato opposto, la madre che sta per prendere in braccio il figlio dopo il bagno fatto con la nutrice.

     

    Scuola

    Atqui si vitiis mediocribus ac mea paucis
    mendosa est natura, alioqui recta velut si
    egregio inspersos reprehendas corpore naevos,
    si neque avaritiam neque sordes nec mala lustra
    obiciet vere quisquam mihi, purus et insons,
    ut me collaudem, si et vivo carus amicis:
    causa fuit pater his, qui macro pauper agello
    noluit in Flavi ludum me mittere, magni
    quo pueri magnis e centurionibus orti,
    laevo suspensi loculos tabulamque lacerto
    ibant octonos referentes Idibus aeris;
    sed puerum est ausus Romam portare docendum
    artis quas doceat quivis eques atque senator
    semet prognatos.

    (Orazio, Satire, I, 6, vv. 65-78)

    Eppure la mia indole, per il resto onesta, è intaccata solo da pochi e trascurabili difetti, come néi che tu disapprovassi in un corpo perfetto; se nessuno in buona fede può rinfacciarmi avidità, sordidezza o pratica di bordelli; se io vivo, tanto da darmi lode, immune da colpe e caro agli amici; di tutto questo ha merito mio padre che, pur con le magre risorse di un piccolo podere, non solo non volle mandarmi alla scuola di Flavio, che frequentavano, con borse e taccuini sotto il braccio, i figli illustri dei più illustri centurioni, pagando otto assi alle Idi di ogni mese, ma ebbe il coraggio di portarmi a Roma, poco più che fanciullo, per farmi impartire quell’istruzione, che cavalieri e senatori fanno impartire ai propri figli.

     

    Genitori

    Non vides quanto aliter patres, aliter matres indulgeant? illi excitari iubent liberos ad studia obeunda mature, feriatis quoque diebus non patiuntur esse otiosos, et sudorem illis et interdum lacrimas excutiunt; at matres fovere in sinu, continere in umbra volunt, numquam contristari, numquam flere, numquam laborare.

    (Seneca, De Providentia, II, 5)

    Non vedi quanto siano diversamente accondiscendenti i padri e le madri? Quelli pretendono che i figli si sveglino presto per dedicarsi ai loro doveri, non gli permettono di stare in ozio neanche nei giorni di festa, e ne strappano sudore e talvolta lacrime; le madri invece vogliono tenerseli al seno, coccolarli nell’ombra, desiderano che non siano mai tristi, non piangano mai, non si affatichino mai. 

     

  • 23/24
    Invito alla danza

    Satiro

    I-II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 220

     

    Con questo gruppo che dobbiamo immaginare associato a una musica dal ritmo travolgente e spensierato, segnato dal battere del kroupezion (nacchera da piede), auguriamo a tutti un ritorno alla gioia dell’incontro.

    Ἴδοις δ' ἂν νῦν ἔτι καὶ τοὺς ἐφήβους αὐτῶν οὐ μεῖον ὀρχεῖσθαι ἢ ὁπλομαχεῖν μανθάνοντας· ὅταν γὰρ ἀκροχειρισάμενοι καὶ παίσαντες καὶ παισθέντες ἐν τῷ μέρει παύσωνται, εἰς ὄρχησιν αὐτοῖς ἡ ἀγωνία τελευτᾷ, καὶ αὐλητὴς μὲν ἐν τῷ μέσῳ κάθηται ἐπαυλῶν καὶ κτυπῶν τῷ ποδί, οἱ δὲ κατὰ στοῖχον ἀλλήλοις ἑπόμενοι σχήματα παντοῖα ἐπιδείκνυνται πρὸς ῥυθμὸν ἐμβαίνοντες, ἄρτι μὲν πολεμικά, μετ' ὀλίγον δὲ χορευτικά, ἃ Διονύσῳ καὶ Ἀφροδίτῃ.

    (Luciano, De saltatione, 10)

    Tu potresti osservare anche ora che i loro adolescenti hanno lo stesso apprendimento nella danza e nel combattimento in armi. Infatti, dopo che hanno combattuto, vicini, con le mani, e hanno colpito e sono stati colpiti, si fermano e la lotta termina in danza e il suonatore di aulòs sta in mezzo battendo il tempo con il piede, ed essi seguendosi in fila mostrano tutti i movimenti, procedendo secondo il ritmo, prima quelli di guerra, dopo poco quelli coreutici, quelli cari a Dioniso e ad Afrodite.

  • 24/24
    Invito alla danza

    Ninfa

    I-II secolo d.C.
    Inv. 1914, n. 190

     

    Μουσάων Ἑλικωνιάδων ἀρχώμεθ᾽ ἀείδειν,
    αἵ θ᾽ Ἑλικῶνος ἔχουσιν ὄρος μέγα τε ζάθεόν τε
    καί τε περὶ κρήνην ἰοειδέα πόσσ᾽ ἁπαλοῖσιν …

    (Esiodo, Teogonia, 1-3)

    Cominciamo a cantare dalle Muse Elicònie
    che vivono sul monte Elicona, grande e sacro
    e danzano con i flessuosi piedi intorno alla fonte …

Rinascenza

Itinerario di emozioni e sentimenti attraverso la statuaria antica delle Gallerie degli Uffizi

Revisione: Patrizia Naldini, Chiara Ulivi

Traduzioni: Eurotrad Snc.

Grafica: Andrea Biotti

Crediti fotografici Francesco del Vecchio e Roberto Palermo  

 

Nota: ogni immagine della mostra virtuale può essere ingrandita per una visione più dettagliata.

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